Come aria

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Manuel è seduto sulle panche di ferro dell'ospedale, un po' come sempre ultimamente, tant'è che ha la schiena a pezzi

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Manuel è seduto sulle panche di ferro dell'ospedale, un po' come sempre ultimamente, tant'è che ha la schiena a pezzi.

Tuttavia, non si sofferma troppo su quel dolore, anche perché quello fisico è nulla in confronto al dolore che prova dentro di sé, né è paragonabile al dolore che ha fatto provare a Simone ultimamente.

Ci starebbe per ore intere su quelle panche, se fosse quello il prezzo da pagare per riavere indietro il ragazzo che ancora dorme, è disposto a distruggersi la schiena, a dormire al freddo su quelle panche, a restare a stomaco vuoto per giorni.

Che, in fondo, è ciò che fa già: torna a casa solo per lavarsi, bere un caffè e cambiarsi.

Meno ci sta in quell'appartamento, meglio è.

Ogni volta che rientra, prova l'istinto di chiamare Simone, così come faceva un tempo quando voleva verificare se il ragazzo fosse in casa e in quale stanza si trovasse. È un secondo in cui è privo di lucidità e che riesce a distruggerlo sempre un po' di più, volta per volta.

Perché è sempre facile abituarsi a qualcosa, ma è, al contrario, difficile scrollarsi un'abitudine di dosso, specie se sono abitudini che ti legano a qualcuno che ami.

Manuel le abitudini di Simone le ricorda tutte, così come rimembra tutte le sue manie, le stesse che adesso segue religiosamente perché lo percepisce come un modo per stargli il più vicino possibile.

E proprio per questo non è in grado di restare in quella casa per troppo tempo: mettere in atto le abitudini di Simone senza sentire la sua voce che lo rimprovera per aver usato un prodotto per pulire i piatti piuttosto che un altro, gli fa chiudere lo stomaco, la gola, i polmoni.

E così preferisce le panche gelide e scomode di un ospedale, almeno Simone lì c'è, pure se non come vorrebbe.

Lì con lui su quelle panche ci sono le stesse persone di sempre: Chicca, Matteo, Carlo e i genitori di Simone – che in quel momento si trovano seduti accanto al letto del figlio, nella stanza 23.

Non parlano mai, o quasi. Si salutano a stento e, ogni tanto, si chiedono a vicenda se gradiscono qualcosa da mangiare o bere dalle macchinette.

Per il resto, regna solo il silenzio più assoluto.

E Manuel non avrebbe mai immaginato quanto rumore potesse fare il silenzio, all'interno di un ospedale.

Mentre attende pazientemente che i genitori di Simone gli cedano il posto accanto a lui, Manuel si passa tra le mani un vecchio lettore MP3. Non ricordava nemmeno di averlo e di esserselo portato dietro; glielo aveva comprato sua madre alla fine delle scuole medie e lo ha sempre custodito come un gioiello, in barba a quello che pensavano i suoi coetanei – che fosse un oggetto datato e fuori moda.

Del resto, lui non è mai stato troppo dietro alla moda e nemmeno ci tiene.

Conosce solo un modo per sovrastare il rumore: la musica.

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