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È il weekend. Un altro sabato sera che si prospetta tedioso. Dovrò lavorare al romanzo, impuntarmi davanti al computer mentre mia figlia avrà più vita sociale di me. È davvero questo che voglio fare per il resto della vita? Rinunciare alle uscite con gli amici per non deludere Jaz? Stamattina ricevo come di consueto un messaggio da parte di Ian. "Ehi, sei ancora dei nostri o vuoi farti monaco?". Lo leggo velocemente, spostando lo sguardo sullo schermo del laptop. Ho una scadenza, ho scritto tanto però non è ancora abbastanza. Negli ultimi giorni ho spedito tutto a Monica, ricevendo una risposta molte ore dopo. "Non vedo l'ora di lavorarci lunedì mattina. Continua così". Sembra che io l'abbia presa in parola, perché è chiaro che mi sono incollato al computer, determinato nel portare a termine questo primo progetto. Ci tengo. Ho bisogno di sentirmi essenziale, voglio dei complimenti, voglio sentirmi importante. Ian insiste con i messaggi fino al pomeriggio, e quando penso che si sia arreso sento qualcuno bussare alla porta dell'ingresso. "So che sei lì dentro, amico" lo sento urlare dal giardino mentre mi avvio lungo il corridoio. Gli apro, guardandolo corrugare la fronte. "Allora? Stai prendendo la brutta abitudine di non rispondere ai messaggi". Faccio spallucce. Lui entra, prende la mia giacca dall'appendiabiti. "Stasera ho intenzione di rapirti. Va' a cambiarti".

"Non posso. Devo consegnare il lavoro entro due settimane".

"Sono certo che è ad un buon punto. Non hai bisogno di lavorarci anche stanotte. Hai bisogno di una serata fuori con i tuoi amici". Lo guardo, serro le sopracciglia. Sono così stremato che mi mancano addirittura le forze per potermi opporre. "Jasmine è uscita, scommetto".

"Dorme da un'amica" Ian mostra un ghigno soddisfatto, gettandomi la giacca contro. "Lo vedi? Questo è un segno. Un uomo di quarantuno anni con la tua forma fisica è sprecato se resta il sabato sera chiuso in casa". Scettico, mi passo la mano sul petto. "Cos'hai da dire della mia forma fisica?".

"Che è perfetta. Vorrei averla anche io, invece mi ritrovo a prendere chili sulla pancia ogni volta che mi concedo un paio di boccali di birra". Temporeggio, grattandomi il mento. "Chris, io sono disposto a restare qui una settimana fisso e immobile nel tuo soggiorno se non ti dai una mossa". Alzo gli occhi al cielo, sfibrato dalle sue insistenze. Faccio di sì con la testa, lasciando la giacca sul divano. Appena mi vede raggiungere le scale, mi punta il dito contro. "Camicia e pantalone scuro. Stasera ho intenzione di sistemarti". Scuoto il capo, non rispondendogli. Ci metto un po' a prepararmi, perché non ho voglia di farlo, perché è sbagliato, perché il solo pensiero di avvicinare qualcuno mi innervosisce. Infilo la camicia lungo le braccia, spostandomi davanti allo specchio per potermela abbottonare. Mi guardo, faccio roteare gli occhi e mi domando che cosa sto facendo. "Allora? Non dobbiamo stare qui tutta la sera!". Ian urla dal piano di sotto. Lo raggiungo e sotto ai suoi occhi curiosi e compiaciuti mi infilo la giacca. "Andiamo! Sei un idiota!". Mi avvicino alla porta, spegnendo tutte le luci. "Un giorno mi ringrazierai" dice, seguendomi all'auto. Arrivati al pub, mi pento subito di essere uscito. Ascolto i presenti parlare, la musica alta che si diffonde per tutta la stanza rompendomi i timpani e nel frattempo ricordo quello che ho scritto oggi, ripassandomi i paragrafi a mente. Sono un padre, un vedovo. Questo non è il posto per me.

𝐁𝐄𝐆𝐈𝐍 𝐀𝐆𝐀𝐈𝐍 | 𝘾𝙝𝙧𝙞𝙨 𝙀𝙫𝙖𝙣𝙨Where stories live. Discover now