La lattina.

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"Quién luchar puede perder, 

que no lucha ya ha perdido."


"Chi lotta può perdere, 

chi non lotta ha già perso."




Inspira.

Chiude l'occhio sinistro: un vecchio trucco per prendere meglio la mira.

Solleva il braccio, la mano stretta intorno all'impugnatura della Colt calibro 45.

La stessa che ha regalato al colonnello il giorno del suo compleanno.

La lattina di Coca-Cola è là, a trenta metri di distanza.

Fidel inspira e raddrizza la schiena.

Sente il filo di sutura tendersi fino allo spasimo, sotto la camicia grondante di sudore.

Il dolore non può essere più forte di lui.

Non può.

Non deve.

«Fidel Castro deve vincere» si ripete di nuovo, un mantra a cui è impossibile sottrarsi. «Fidel. Castro. Deve. Vincere.»

Punta lo sguardo sulla maledetta lattina.

Lo sente, è il momento.

Avverte il tunnel d'aria fra lui e l'alluminio arrugginito.

Fidel inspira per la seconda volta.

Preme il grilletto.

Il proiettile strilla, il fremito si spande lungo il suo braccio.

Il cane della Colt rincula con uno schiocco.

Fidel vede la cartuccia volare verso la lattina.

Ha vinto.

Ma, allora, perché la lattina non si schianta a terra?

E perché il colpo detona nel vuoto?

Fidel sputa nella sabbia, la delusione gli mette in bocca bestemmie verso tutto e tutti.

«Di nuovo?» domanda Ernesto, porgendogli la sua sigaretta.

Fidel gliela strappa di mano e aspira avido. La nicotina è amara, puzza di fallimento. «Di nuovo. Di questo passo non potrò mai ritornare vivo, lo so. A questo punto, faccio prima a disertare.»

Ernesto lo afferra per il bavero della camicia. «Non dirlo nemmeno per scherzo.» Si riprende la sigaretta, togliendola dalla bocca di Fidel, mentre con l'altra mano si appropria della Colt calibro 45. «Forza, tiriamo insieme.»

Fidel scrolla le spalle e si gira sui tacchi. «Ma neanche per sogno.»

Non fa in tempo a compiere il primo passo che Ernesto lo riacchiappa per un braccio e lo tira a forza verso di sé. «Non fare il bambino. Ti ammazzeranno come una bestia, né più né meno, se non saprai difenderti. E non penso che tu voglia fare la fine del martire, vero, Fidel?»

«Perché? Tu sì, invece?» Fidel si dimena, pesta un piede ad Ernesto. «Te l'ho detto: è meglio disertare. Me ne vado dall'isola e mi rifaccio una vita in Messico, con o senza il tuo aiuto!»

Non si sarebbe mai aspettato che uno schiaffo di Ernesto potesse fare così male.

Fidel barcolla con la mano sulla guancia, e il labbro spezzato che ha già preso a sanguinare.

«Smettila di dire cazzate e combatti!» gli grida l'argentino. «Hai capito, stupido?! Combatti! Combatti!» Questa volta, la minaccia del prossimo ceffone è sufficiente per impedire a Fidel di replicare.

Ernesto gli ordina di metterglisi accanto, e di impugnare la Colt.

La mano dell'argentino stringe quella del cubano, mentre Ernesto tenta di guidare il movimento.

«Prendi la mira.»

Fidel sente il fiato di Ernesto sul collo.

Chiude l'occhio e si morde la lingua per concentrarsi.

«Ti ho detto di prendere la mira, non di fingere di farlo.»

«Ma io lo sto facendo!» protesta Fidel.

Ernesto lo fulmina con uno dei suoi sguardi biechi. «Quante volte mi devo ripetere, Fidel?»

Fidel ci riprova.

Solleva la mano, ed Ernesto fa lo stesso.

Gli è sembrato di vedere la lattina ghignare sulla palizzata.

«Ora, un bel respiro» mormora Ernesto.

Fidel obbedisce.

«Raddrizza la schiena.»

Fidel tenta di attenersi al consiglio, ma un'improvvisa fitta che pare squarciargli in due la pancia lo convince a desistere.

«Raddrizza la schiena, ti ho detto» ringhia Ernesto.

«Non posso» singhiozza Fidel. «Il filo...»

«Il filo non si spezzerà» ribatte Ernesto, prima di afferrare con la mano libera la spalla di Fidel e tirarla all'indietro.

Il dolore è così lancinante da strappare a Fidel un ruggito da leone ferito.

Ma ora, perlomeno, è dritto come un palo.

«Visto?» gli chiede Ernesto. «Tu ti fai governare dalla paura, Fidel. Ma un soldato non deve avere paura. E non deve provare dolore.»

Fidel avverte il dolore scomparire ogni secondo di più, come se il suo corpo si fosse finalmente deciso ad assorbirlo dentro di sé.

«Ora, prendi la mira.»

Fidel prende la mira.

«Raddrizza il braccio.»

Fidel raddrizza il braccio.

«Premi il grilletto!»

La Colt rincula nelle mani dei due compañeros.

Il proiettile si schianta contro l'alluminio.

La lattina viene sbalzata via, oltre il legno della palizzata.

Fidel Castro ed Ernesto Guevara hanno vinto ancora una volta.


Mi mejor enemigoWhere stories live. Discover now