𝟸𝟹.

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Aʀᴀʙᴇʟʟᴀ ❞
≿━━━━༺❀༻━━━━≾

❛ 𝐸 𝑑𝑎 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑐𝘩𝑒́ 𝑡𝑢 𝑠𝑒𝑖,
𝑒 𝑑𝑎 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑠𝑒𝑖, 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑒 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜,
𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑚𝑜𝑟𝑒 𝑠𝑎𝑟𝑜̀, 𝑠𝑎𝑟𝑎𝑖, 𝑠𝑎𝑟𝑒𝑚𝑜. ❜

𝑷. 𝑵𝒆𝒓𝒖𝒅𝒂

Le mie scarpe calpestano il manto di foglie secche e friabili sulle quali è stato tinteggiato l'autunno; cui nonostante la sua fiacchezza, s'incammina in un viaggio di cui è certo del proprio ritorno, e spoglio da qualsiasi sensazione malinconica ed abbattuta si lascia avvolgere dai soffi gelidi che l'inverno comincia a sbuffare dalla bocca.

Il prato non è altro che un tappeto di foglie baciato dalla brina leggera, del verde estivo v'è solo un lontano ricordo, mentre gli alberi - ormai spogli - mostrano con disinvoltura i propri rami che - visti dall'alto - paiono così a contatto col cielo da indurre a credere che questo abbia delle vene su cui scorre la propria linfa.

M'accorgo d'aver trovato il luogo non appena quell'unico meraviglioso e malinconico salice piangente mi solletica una guancia coi suoi lunghi e pendenti rami secchi e spogli, così li scosto con un gesto della mano e mi siedo sulle sue radici, appoggiando la nuca contro il busto.

Dalle mie labbra sfugge un sospiro leggero, ma che porta con sé il peso di cose che prendono vita solamente nei miei ricordi che - in realtà - han smesso di respirare da tempo.

Socchiudo gli occhi, percependo l'aria fredda sulla pelle che pian piano s'arrossa sotto i suoi morsi taglienti, e resto lì, ferma, mentre la mia mano strappa un ciuffo gelido d'erba che accarezzo con le dita nel tentativo di riscaldarla, mentendo a me stessa su chi ha realmente bisogno d'un calore che non accenna ad arrivare.

Lentamente apro un occhio, puntando l'attenzione sullo zaino appoggiato al mio fianco, e combattuta, stringo con esigenza altri fili d'erba stracciandoli via mentre i miei denti quasi si sgretolano nell'afferrarsi con così tanta veemenza.

Non v'è nulla di singolare all'interno; un semplice blocco note d'un arancio scolorito a causa dell'insistente tocco curioso d'una bambina oramai sbocciata e quello d'un padre che non saprà mai che fiore è diventata.

Titubante, infilo una mano all'interno premendo sulla copertina rigida lievemente malconcia sui bordi, rammentandomi del tempo in cui è stato usato, quando ad ammirarla eran quattro occhi, in cui a sfogliarlo non erano solo le mie dita.

Ho un sussulto, perché non ricordo più come si sfoglia senza lui. Così lo appoggio sulle mie gambe, rimanendo ad osservare la rifinitura della copertina con il coraggio e la malinconia intrappolati nella mano stretta in un pugno, come se tutto ciò che contiene dentro possa farmi stramazzare al suolo.

Timorosa porto una mano all'estremità del blocco note, conscia che basterebbe un rapido gesto ed i ricordi mi svolazzerebbero addosso come farfalle impazzite. E quei pensieri mi provocano un violento tremolio alle dita che cerco di controllare chiudendo la mano in un pugno, dirigendolo verso lo stomaco che batte con così tanta insistenza a tal punto che temo d'aver ingoiato involontariamente il cuore.

Così inizio a convincermi d'esser un'autolesionista per essermi presentata qui, in questo ristretto parco isolato dalla caoticità della città; scoperto in una giornata primaverile come tutte le altre dopo una giornata spensierata a scuola, mentre in spalla portavo uno zainetto turchino ed in volto due occhioni stanchi, ma spensierati, rivestita di un'incontrollata curiosità e sicurezza nell'affidarmi a mio padre, inconsapevole che quel luogo sarebbe stato il luogo in cui il nostro amore per il mondo sarebbe stato coltivato sotto un salice piangente. Il suo albero preferito.

Un battito d'aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora