22. IRIS

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«Alexa, metti un lento, volume basso» proferisce. Poco dopo, una musica rilassante ed elegante fuoriesce dalle casse posizionate da qualche parte nell'attico. Non sapevo nemmeno ci fossero. Il volume è basso abbastanza da non svegliare Colin ma alto da poter udire la musica con chiarezza.

Amos attira il mio corpo a sé.

Sbatto le palpebre, colta alla sprovvista dalle sue azioni e, soprattutto, dalla sua vicinanza. Riesco a sentire il suo profumo mascolino, la tensione dei muscoli sotto la camicia bianca costosa e i jeans scuri.

Lo ammetto, vederlo così casual, stasera, mi ha causato cose. Amos è bello, bello da mozzare il fiato e sono stufa di negarlo, è comunque inutile.

Stringo la presa sulla sua mano mentre l'altra riposa placida sulla sua zona del deltoide e attendo, qualsiasi cosa.

Respiro piano, cercando di calmare le palpitazioni causate dalla poca distanza che ci separa. Sono sicura che se mi allungassi sulla punta dei piedi e inclinassi il viso in avanti riuscirei a sfiorargli le labbra carnose. Eppure, non lo faccio.

Attendo che faccia la prima mossa, che apra bocca e mi dica che è stata un'idea ridicola e sono libera dal mio impegno. Ma Amos non fiata, continua a guardarmi mentre fa scivolare la mano lungo la mia schiena, fermandosi sulla zona lombare.

Cielo, pagherei oro per avere le sue mani addosso, pronte a massaggiarmi la schiena, le anche, le cosce... magari anche le natiche. Lì si concentra parecchia tensione, davvero.

Gli suggerirei quali aree toccare, quali muscoli al di sotto di esse... mmh. Potrebbe concentrarsi sul sartorio, massaggiare bene quella zona, giusto per accettarsi che le mie cosce siano pronta a lavorare. Tipo per stringere un altro corpo. Per piegarsi sopra di esso. Insomma, sarebbe di grande aiuto questo è certo.

«Iris. Mi stai ascoltando?»

Torno su di lui, annuendo piano. «Hm-hm.»

«Bene. Allora fallo.»

Lo guardo stranita. Che dovrei fare? È ovvio che non lo stessi ascoltando, ma non potevo dirglielo, altrimenti mi avrebbe chiesto il perché e non penso che gli sarebbe piaciuto sentire delle mie scurrilità mediche.

«Mmh...»

Amos rilascia un altro sospiro frustrato. «Ti ho detto di smetterla di essere così tesa. Devi rilassarti o non riuscirai mai a ondeggiare.»

«Facile per te, sai farlo» borbotto.

«Sciogli le spalle. Questo dovresti saperlo fare, no? È il tuo lavoro.»

Dovrei infastidirmi, ma in realtà rimango sempre parecchio sorpresa da queste sue uscite. Mi ha appena punzecchiata. Lui, Amos Wright. Sembra incredibile.

Ignoro le sue parole e provo a fare come mi dice. Rafforzo la presa sulla sua mano e inizio a ondeggiare piano.

«Parti dalle spalle e pian piano inizia a muovere anche il bacino.»

Eseguo, sempre un po' tesa, ma con grazia. O almeno, lo spero. Le sue mani continuano a stringermi la vita, mentre guida i miei movimenti.

«Adesso dobbiamo muoverci un po', non puoi restare a fare il palo ondeggiante» asserisce, delicato come sempre.

«Be', grazie» bofonchio.

Amos alza gli occhi al cielo. «Devi solo seguire i miei passi. Nulla di complesso.»

Si muove piano, spostandosi verso destra, poi sinistra. La prima volta mi impiccio e finisco per inciampare sui suoi piedi, ma per fortuna la sua presa è salda e riesco a non finire per terra. La seconda viene avanti, io mi sposto di nuovo verso destra, pensando che avrebbe rifatto gli stessi passi. Amos non si lamenta a voce alta, si limita ad ammonirmi con lo sguardo.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Where stories live. Discover now