Capitolo 8

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Michael

Purtroppo mi tocca andare a lavoro anche di sabato.

Facendo l'avvocato, i miei giorni sono sempre colmi di cose da fare.

Sono le sette meno dieci quando varco la soglia della cucina per fare colazione.

Seduta su una sedia e con i gomiti appoggiati sul tavolo, trovo Cassie, intenta a scriversi al telefono con non so chi.

«Non trovo che sia giusto per una ragazzina come te, passare la mattinata sui social.», le spiego, senza fare caso al broncio da bambina che ha sul volto. «E poi non hai scuola?»

«No, papà. Se fossi più attento a me, lo sapresti.»

Non le mostro quanto queste parole mi abbiano veramente ferito. Mangio velocemente e poco.

«Io devo andare.», le faccio sapere.

Quando recupero la borsa e le chiavi di casa, Cassie mi ferma sulla soglia. «Perché non mi guardi mai negli occhi quando ti parlo?»

«Non lo so, non ho tempo adesso.», le dico sbattendo la porta di casa. E invece lo so eccome. Sono stato impulsivo, lo riconosco, ma non sono più in grado di sopportare la tensione dolorosa dell'esser padre.

Ho raggiunto il limite.

Non riesco a guardarla perché in lei rivedo la mia Mary. La mia metà, la madre della mia bambina. Quando è morta, a Oslo, l'unica cosa che ho saputo fare è andare via da quel posto e portare con me l'unica persona che mi era rimasta. Mia figlia.

So, di aver fatto tanti sbagli. Ma, ho promesso a me stesso che non avrei più fatto nulla per metterla in pericolo.

La giornata procede lentamente.

Mi sono anche fatto due risate con i miei colleghi perché sono riuscito a far vincere una causa abbastanza strana ad una mia cliente.

Quest'ultima è una povera vecchietta che è stata accusata di aver rubato il gatto ad una famiglia di tailandesi.

Solo dopo si è scoperto dalle telecamere del giardino della signora, che in realtà il gatto si era nascosto volontariamente a casa della signora. Succedono sempre cose alquanto bizzarre sul posto di lavoro.

Mentre guido per tornare a casa, mi squilla il telefono.

Sono le diciotto e nessuno mi chiama mai a quest'ora. Di solito in questo momento starei lavorando, ma oggi abbiamo finito prima.

Accosto in un piccolo parcheggio e tiro fuori il telefono dalla borsa appoggiata sul sedile del passeggero.

Il nome sul display dello schermo mi manda in confusione, ma rispondo senza esitare: «Igor, mia figlia non è disponibile al momento. Quando arrivo a casa le faccio sapere che hai chiamato.»

«No, Michael. Non centra niente, devi aiutarmi ad uscire da questo casino.», mi parla con voce affannata e non riesco bene ad intendere ciò che dice.

«Che è successo?», gli chiedo a quel punto.

«Vieni a casa mia e ne parliamo. Meglio farlo di persona.»

«Una decina di minuti e sono da te».

Eve

Due giorni dopo

Il lunedì è il giorno peggiore della settimana, a parer mio naturalmente.

Oltre al fatto che ricomincia la scuola, riprendono anche a mostrarsi le varie preoccupazioni e paranoie che sono sempre dietro un lato nascosto della mia mente.

Anche adesso che sono in classe non riesco a concentrarmi. Penso che vista da fuori sembrerei una scema di guerra intenta a fissare il vuoto.

«Eve, che cavolo. Ma ci sei?»

Ci metto qualche secondo per riconnettermi alla realtà. Come ho già detto prima, è lunedì.

«Mi stavi dicendo?», chiedo a Cassie.

Prende un respiro e poi mi risponde: «Dovremmo andare a casa del dottore che ha fatto le autopsie ai corpi che ci interessano. Non so come potrebbe aiutarci, ma sento che sa qualcosa in più. Come hai detto che si chiamava?»

«Primo: si chiama Peter Davins. Secondo: come ti è venuta in mente questa idea? Terzo: non siamo in un film e non siamo neanche l'FBI, quindi non ci possiamo presentare a casa della gente senza motivo.»

«Lo so, ma magari potremmo provarci. Non ci hanno fatto sapere più niente delle indagini.»

«Va bene, ne parleremo anche con Theo. Poi vedremo che fare», riesco a vedere i suoi pensieri girare come una nuvoletta sopra il suo capo e il suo sorriso farsi più esteso, «Non montarti la testa, però».

Durante la merenda, Cassie ed io, ci imbuchiamo nel corridoio che porta alla classe di mio cugino.

Abbiamo dieci minuti per spiegargli cosa abbiamo in mente, prima che il tempo a nostra disposizione finisca.

Fortunatamente lo troviamo appoggiato su un tavolino lì vicino: «Buongiorno anche a te, eh», gli dico ironicamente.

«Che volete?», ci chiede senza molti giri di parole.

Questa volta è Cassie a prendere la parola: «Vogliamo andare a casa del dottor Davins per farci spiegare qualche cosa in più e, ecco, volevamo chiederti se volessi venire con noi...»

«E dove lo troviamo il suo indirizzo?»

Domanda lecita, peccato che non sappiamo come rispondere. «Dobbiamo ancora capirlo, ma non ci serve adesso. Quindi, il tuo, era un sì?»

Theo sospira pesantemente: «Potrebbe, ma fatemi capire una cosa», io e Cassie lo guardiamo in attesa che finisca la frase, «Voi non avete, non so, altre cose da fare. Come studiare o fare le solite cose che fanno le ragazze? Non me ne intendo, ma dovreste stare più tranquille»

«Per me è già tanto se mi promuovono, direi che me la passo con abbastanza tranquillità», ci fa sapere Cassie con un tono di voce scherzoso, ma che tradisce il
proprio significato.

«Se ti promuovono?! Ho capito bene? Cavolo, Cass. Non intendevo di prenderla così tanto alla leggera», Theo sembra sorpreso.

Cassie d'altra parte, risponde con una scrollata di spalle.

A frenare i nostri battibecchi è, però, il suono della campanella.




Angolo autrice:
Con la scuola e gli altri vari impegni non riesco a scrivere tantissimo, ma ci provo sempre. Quando ho tempo mi metto a revisionare i capitoli quindi è abbastanza difficile che continui a scriverne di nuovi; dovrei continuare anche con la stesura delle altre storie... A parte ciò, fatemi sapere se la storia vi sta piacendo o meno e se ci sono incomprensioni varie.
Grazie e un bacio🩶

The Guide To Solving The CaseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora