Secondo capitolo.

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Il tragitto che separa casa mia dall'ospedale è abbastanza breve.
Mentre Simo guida, e mamma e Rachele dal sedile posteriore bisbigliano e sogghignano, io mi sporgo dal finestrino e mi perdo a guardare il cielo con una totale naturalezza; infatti noto subito che è colorato da righe rosa e occupato da nuvole bianche , il classico tardo pomeriggio primaverile che ti fa stare meglio.
Pensando a ciò accenno un sorriso, Simo se ne accorge mi guarda e sorride anche lui.
Siamo così in simbiosi io e lui; a volte quasi sento che mi possa leggere nel pensiero, perciò mi concentro a non considerare quanto fosse carino, se sorridesse di più. D'altronde però non posso biasimarlo io non sorrido mai, e le volte in cui lo faccio, lo faccio in modo così sforzato e del tutto falso.

'Donzelle, siamo arrivate a destinazione.' -dice Simone sogghignando.
Mentre Rachele e mia madre lo ringraziano, io gli butto le braccia intorno al collo.
'Mi hai fatto spaventare!' -mi sussurra all'orecchio.
'La prossima volta cercherò di stare più attenta' -dico sogghignando.

Stasera Rachele resterà a dormire da me.

'Per nessuna ragione al mondo ti lascio dormire da sola, potresti cadere dal letto e prendere una botta in testa.' -dice sogghignando.

Inizio a ridere anch'io alle sue parole, sa essere così fastidiosa quando vuole.

La mattina ci svegliamo alle 7:30, questa notte due occhi verdi balenavano nei miei pensieri, inoltre ho fatto sogni strani quasi surreali.
Ricordo tanto caos e trambusto, assordanti rumori e luci forti; io distesa sul pavimento con la vista annebbiata, con un forte dolore alla testa, ero incapace di muovere qualunque arto del mio corpo ,ma in tutto quel fermento riuscivo a mettere a fuoco solo due occhi verdi, non volevo perderli di vista e mollare la presa, mi incuriosivano e turbavano. Un'ossessione.

'Buongiorno Aurò, dormito male stanotte?' -mi dice Rachele.
'Abbastanza, mi stavo quasi abituando al lettino dell'ospedale.' -dico sogghignando, lei accompagna la mia risata.
In casa è tutto spento, eccetto la luce in cucina. Vado per spegnerla, e vedo un bigliettino sul tavolo, piegato per bene. Lo apro e capisco, nonostante abbia la vista offuscata dal sonno, che è la calligrafia di mia madre.

'Sono dovuta scappare per lavoro, ho da fare importanti interviste ad Amsterdam, non so quando torno. Abbi cura di te e non combinare casini.
Mamma.'

E se n'è andata di nuovo, sua figlia è uscita dal coma, allora può tornarsene in giro per il mondo con una cazzo di penna e blocchettino in mano, ad ascoltare le assurde storie di uomini che stanno meglio di lei. Il problema è che sogna di essere come loro, allora si perde in quelle parole e inizia a fantasticare una vita che non è sua e che non avrà mai. Ma non m'importa. A lei non importa di me. Vuole stare lontana da questa casa e io voglio stare lontana da lei.
Gli occhi iniziano a pizzicare, cerco di buttarli al cielo per evitare di piangere; Rachele se ne accorge e viene in cucina, legge prima il bigliettino e poi mi abbraccia.
Mi abbandono nelle sue braccia e inizio a piangere, da troppo trattenevo le lacrime, prima o poi dovevo manifestare a qualcuno le mie fragilità.
Cerco di ricompormi appena inizia a sussurrare parole con un tono di pena e dispiacere, nessuno deve commiserarmi; allora mi asciugo le lacrime cercando di sforzare un sorriso, cercando di accentuarlo il più possibile.

'Ti è entrata qualcosa negli occhi, eh?' -dice Rachele sogghignando.
C'è poco da fare nessuno mi capisce come lei e Simone.
Annuisco accennando un sorriso.

Dopo mezz'ora siamo pronte, e ci ritroviamo alle 8:15 su una panchina ad aspettare Simone.
Simone si è offerto di accompagnarci a scuola fino alle vacanze estive per evitare che io e Rachele andassimo a scuola con il motorino e ogni volta che gli chiediamo il perché lui risponde in modo vago e spavaldo, si sforza a non ammettere che ha un grande senso di protezione nei nostri confronti.

Arriva dopo cinque minuti, suona ripetutamente il clacson nonostante siamo poco distanti dalla sua 500 bianca, e mentre io e Rachele ci accapigliamo per decidere chi deve stare nel sedile del passeggero vicino Simo, lui minaccia di andarsene perché è tardi.
Alla fine ho la meglio e mi siedo davanti. Io non perdo mai o vinco, o imparo; e in questo caso non c'è nulla da imparare.

Dopo aver cantato tre volte 'Stay with me' di Sam Smith, arriviamo a scuola.
Appena i miei passi sicuri attraversano l'entrata del Liceo, un gruppo di ragazzi si avvicina per chiedere cosa mi è successo, alcuni se la ridono dicendo che solo una squilibrata come me può lasciare le mani dal manubrio. Accenno un sorriso, uno dei miei sorrisi più falsi e dopo aver salutato Simone e Rachele, vado nella mia classe.

'Morena buongiorno, come stai? Ho saputo dell'incidente!' -dice il mio prof di filosofia, se non il mio professore preferito.
'Buongiorno prof, meglio grazie mille.'

Sento bisbigliare e sogghignare dall'ultimo banco, una voce da oca rompe il mormorio:
'Prof sapete, non tutti riescono ad imitare Valentino Rossi.' -la classe accompagna con una grossa risata la battutaccia di Francesca; io come al solito cerco di ignorarla.

Ma le stelle non lo sanno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora