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Sharlisse sciacquò gli abiti incrostati di sangue nell'acqua gelata del torrente.

Mentre le mani le dolevano dal freddo, Sharlisse ripensò a tutto quello che era successo quella notte. In ordine: aveva quasi rinunciato al trono, si era quasi trasformata, era quasi stata rapita, era quasi stata uccisa ed era quasi stata scoperta. Come sottolineavano tutti quei quasi, era di nuovo arrivata ad un punto di non ritorno; ed era tornata indietro. Di nuovo.

Ora doveva schiarirsi le idee.

Per prima cosa c'era il suo miracoloso recupero della memoria. Senza accorgersene stava facendo qualcosa che le permetteva di riprendersi parte di sé stessa. Doveva capire cos'era e recuperare il maledetto ricordo di come fosse fatta la carrozza e quale fosse il prezzo da pagare per il passaggio verso la foresta.

Poi c'era la sua fame: andava e veniva, anch'essa inspiegabilmente saziata da qualcosa che non poteva essere il sangue umano. Doveva comprendere di cosa si stava nutrendo.

Infine doveva fare i conti con la realtà dalla quale era scappata: la foresta di cui doveva reclamare il trono era distrutta e qualcuno stava dando la caccia ai figli del sangue.

Sharlisse non era così ingenua da pensare che le voci intrappolate nelle sacche dei banditi appartenessero a dei semplici esseri umani: dovevano appartenere a qualcuno della sua specie. I banditi non erano apparsi minimamente sorpresi dalla sua metamorfosi, anzi, avevano dimostrato di sapere perfettamente con che cosa avevano a che fare e quali trucchi usare per riportarla indietro.

Doveva scoprire chi si nascondeva dietro a quella caccia.

Lish aveva detto che il re radunava coloro versati nelle arti del canto alla capitale, dove poteva proteggerli. Poteva essere una trappola, un modo per radunare tutti i possibili figli del sangue, oppure una conseguenza degli errori della banda: se avevano ucciso degli esseri umani per errore era naturale che il re avesse preso la decisione di sorvegliarli.

Quello non significava che gli perdonava di aver distrutto la sua foresta, la sua bella casa fatta di alberi e tenebre. Se fosse riuscita nel proprio intento di sedersi su quel trono, Sharlisse non gli avrebbe perdonato quell'affronto: a tempo debito avrebbe trovato il modo per vendicare il suo popolo.

Schiaritasi la mente, la figlia del sangue osservò con malcelato disprezzo gli abiti fradici e ancora vagamente macchiati di sangue. Sapeva che meglio di così non sarebbero venuti, perciò cominciò ad strizzarli e tentare di asciugarli quel tanto che le permettesse di non andarsene in giro in calzamaglia e camiciola.

«Scommetto che non sono neppure stata la prima scelta delle tenebre» mormorò tra sé e sé.

Dirlo a voce alta, invece di pensarlo, le fece sollevare un peso dal cuore e dalle spalle. Non essere la prescelta e non avere qualcosa di speciale la rendeva più serena: se avesse fallito le tenebre avrebbero tormentato la prossima in linea, affidandole lo stesso compito che ora aveva lei.

Ormai era in ballo e avrebbe ballato, ma non avrebbe avuto paura dell'insuccesso.

Osservò i propri abiti e sospirò. «Più asciutti di così non verrete, vero?» domandò loro. Non che si aspettasse una risposta, stava solo cercando di convincersi che non valeva la pena fare un ulteriore tentativo: era più resistente al freddo degli esseri umani, ma non sopportava bene l'umidità.

Con un brivido lungo la schiena infilò gli abiti bagnati e, sperando vivamente che gli altri arrivassero presto, tornò dal soldato.

Quando si avvicinò, lui aprì un occhio per verificare la sua identità. Dopo una frazione di secondo, in cui realizzò che si trattava proprio di Sharlisse, emise una specie di ringhio mentre si sollevava a sedere. «Togliti quegli abiti bagnati, ti prenderai qualcosa» le intimò.

Lei lo osservò sorpresa: davvero si aspettava che gli ubbidisse?

Stava per rispondergli in un modo poco femminile quando Lish le lanciò a tradimento una maglia, che lei riuscì ad intercettare solo grazie ai suoi riflessi felini.

«Metti quella, nel frattempo» le spiegò, dandole le spalle. «Possiamo accendere un fuoco finché non ci raggiungono, male non ci può fare.»

Infastidita dal dover accettare quel gesto gentile e scocciata dall'idea di tenersi addosso gli abiti bagnati, Sharlisse decise di assecondarlo. Non aveva voglia di litigare.

Si spogliò e indossò la maglia.

Una volta all'asciutto, senza rendersene conto, inspirò a fondo, inondandosi dell'odore di lui che impegnava il capo. Le venne immediatamente in mente che quella notte aveva dormito con quel profumo nelle narici. Le dava quasi una sensazione di sicurezza.

«Dove sei diretta?»

Sharlisse sedette accanto al fuoco appena acceso. Appoggiò i propri abiti bagnati sulla mano tesa di Lish e in silenzio lo osservò disporre gli abiti perché si asciugassero.

Quando poi ebbe finito, lui tornò a fissarla, negli occhi l'attesa di una risposta alla propria domanda.

«Perché lo vuoi sapere?»

Lui sbuffò e si passò la mano tra i capelli. «Come ti hanno detto, sua maestà sta portando tutti i cantanti alla capitale per proteggerli. E anche se puoi non ritenerti una cantante, hai avuto riprova che qualcuno sta cercando di rubarti la voce.»

«Vado alla Foresta dei Sogni Donati» gli disse, abbassando il capo per evitare di vedere i suoi occhi che la valutavano. «Vado a fare un'offerta, poi mi recherò alla capitale» mentì, sperando di suonare abbastanza convincente.

Non poteva vedere la reazione di lui alla proprie parole, ma sperava sinceramente che le credesse. Si ostinò a non guardarlo.

«Da sola?»

Sharlisse esitò.

Come avrebbe fatto a convincerlo a desistere, se si fosse offerto di accompagnarla?

Aveva ampiamente dimostrato di prendere il proprio compito di scorta sul serio: l'aveva raggiunta e protetta, riuscendo a tenere il passo di un gatto mannaro e dimostrando rimarcate abilità di guerriero. La sera prima erano riusciti a sopraffarlo, ma sarebbe stato così facile rifarlo?

Non poteva rischiare, doveva allontanarlo. L'unico modo era rassicurarlo che era protetta e poi declinare ogni eventuale proposta di aiuto. E doveva essere persuasiva.

«Loubert va alla capitale, volevo chiedergli di accompagnarmi» rispose, sicura di poter facilmente manipolare il ragazzo anche senza l'aiuto di Attila. Da come si comportava era evidente che aveva un debole per lei. Lo avrebbe sfruttato al meglio.

Alzò il capo per incontrare il viso sempre serio e pensieroso di Lish.

«Alla stazione ci saranno altre scorte, non è così? Per accompagnare i visitatori alle varie destinazioni» aggiunse, realizzando che doveva per forza essere così: nel messaggio il re aveva comunicato che i viaggi superiori alla giornata dovevano avere una scorta, quindi lì avrebbe trovato qualche militare che la accompagnasse, possibilmente meno intelligente e valoroso dei soldati della guarnigione di sua altezza reale. Li avrebbe soggiogati e sfruttati fino a che fosse stato necessario. Poi li avrebbe uccisi.

Lish annuì con un breve e rigido cenno del capo. Poi si alzò.

«Vado a prendere un po' di legna.»

Lei lo lasciò fare, contenta di non dover continuare quel discorso. Irrazionalmente si ritrovò a pensare di aver vinto la discussione.

Protese le mani verso il fuoco e insiprò soddisfatta.

Sangue e SogniWhere stories live. Discover now