Capitolo 9

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No matter how many deaths that I die
I will never forget
No matter how many lives I live
I will never regret
There is a fire inside of this heart
And a riot about to explode into flames.

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«Allora, come primo e unico consiglio, voglio dirti di stare lontana da coltelli, armi o qualsiasi oggetto contundente con cui colpire i tuoi... nemici.» Dinah lanciò un'occhiata torva alla sua sinistra.

Lauren era seduta in aeroporto, attendeva lo stesso volo che ci avrebbe portato, ancora una volta, nello stesso posto nel Mondo. La sua ubiquità stava diventando stressante: passato e presente la presentavano sia nella mia mente che nella mia realtà, rendendo ogni posto invivibile.

«Non preoccuparti, non avrò problemi a gestire la situazione. Le starò lontano e questo sarà sufficiente.»

«La vedo difficile mantenere le distanze per due settimane.» Contrasse il viso in una smorfia scettica e addolorata, ma sotto sotto quella situazione la divertiva.

Non erano i miei grattacapi a intrattenerla, quanto lo scoprire, giorno per giorno, come li avrei affrontati. Ancora più sotto di così, confesso di aver avuto lo stesso malvezzo. Le competizioni erano emozionanti, mi piaceva scoprire chi sarei diventata a seconda della sfida. Anche se in questo caso, potevo solo trasformarmi in ciò che più odiavo, ma avevo imparato a voler bene anche a quella parte di me.

«Ultima chiamata per Chicago, imbarco 6753.»

«Beh, sembra che questa sia l'ultima volta che ti veda da donna libera.»

La colpì sul braccio, scuotendo la testa in una risata: «Abbi più fiducia in me.» L'attirai in un abbraccio sentito. Dinah carezzò la mia schiena con fare materno.

«Ho fiducia in te più di chiunque altro.» Sussurrò con seria dolcezza al mio orecchio, rassicurando parti di me che non mostravo ma che erano più mie di qualsiasi altra.

Le sorrisi guardandola negli occhi: «Ok, ci vediamo fra due settimane.» Mi incamminai salutandola: «Non mandare in bancarotta la mia agenzia!» Le gridai mentre valicavo la soglia del gate. La vidi ridere, ma non udii la sua risposta.

Mi accodai alla folla, controllando il biglietto ancora una volta. Quando mi voltai ad osservare la pista di lancio, notai Lauren poco dietro di me. Finsi di non vederla, ma lei non condivise lo stesso buonsenso. Si avvicinò scusandosi con gli altri passeggeri e mi si affiancò.

«Camila.»

«Lauren.»

Spostai lo sguardo dall'altra parte, ma la sua voce mi riportò al punto di partenza: «Per due settimane dovremmo condividere lo stesso albergo, la stessa hall. Credo sia un bene mettere da parte le divergenze. Sono sicura tu la pensi allo stesso modo.»

«Certo.» Annuii, prima di colpirla sarcasticamente: «Chiediamo stanze a piani diversi e se tu ti siedi in prima fila, io mi metto nell'ultima.»

Lauren rimase stupefatta dalla mia risposta, tanto da non riuscire a sciogliere la tensione in un sorriso prima di qualche istante: «D'accordo, Camila. Come preferisci.» Mi rimirò con vuota intensità, poi, appena consegnammo la carta d'imbarco, allungò il passo separandosi definitivamente da me.

Tirai un sospiro di sollievo. La sua presenza affaticava il mio respiro. Lauren riusciva, anche a distanza di anni, a farmi sentire in soggezione, e questo era l'unico potere che dovevo imparare a detrarle. Non eravamo più giovani e sprovvedute, l'esperienza ci aveva reso donne indipendenti; quali paure ancora il suo nome evocava in me? A quanto pare non sempre il tempo cancellava le debolezza, a volte le rendeva uniche.

Guilty, your honorDonde viven las historias. Descúbrelo ahora