𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑜

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-È troppo stretto?-
Me ne stavo in piedi davanti allo specchio al di sopra di un piedistallo in legno che mi rendeva più alto rispetto al sarto accanto a me, che con un ago in mano ed un filo tra le labbra guardava la mia vita, attorno alla quale avvolgeva una benda.
-No, stringi di più- mormorai restando immobile.
Lui fece quanto gli dissi, poi si fermò e cambió filo.

-Di che colore sarà l'abito della vostra donna? Avete novità?- mi domandò frugando tra i suoi attrezzi grattandosi gli occhi per la stanchezza. Erano ormai settimane che Haibara stava cucendo quell'abito su di me e ogni volta mi poneva sempre la stessa domanda, a cui davo la medesima risposta con qualche aggiunta -Rosa, con dei fiori bianchi che riprendono la corona sui capelli, sfumature violacee, un copri spalle di tulle, orecchìni e collane argento, anello di fidanzamento di mia nonna-
Non è che si dimenticasse ciò che gli dicevo, è che la lista delle cose che Utahime avrebbe indossato il giorno del suo compleanno si allungava ogni giorno sempre di più e dovevamo stare al passo.

Il mio sarto lavorava per me da ormai 5 anni, iniziò molto giovane rispetto ai veterani che abbigliavano mia madre e prima di lei mio padre, infatti con lui era nato un rapporto quasi d'amicizia a cui mia madre era contraria. Secondo lei avrei dovuto avere amici provenienti solo e solamente dal nostro stesso ceto sociale, nulla di meno, il resto era feccia.

-Se volete allora posso aggiungere dei ricami rosa che riprendono il suo abito-
-Volentieri- gli risposi io, prima di vederlo alzarsi dallo sgabello sul quale si era seduto poco prima per dirigersi verso le porte della mia stanza.
Le chiuse senza dare nell'occhio, così capii che avrebbe dovuto dirmi qualcosa da lì a poco.

Haibara era fatto così, nel mio palazzo era da tutti conosciuto come "la talpa". Qualsiasi cosa accadesse dentro le mie quattro mura, in paese, ad Edo, dall'altra parte del mondo lui la sapeva. Nella maggior parte dei casi questa sua volontà di ficcare il naso negli affari altrui veniva a mio vantaggio, come effettivamente successe quel giorno.

-Che succede Haibara?- gli domandai scendendo dal piedistallo per dirigermi verso il divano rosso di camera mia. Avevo già capito dove volesse andare a parare con quel gesto. Chiudeva le porte solo quando doveva parlarmi in segreto.
Mi tolsi quella pomposa camicia che non faceva affatto per me e mi sedetti.
Lui mantenne le distanze, con rispetto, e rimase in piedi davanti a me. Lo consideravo davvero ormai un mio amico, ma lui mi considerava ancora il suo padrone. Lo detestavo.
-Puoi sederti- gli intimai indicando gentilmente la sedia dietro di lui, ma scosse il capo -Preferisco restare qua-

Poggiai entrambe le braccia sullo schienale del divano sul quale ero seduto, lasciai scivolare la schiena su di esso e la testa cadere all'indietro, poi lui parlò per primo.
-La sarta di vostra madre mi ha comunicato una notizia di cui sono certo voi non siate a conoscenza-
Corrucciai le sopracciglia -Continua- dissi solo a voce bassa.
-Si tratta del regalo di compleanno per la vostra futura moglie-
Quando udii quelle parole alzai il capo e lo guardai dritto negli occhi, avrei giurato di aver sentito il sangue gelarsi nelle sue vene.
Mi aveva confessato tempo fa che i miei occhi gli mettevano inquietudine per il loro colore così accesso, soprattutto quando lo fissavo, ma era una cosa che facevo abitualmente, senza darci troppo peso. Per questo molto spesso tendevo a nasconderli il più possibile, spostando lo sguardo altrove per non mettere a disagio non solo lui, ma tutte le persone che mi circondavano.

-Vostra madre ha trovato un pittore per ritrarvi entrambi prima del suo compleanno, in modo tale che quel giorno il vostro dipinto possa essere sfoggiato al ballo-
-Mia madre detesta la pittura, perché dovrebbe volere una cosa di questo genere?-
Scosse la testa quasi dispiaciuto -Purtroppo questo non lo so- aggiunse poi.

Il problema di mia madre era che voleva avere tutto sempre sotto controllo senza chiedere mai a nessuno la propria opinione, faceva tutto di testa sua.
Mi alzai dal divano, tirai un lungo respiro prima di rimettermi sul mio piedistallo davanti al vecchio specchio che dava sui giardini.
-E chi è costui?- gli domandai rimettendomi quella veste che in quel momento risultava più stretta di prima. Vestivo panni che non mi appartenevano.

Haibara si avvicinò a me questa volta con un filo rosa ed un ago più appuntito del precedente, poi prese tra le dita la benda che mi copriva la vita.
-Si chiama Geto Suguru-
Corrucciai le sopracciglia e mi voltai verso di lui, più basso di me di ormai almeno 20 centimetri -Geto?- mormorai quasi senza farmi sentire.
-Lo conoscete?- mi domandò ricambiando lo sguardo che questa volta sembrava essere più tranquillo del precedente.
-Mai sentito- commentai scuotendo il capo prima di puntare gli occhi sul riflesso del mio corpo davanti a me. Mi sembrava fin troppo strano che mia madre avesse dato l'incarico ad un perfetto sconosciuto per dipingere me e la mia futura sposa. Mi sarei aspettato uno dei più rinomati pittori del paese, invece no, Geto.

Il mio sarto si schiarì la voce come per parlare.
-Se sai qualcosa su di lui parla pure Haibara- lo invitai così a raccontarmi di questo soggetto.
-Attualmente su di lui non so molto, ma prima che venissi incaricato da vostra madre per divenire vostro sarto era un artista che dipingeva volti tra le strade di Edo-
-E mia madre ha deciso di chiedere l'aiuto di un artista di strada per ritirarci?-
-È molto talentuoso- commentò a voce bassa, come se quasi avesse paura di risultare inopportuno -Forse fin troppo talentuoso-
-E perché mia madre non mi ha detto nulla a riguardo?-
-Magari ve lo comunicherà a breve, per ora questo è tutto quello che so-

Amavo parlare con Haibara, era la mia piccola spia in un palazzo di serpi che sputavano veleno su ogni persona osasse interrompere il loro cammino. Era anche grazie a lui che riuscivo a sopravvivere in quell'ambiente.
-Grazie, Haibara, ti devo molto-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now