CONFESSIONE

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Dire la verità dovrebbe, in linea teorica, corrispondere quasi sempre alla via giusta, quella che sistema le cose

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Dire la verità dovrebbe, in linea teorica, corrispondere quasi sempre alla via giusta, quella che sistema le cose.

Tuttavia, capita, a volte, che sia necessario mentire per preservare un equilibrio instabile dentro al quale si svolgono le vite delle persone.

Da quando ha confessato la verità a suo padre, il mondo di Simone pare esser collassato su sé stesso - perché a nessuno interessa sentire la sua versione della storia, le sue ragioni, i motivi che lo hanno spinto a fare determinate cose, a prendere delle decisioni.

A nessuno importa approfondire la verità, si appigliano al fatto che il possessore del blog è Simone Balestra e nulla di più.

In quei dieci giorni o poco meno, nemmeno una persona gli ha chiesto spiegazioni o ha avuto qualche dubbio su di lui.

Da scuola, Simone è stato sospeso con obbligo di frequenza, che è quanto di più deleterio possa esserci, soprattutto quando chiunque, in quel liceo, adesso lo odia.

Lo odia persino Chicca, che lo guarda male ed evita di fare incrociare i loro occhi.

E lui ha paura di fare o dire qualunque cosa, dal momento che le voci nei corridoi sono sempre più forti e non riesce a sopportarlo, non più.

È vero che il rumore che fanno le parole spesso è troppo forte e acuto per essere tollerato.

Quella mattina, poco prima del suono della campanella, Simone è seduto sul muretto davanti all'edificio scolastico.

Regge in mano una busta bianca, contenente due cornetti. Non ne mangerà nemmeno uno.

Sono dieci giorni che ne compra due, inutilmente, perché non saprebbe a chi donare il secondo – perlomeno, lo sa, ma la persona destinataria di quel dono lo ignora.

Gli sembra di essere invisibile, ma al contempo troppo visibile, un bersaglio verso il quale scagliare ogni briciolo di rabbia e rancore.

In lontananza, vede passare Chicca, in compagnia di Laura e Luna. Fa un cenno nella loro direzione, con il capo, ma le ragazze gli rivolgono soltanto un'occhiata tagliente e varcano la soglia del portone.

Simone incassa quel colpo – quello, come molti altri.

Vorrebbe andare a casa.

Lo farebbe, se potesse, invece è costretto in quel posto, un luogo che si è trasformato in una prigione, un inferno, che peggiora quando si trova in classe, tra i bisbigli e gli sguardi accusatori da parte di tutti.

La situazione precipita pure nell'intervallo, quando Simone prende il suo caffè lungo con tre pallini di zucchero, compie qualche passo e due individui – non sa chi siano, forse amici di Michael, forse no, non ha importanza – lo affiancano, gli fanno rovesciare con poca cautela la bevanda calda sui pantaloni e il maglione verde, poi fuggono via, borbottando: «Coglione!».

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