Finché morte non ci separi

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Quando Joseph la vide gli occhi gli brillarono per la contentezza. Wilhelmina avanzava nella sua direzione in tutta la sua umile ma statuaria bellezza. Camminava lentamente, con tanta grazia da rassomigliare a una ninfa boschiva, facendo rimbombare il battito dei suoi tacchi sul pavimento marmoreo della navata.
Più la guardava e più si sentiva baciato dalla fortuna: negli ultimi mesi, durante i quali i due si erano conosciuti soltanto per via epistolare, aveva avuto modo di immaginarla innumerevoli volte, ma nemmeno le sue più rosee fantasie erano mai giunte a tanta perfezione. Wilhelmina era bella, non più molto giovane, ma ancora fiorente e graziosa. Il lungo velo da sposa, con il suo austero candore, copriva i lascivi capelli rossi che la donna aveva domato in una complessa composizione di trecce.
Quando gli fu più vicina poté osservarle più attentamente il volto. Minuto, come il resto del suo corpo, ed infantile: con il naso piccolo e roseo, le labbra morbide e le gote perennemente arrossate dalla sua innata modestia. Il tutto splendidamente coronato da due grandi occhi neri come la notte ma dolci come quelli di un cerbiatto indifeso.
Più che al suo aspetto fisico, tuttavia, Joseph era interessato alla sua ricchezza, testimoniata dall’imponente abito di raso e broccato che ella indossava senza un apparente buon motivo. Quelle nozze, infatti, erano tutt’altro che lussuose o festanti. Nell’Abazia, oltre a loro e all’officiante, vi erano soltanto il notaio e i due testimoni che egli aveva condotto con sé per validare il matrimonio.
Mentre i due ancora si studiavano vicendevolmente, la cerimonia ebbe inizio, e Joseph tirò un sospiro di sollievo, nonché di soddisfazione. Finalmente sarebbe stata sua, e sua soltanto, completamente soggiogata al suo potere. Aveva bramato quell’istante sin dall’istante in cui aveva letto il di lei annuncio sulla rubrica “cuori solitari” del Gardiner:
“Ricca vedova di anni ventinove, sprovvista di figli, cerca uomo amorevole e rispettabile disposto a maritarla e a costruire la famiglia che ella sogna da sempre.  Disposta anche a percorrere lunghe distanze.
Wilhelmina Eston”
Già da quelle poche righe, che ormai aveva imparato a memoria, aveva creduto che fosse la donna che andava cercando, e aveva avuto ragione. Ella era del tutto adatta ai suoi scopi, molto più delle precedenti poiché non era soltanto benestante, docile e mansueta, ma anche sola.
Nelle lettere che gli aveva scritto Wilhelmina rivelava di non avere nessuno al mondo: non una famiglia, non dei parenti né degli amici. Ella era figlia di padre ignoto e di madre disgraziata, la quale, incapace di mantenerla l’aveva brutalmente abbandonata in un collegio di religiose dove le era stata impartita un’educazione rigida e volta ad insegnarle l’ubbidienza e la sottomissione. Erano state soltanto la sua bellezza e la sua purezza a concederle un matrimonio fortunato, con il giovane rampollo di una casa aristocratica. A detta di lei quella era stata un’unione traboccante d’amore, stroncata però dalla tisi prima che potesse dare i tanto desiderati frutti.
Nonostante l’ingente somma ereditata da quel decesso, Wilhelmina aveva sofferto terribilmente, tanto che era rimasta sola per alcuni anni. Solo lo scorrere impietoso del tempo e il desiderio materno l’avevano spinta a cercare un altro uomo.
Tutta quella malinconia, quel bisogno d’affetto e la disperazione che lei portava con sé avrebbero reso tutto decisamente più semplice. Ingannarla e piegarla al suo volere sarebbe stato facile, com’anche farla franca, considerando che nessuno si sarebbe accorto della sua scomparsa.
“Volete voi Christopher Landor prendere questa donna come vostra legittima sposa per amarla…” La voce tuonante del vecchio pastore lo distrasse dai suoi sogni di gloria, riportandolo alla realtà. “Lo voglio.” Rispose dopo un istante di esitazione, dovuta alla difficoltà di abituarsi a quel nuovo pseudonimo. Andava molto fiero della sua scelta. “Christopher” era un nome che infondeva tranquillità e trasmetteva affidabilità, entrambe cose molto utili visti i suoi intenti truffaldini. Senza contare poi il divertimento che gli procurava l’idea di condurre qualcuno al cospetto di Cristo, utilizzando proprio quello come nome fittizio.
Raggiunsero la loro nuova casa subito dopo il termine della funzione. Egli, da buon gentiluomo qual era, la trasportò fino alla soglia. Ella si abbandonava fiduciosa tra le sue forti braccia, rassomigliando ad un cucciolo di gatto che si lascia sollevare dal padroncino, senza sapere che egli lo sta portando al pozzo per annegarlo assieme ai suoi fratelli.
Una volta entrati si guardarono entrambi attorno spaesati, quell’abitazione era nuova per tutti e due. La coppia aveva appunto deciso unanimemente di trasferirsi lontani dai rispettivi paesi d’origine. Lei voleva ricostruirsi una vita lontana dai ricordi del precedente marito, che le causavano solo dolore e lui aveva inventato qualche scusa riguardante dissapori irrisolti con i propri concittadini, quando il suo scopo era soltanto quello di rifuggire gli sguardi di chiunque potesse riconoscerlo e rovinare i suoi piani.
La novizia signora Landor volteggiò nel salone sorridendo, totalmente ignara del pericolo che andava correndo. Lui la guardava estasiato mentre ella scorrazzava curiosa per casa, ammirando con meraviglia e stupore tutto ciò che essa conteneva. In quel momento Joseph rivalutò un momento l’idea dell’avvelenamento progressivo. Era il metodo migliore e meno sospetto, indubbiamente, ma vederla così piena di energia e vitalità gli faceva tornare la voglia di uccidere alla vecchia maniera. Sarebbe stato indubbiamente più soddisfacente massacrarla con un coltello, rimestando le sue viscere e imbrattandosi del suo sangue viscido e viscoso. Ancor più bello forse, strangolarla e sentire la sua vita spegnersi tra le sue dita forti e possenti, assaporando il suo ultimo, affannoso, respiro. Si rese conto in fretta di essere troppo vecchio per quel tipo di delitto, soprattutto per la questione dell’occultamento, ma la cosa lo tentò non poco. 
I giorni, a casa Landor, scorrevano in fretta, e, prima che Joseph potesse rendersene conto, era già passato un mese dalle loro nozze. I due apparivano felici e affiatati, una coppia da ammirare ed invidiare: passavano molto tempo assieme, lasciandosi però dei momenti da spendere in solitudine per potersi dedicare ai propri interessi. Unitamente i due passeggiavano, sia a piedi che a cavallo, suonavano il piano a quattro mani, leggevano libri e quotidiani e discutevano d’arte e musica.
Nonostante proseguisse in tutte queste attività, Wilhelmina appariva sempre più debole e stanca, segno inequivocabile che la belladonna che le somministrava di nascosto stesse facendo il suo dovere, e che tutto stesse andando secondo i suoi piani. Il carattere remissivo ed umile di lei, inoltre, gli permetteva di manipolarla e di procrastinare all’infinito un’eventuale visita medica. Non che lei fosse del tutto sprovveduta, ma si fidava a tal punto del suo caro marito, da non contraddirlo quando egli le assicurava che la sua era solo malinconia e che presto tutto sarebbe passato. 
Impiegò poco tempo per costringerla a letto e liberarsi finalmente della sua petulante compagnia. A tre mesi dal matrimonio Wilhelmina spendeva tutto il suo tempo sotto alle coperte, intenta a leggere nonostante la vista le si stesse offuscando, mentre lui studiava e pianificava la sua vita in America. Ormai era vecchio, la sua crescente spossatezza lo dimostrava, e aveva fatto già molte più vittime di quante gli fossero necessarie per vivere agiatamente. Lei avrebbe avuto l’onore di essere l’ultima; poi Joseph avrebbe raccolto tutti i suoi averi e le sue lacrime di coccodrillo e si sarebbe recato nel nuovo continente per vivere di rendita.
Quel pomeriggio aveva programmato di passeggiare e raccogliere, per la moglie, qualche fiore di campo, ma si era inavvertitamente addormentato sulla poltrona dello studiolo. Era stato solo il suono del campanello, che annunciava l’ora del the, a strapparlo al mondo onirico.
Ancora intontito salì le scale di pietra e raggiunse la camera matrimoniale. “Siedi mia cara!” Esclamò turbato quando la vide in piedi, accanto alla finestra. Le avvolse delicatamente le spalle, gustando con un ghigno celato, i tremori del corpo esausto di lei, e la riportò al talamo. Fu difficile per lui nascondere la soddisfazione nel notare l’esponenziale aumento di pallore e debolezza in Wilhelmina. “Presto sarà tutto finito.” Pensava leccandosi i baffi.
Si sedette di fronte a lei, sul divanetto che stava di fianco alla vetrata e iniziarono a conversare. Con un fil di voce lei gli narrava le vicende del romanzo che ora giaceva aperto sul cuscino. Per lui era un piacere ascoltarla, tanto che quasi gli dispiaceva dover privare il mondo di una persona tanto colta. Wilhelmina era molto ben istruita e decisamente sagacie, di quando in quando, era possibile cogliere nei suoi occhi un’intelligenza del tutto maschile, e Joseph sentiva dentro di sé che qualcosa nel profondo li accomunava. Scoprire cosa fosse a rendergliela così simile non gli interessava, ma questo un poco lo rendeva titubante. 
“Debbo farvi una domanda.” Annunciò lei prima che potesse tornare alle sue consuete occupazioni. “Perché mai mi avete mentito riguardo al vostro nome, Joseph?”
L’uomo trasalì, e dovette sedersi per lo sgomento. Il senso di nausea che già provava da qualche tempo si acuì e la sua carnagione grigiastra, tipica degli abitanti di Londra si fece ancor più spenta. Wilhelmina lo fissava altera e sembrava aver riacquisito in pieno le sue forze.
La mente di Joseph lavorò celermente e, non appena ebbe inventato una scusa plausibile, riprese appieno il proprio consueto controllo. Gesticolando come il migliore dei prestigiatori e sfruttando la sua parlantina da incantatore di serpenti le raccontò di come quello fosse stato anche il nome di suo padre, nonostante non fosse affatto così. Viste e considerate le innumerevoli malefatte di questo Joseph Senior immaginario, tra cui si annoveravano adulteri, furti e addirittura aggressioni fisiche a donne e bambini, era stato spinto a cambiare il proprio appellativo. Non aveva provveduto a modificarlo legalmente presso l’ufficio anagrafico, ma aveva semplicemente iniziato a presentarsi a chiunque incontrasse come “Christopher” e quello era divenuto il suo nome. Ed era così abituato a sentirsi chiamare a quel modo che non aveva nemmeno sentito il bisogno di metterla al corrente della cosa.
In conclusione, egli non le aveva mentito, aveva soltanto dimenticato di raccontarle quella parte così penosa della sua triste vita. Wilhelmina non sembrava totalmente convinta da quella sua novella, ma non mosse obiezioni. Al contrario, il suo spirito dolce e premuroso la spinse a tentare di consolarlo per quei suoi antichi dispiaceri.
Tutto, quindi, sembrava essersi concluso per il meglio, ma Joseph non si sentiva più così tranquillo. Innanzitutto non aveva idea di come lei avesse ottenuto quell’informazione, e il fatto che conoscesse la sua vera identità lo portava a credere che potesse essere al corrente di altri fatti ben più gravi che lo riguardassero. Ma poi, quello sguardo vigile che gli aveva lanciato e l’impressione che fosse miracolosamente guarita di colpo dopo avergli posto quel quesito, l’avevano turbato enormemente. Era stato soltanto un attimo, dopo di ché la sua sposa era tornata ad essere lattea e febbricitante, ma provava un bizzarro timore.
Decise quindi che avrebbe accelerato nei tempi, doveva assassinarla il prima possibile. E se ella, sapendo chi lui fosse in realtà avesse compreso quali fossero i suoi intenti e avesse trovato un modo per eludere il veleno che le nascondeva nel cibo e nelle bevande? Forse fingeva di star male per non attirare la sua ira e per prendere tempo, nel tentativo di prepararsi alla fuga. Deciso a scongiurare quest’eventualità, decretò che avrebbe iniziato a sorvegliarla, giungendo nella sua stanza senza preavviso e spiandola in qualunque modo gli fosse possibile per capire se la sua malattia fosse reale o meno. 
E così fece nei giorni e nelle notti che seguirono quella conversazione. L’esito di quelle sue indagini fu positivo: Wilhelmina stava realmente soccombendo sotto i colpi della belladonna e, in quelle settimane, era giunta ad un punto tale che sarebbe bastato un non nulla per decretarne la dipartita. O almeno così credeva.
Nonostante le sue condizioni fossero pessime, la ragazza non accennava a voler cedere. Probabilmente l’ottima salute di cui aveva goduto prima di conoscerlo, la rendeva una roccia dura da scalfire. Ma Joseph non aveva più intenzione di attendere. Si percepiva sempre più come un vecchio stanco, bisognoso di un ben meritato riposo in lidi più caldi e soleggiati di quella triste e anziana Inghilterra.
Così, al sorgere del loro quinto mese di convivenza, decise di agire: avrebbe aggiunto talmente tanto veleno al the della moglie da non lasciarle alcuno scampo.  In seguito avrebbe incolpato la sua malattia, con la testimonianza dei domestici, sicuro che nessuno avrebbe indagato oltre. Non c’era nessuna famiglia, in quel caso, che avrebbe potuto pretendere giustizia, nessun amico che si potesse preoccupare per lei.
Entrò nelle cucine, inosservato, e versò il liquido malevolo nella piccola tazza dorata e fumante. Vi accostò il naso, assicurandosi che la fragranza dell’infuso ambrato coprisse l’olezzo di morte tipico della belladonna. Poi, soddisfatto, prese con sé il vassoio, aveva dato disposizione alle cameriere di lasciare che fosse lui a servire il the, e si avviò verso la porta.
Lungo il tragitto, gli occhi grigi e crudeli si appoggiarono sui grossi coltelli che si trovavano accanto al forno. Si fermò, tentato di afferrarne uno e compiere quel gesto nel modo più sanguinoso e brutale possibile, ma scosse la testa e proseguì. Come già detto poc’anzi, il suo fisico, sempre più provato dall’età, non avrebbe retto un simile sforzo. Oltre ciò, far passare una simile carneficina per un incidente sarebbe stato complesso.
Con Sophie c’era riuscito, convincendo tutti che quel tragico giorno fosse entrato un balordo in casa. Per Mary, invece, era stato necessario far sparire il cadavere in fretta, fuggire e cambiare nome poiché i fratelli di lei non avrebbero mai accettato una simile spiegazione. Sorrise a quei ricordi così macabri ma al contempo gioiosi. Nove ne aveva uccise nel giro di quindici anni, e da tutte aveva ereditato soldi e proprietà. Wilhelmina, che era senza dubbio la più ricca, nonché la più bella, sarebbe stata la sua decima e ultima vittima. Il perfetto coronamento di una carriera perfetta.
Per questo gli ripugnava l’idea di farlo in un modo così sciatto e impersonale, ma non vedeva altra soluzione. Quella stessa mattina, ad esempio, aveva faticato ad aprire un barattolo di vetro, tanto le forze gli erano venute meno. Proprio mentre ripensava a quell’episodio alquanto umiliante, Joseph appoggiò male il piede sinistro. La caviglia, flettendosi in modo innaturale, gli fece perdere l’equilibrio e lui cadde rovinosamente.
Il fragore scatenato dall’impatto del suo corpo, e ancor di più del vassoio del the, sul marmo candido delle scale fece allarmare Wilhelmina, la quale, come se si fosse dimenticata momentaneamente della sua consunzione, corse da lui.
Quando Joseph la vide gli occhi gli tremarono per lo spavento. Wilhelmina avanzava nella sua direzione in tutta la sua crudele e sfrontata bellezza. Non era più pallida o smorta, né tantomeno umile e spaurita. Gli occhi da cerbiatto scintillavano di follia. Lo osservava dall’alto, mentre lui, terrorizzato, tentava invano di sollevarsi da terra, con il volto fiero e non più mite come era abituato a vederlo.
Wilhelmina si chinò, ma non per aiutarlo ad alzarsi. Semplicemente gli frugò nelle tasche, arrivando a trovare in quella del panciotto la fiala di belladonna. “Mi aspettavo di meglio.” Commentò beffarda. “Io ho usato l’arsenico.” Aggiunse, per poi istruirlo su come glielo avesse servito. Non attraverso i viveri, come avrebbe fatto un principiante, ma celato nel sapone e negli oli da toletta che lui usava quotidianamente.
In altre circostanze Joseph avrebbe trovato oltremodo interessante ascoltare quel genere di resoconto, ma sciolto a quel modo sulle scale della sua casa, impotente tra le mani di una donna impietosa, riusciva a sentire soltanto la paura e lo sdegno per ciò che gli stava accadendo. Quel passaggio da carnefice a vittima era stato tanto repentino da lasciarlo sconvolto e alquanto incredulo, e nella sua mente confusa, l’unico pensiero che turbinava era il desiderio di sgozzare quella sgualdrina impertinente che lo sbeffeggiava.
Non si stava neanche rendendo conto che da lì a poco sarebbe morto, doveva ancora realizzare quella triste realtà. Ascoltava in silenzio le parole di Louise, quello era il reale nome della donna, la quale gli raccontava tronfia la sua carriera da “vedova nera”. Prima di lui, infatti, vi erano stati altri tre sfortunati mariti a cui la spietata, aveva riservato lo stesso trattamento. Louise era, in sostanza, esattamente come lui. Ma la sua apparente innocenza lo aveva fuorviato ed era stato tanto ingenuo da non notare la portata di quella finzione, tanto sciocco da incolpare la sua vecchiaia per quel suo deperimento repentino, senza nemmeno considerare quanto fosse bizzarro ritrovarsi ad essere così deboli a soli quarant’anni d’età.
Dopo aver terminato il suo solitario sproloquio, Louise tornò ad abbassarsi sul corpo del marito. Dolcemente gli accarezzò il volto e gli consigliò di lasciarsi andare e di evitare inutili lotte con la morte, ad ogni modo avrebbe sempre vinto lei. Infine tuffò una diafana mano nell’intrico dei capelli corvini e gli sollevò il capo, sbattendolo poi con violenza sovrumana contro lo spigolo marmoreo del gradino.
Un fischio acuto e persistente invase le orecchie di Joseph, mentre i suoi occhi annegavano nel sangue. Il dolore fu forte, ma non durò a lungo. Venne presto sostituito, infatti, da un gelo che lo attanagliava fin nelle ossa.
L’ultima cosa che vide e sentì prima di esalare il suo ultimo respiro, fu Louise che, dopo aver sorriso soddisfatta per il suo eccellente lavoro, si scompigliava i capelli e si irritava i bulbi oculari con le dita per indursi il pianto. Così, fingendosi sconvolta, corse al pian terreno richiamando con le sue urla disperate l’attenzione dei domestici. “Un’ottima attrice” ebbe il tempo di pensare, poi, fu il vuoto.

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⏰ Last updated: Sep 10, 2023 ⏰

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