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Potei finalmente tirare un sospiro di sollievo, di distacco ufficiale da ciò che un tempo era la mia "famiglia".
Notammo che si era fatto buio solo una volta usciti, eravamo stati dentro un bel po' con tutte le carte e i documenti da leggere  firmare. E in quel momento, la stanchezza incominciava a sentirsi, opprimendomi.
<<Non ci voleva, dannazione>> sbottò il professor Aizawa di fianco a me, nel mentre che cercava di mettere in moto la macchina, la quale si spegneva subito dopo.
Non so quante volte l'avrò pensato, ma mi sembrò veramente fatto apposta. Incominciai a pensare che forse qualcuno si stesse divertendo a scrivere il copione di questa mia stancante vita.
Ma, invece, il motivo era che mancava la benzina. Beh, effettivamente ci avevamo messo più di due ore per arrivare ma non avevamo visto nessun benzinaio.
<<E ora che si fa?>> domandai, facendomi prendere dall'ansia. Eravamo in una città sperduta, lontani da casa, senza benzina, e soprattutto con il mio professore. Quanto era ridicolo, perché proprio lui? Perché sembrava che in quel periodo ci fosse sempre lui di mezzo? Perché continua a intromettersi nella mia vita? Mi aveva aiutata, è vero, ma non ne aveva nessun motivo. Poteva benissimo tornarsene a casa e non si sarebbe trovato in quella situazione con me.
Mi sentivo spaesata, non riuscivo a comprendere la persona che era di fianco a me, che continuava ad accendere la macchina.
Era partito tutto da quando l'avevo visto in classe che piangeva, o forse anche prima? Forse quello era solo un pretesto?
Poi mi prese di mira, senza neanche nasconderlo, perché pensava avessi girato la voce che era un professore piagnucolone.  Dopo aver ribadito la mia innocenza, mi ha proposto di fare delle lezioni private per rimettermi in riga col programma, e da allora veniva tutti i giorni a casa mia. Poi, quel giorno, mi ha detto che i miei genitori erano morti e mi ha accompagnata in una banca a due ore di distanza nonostante fosse tardi.
Perché? Perché da quando l'ho conosciuto sembra che la mia vita stia andando a caso in una strada rotta e piena di curve?
<<C'è un hotel più avanti, dovrebbe avere anche un benzinaio>> disse rientrando in auto, dopo che era sceso per chiedere aiuto ai dipendenti della banca.
Così, scendemmo e ci dirigemmo verso l'hotel, che sembrava allontanarsi sempre più di più ad ogni passo.
<<Mi dispiace che sta passando tutto questo a causa mia>> gli dissi, da qualche passo indietro da lui, mentre camminavamo in piena notte in una strada con dei lampioni che si accendevano e spegnevano ogni tot secondi. Insomma, se sarebbe arrivato un assassino non sarei stata sorpresa.
<<Smettila di scusarti, sono io che ho scelto di venire>> ribadì lui senza nemmeno girarsi, lasciando che la sua voce si perdesse nella vastità di campagna che avevamo di fronte, che magari sarebbe stato anche un bello spettacolo se fosse stato giorno.
<<È stata una scelta avventata, la tua>> disse dopo un po' che camminavamo in silenzio. <<Gli altri farebbero di tutto per avere quello che potevi avere tu>> continuò e lo ascoltai in silenzio. Certo magari da fuori non si capiva, ma avevo le mie convinzioni. Ho sempre vissuto seguendo il mio codice morale, facendo quello che mi sembrava più giusto, e non avrei mai smesso. <<Fin da piccola le persone mi trattavano in modo diverso da gli altri bambini, mi portavano rispetto, mi regalavano fiori ma una cosa che li accomunava era ribadire sempre il loro cognome. Continuavano a dire come si chiamassero, ogni volta, come se volessero essere ricordati. Poi, crescendo, mi resi conto. Volevano avere un posto nelle aziende dei miei genitori e visto che loro li avevano rifiutati venivano da me. Come se fosse ovvio che quello che era dei miei genitori sarebbe poi diventato mio. Ma non è mai stato così. Ne ho passate tante, non voglio passare il resto della mia unica vita a dare ordini dietro una scrivania, dove i dipendenti eseguono i miei ordini non per rispetto ma per paura.>> spiegai e non riuscì a sentire la risposta visto che eravamo appena arrivati.
Non sapevo che tipo di Hotel avessero in quella città, ma dovetti leggere il cartello con il nome dell'hotel più volte per convincermi che non era una casa di una coppia anziana.
Era una graziosa casetta, tipico stile giapponese, con un tavolo fuori e un paratetto largo la metà del cortile.
Fatta di legno per la maggioranza, sembravano le case che trovavi nelle parti poi lontane dalle prefetture. Lo ammisi, vedere quanta semplicità e accoglienza emanava quella piccola casetta mi diede un senso di conforto. Come se in quelle quattro mura non ci fossero sembianze da rispettare, codici formali da seguire e responsabilità da reggere. Riuscivo già a vedermi là dentro, intenta a preparare il tè, che infondo non mi è mai piaciuto, e sapere che ogni decisione che sceglierei le conseguenze ricadranno solo su di me. Magari con una famiglia, passare anche una semplice serata tutti insieme, senza fare niente di particolare e viverci il momento senza la costante oppressione che la vita ha una scadenza e noi la sprechiamo così.

Good Kitty -aizawa x reader-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora