8 - F**king come here, give me your heart

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Alhaitham non parla mai dei genitori, o della nonna che lo ha accolto dopo l'incidente. In effetti, a Kaveh non ha mai detto nulla su come sia stata la sua infanzia; Kaveh invece gliene ha parlato molto, in passato. Quando ancora erano compagni di studi. Prima del litigio.

Dopo, è cambiato tutto.

Sarebbe sciocco, comunque, parlarne. Come dovrebbe iniziare a farlo? In che contesto, e a quale scopo? Kaveh è troppo precario, ogni parola rischia di fargli versare lacrime, ogni frase che possa suonare drammatica lo tocca nel profondo. E questo lo confonde: Alhaitham detesta il profondo, o meglio, lo adora, ma non vuole vederlo, e non vuole che nessuno veda il suo.

Se è profondo, ecco, ci sarà un motivo. Lasciamolo dov'è, santi numi.

Ma purtroppo non è così semplice. Per spiegare sul serio a Kaveh la ragione del suo comportamento dovrebbe esporgli come minimo una teoria psicologica, un trattato sul perché non gli piacciano le relazioni. Sarebbe carino potergli far comprendere che non sia lui, a non piacergli.

No. Lui gli piace. Molto.

Gli piace la sua voce, per esempio. Trova incredibile come possa essere, al contempo, dolce e straziante, e anche così pestifera, così colma, come un vaso pieno d'acqua che trabocca, ma è elegante e ha un'estetica impeccabile. Un vaso che continua a finire in frammenti, continua a schiantarsi sul pavimento perché il mondo intorno lo lancia via senza cura, ma poi ritorna intero e bello, con qualche crepa, però così dolce e bianco, così brillante.

Gli piace anche la voce che ha quando è triste, che diventa seria all'improvviso, più bassa, più composta. Sembra che di solito lo faccia apposta, a strillare senza tregua, e che poi divenga davvero se stesso mentre piange o ha paura di qualcosa.

Ecco, servirebbe un trattato anche su Kaveh e sulla sua capacità di sentirsi a proprio agio soltanto nel dolore.

E dire che è così sicuro di essere il più empatico nella stanza. Avesse mai capito qualcosa, Kaveh, di lui, o di sé.

Secondo Alhaitham, non ha capito niente.


"Allora?" chiede, con le braccia al petto e un'espressione da ragazzino offeso.

Come se fosse possibile chiedere di stare insieme solo perché altrimenti ci si offenderà.

Alhaitham abbassa il libro, rassegnato, e gli concede uno sguardo.

"Allora cosa?"

"Non dovevamo parlarne?"

Un sospiro. "Arriverà il momento in cui inserirai un soggetto, Kaveh? O devo indovinare io?"

"Secondo me potresti anche riuscire a indovinare."


Ma certo che potrebbe.

Potrebbe dirgli che va bene, possono fidanzarsi e correre insieme fra i fiori, intrecciare coroncine profumate e scambiarsele. Stringersi le mani e baciarsi con la leggerezza che hanno i ragazzi innamorati, e stare insieme per sempre, fino alla fine del mondo, in una vita piena di sorrisi e cuoricini.

E sarebbe il modo migliore per spingerlo a smettere di desiderarlo. Perché Alhaitham conosce benissimo Kaveh, e sa perfettamente come mai gli si concede. E non è certo perché sogna le coroncine di margherite.


"Posso chiedere un indizio?"

"Piantala, sai di cosa parlo."

"No, Kaveh, non lo so. So solo che stavo leggendo in pace, prima che..."

Poggia una mano sul tavolo, con un gesto che vorrebbe essere aggressivo, ma lo fa con poca sicurezza, e vien fuori più un movimento a metà. Una pacca sul legno.

"Per favore, puoi prendermi sul serio?"

Si guardano.

"D'accordo." Alhaitham sostiene lo sguardo. Di solito non succede; di solito è lui a guardare altrove. "Cosa vuoi sapere?"

Kaveh si rimette dritto con la schiena, sospira. "Quello che ti pare. Vorrei solo... capire... cosa pensi di noi, insomma. Cosa... dovremmo essere."

"Cosa vorresti che fossimo?"

"No, non ci provare. Tu cosa vorresti che fossimo?"


Oh, quella è una domanda interessante.

Lui vorrebbe... che fossero quel che sono già. Senza che serva muovere un muscolo in più. Senza che sia necessario parlarne in continuazione. Senza che si debba definire questa cosa piacevole e necessaria che piace a entrambi.

Vorrebbe solo poter leggere il suo libro, e poi, la sera, avere Kaveh accanto. Preparare la cena insieme, o meglio osservare Kaveh mentre cucina. Vederlo sorridere. Sentirlo blaterare per ore del lavoro o dei soldi.

Tutto qua. Senza pensarci. Senza fare dei passi che potrebbero metterli in pericolo.


"Quel che siamo non ti piace?"

"Non è questo, il punto, Alhaitham. Lo sai."

"No, non lo so. Non capisco cosa ti aspetti che dica."

"Be'... per esempio, come devo considerarti?"

"Non posso certo dirti io come considerarmi, Kaveh."

"Ma... nel senso... abbiamo una relazione esclusiva?"

"Mi stai chiedendo se puoi andare a letto con altri?"

"In un certo modo, direi di sì."

"Non credo di poter essere io a importi questa scelta."

"Oh, sei incredibile. Quindi tu pensi di essere libero di andare a letto con altri?"

"Non lo sarei, in teoria?"

"In teoria? Che significa?"

"Che è una mia scelta."

"Ma ovvio che è una tua scelta! Ti sto chiedendo qual è la tua scelta, ok?"


Si è già fatto male, in quel discorso, e non hanno nemmeno iniziato. Eppure non gli sembra così difficile da capire.

Meglio così. La possibilità di temere un tradimento lo terrà a bada. Gli piacerà di più, stare con lui, se ha paura di venire messo da parte. Non è colpa di Alhaitham; Kaveh è fatto così.

Kaveh ama quel che gli causa dolore.

E lui non vuole che smetta di amarlo. Dunque non potrà mai dirlo.


"La mia scelta era di leggere in pace."

"Il che non c'entra assolutamente nulla con quello che sto dicendo."

"E il problema è proprio questo."

"Uf... Per favore... Cosa devo fare per convincerti a parlarne?"

Sta pensando a una risposta che sia piccata abbastanza, ma non serve. Kaveh fa il giro del tavolo e gli si avvicina, si abbassa, gli posa la testa su una spalla, con il suo modo drammatico. Certo, ci ha rinunciato. Del resto, non ha pensato per un momento di ottenere risposte.

Ma così può arrabbiarsi e poi farsi consolare.

"Non ti sopporto" gli mormora in un orecchio.

Alhaitham sorride. "Lo so."

Ci vuole solo un attimo. Le loro labbra si sfiorano, poi Kaveh gli toglie il libro dalle mani e gli si siede sulle gambe. Come un'offerta. Il suo modo di sentirsi bene.

Non può dire che gli dispiaccia.

CeilingsWhere stories live. Discover now