In un altro universo

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Villa Balestra immersa nella luce del crepuscolo del primo mattino è un sentimento arduo da spiegare con le parole. Il silenzio assoluto che la ingloba e la inghiotte nel suo grembo placido non lascia spazio neanche al dolce canto delle cicale, anche loro sono assopite dopo il lungo e spasmodico fritinnire della notte. Tutto tace, la città dorme ancora, neppure un flebile rombo di motore si ode dalla strada lontana.

Qualche raggio di luce fulgida, ma ancora flebile, penetra dalle tende scure lasciate semiaperte. Si adagia sui mobili, risveglia pulviscoli, accarezza i due corpi che giacciono proni sui lettini al centro della stanza.

Manuel apre lentamente gli occhi, il braccio addormentato - piegato sotto il cuscino - gli fa storcere il naso, borbottare qualche parola senza senso e lo costringe a girarsi. I capelli ricci, arruffati dalla frizione della notte con il cuscino, si portano dietro ancora delle sfumature più chiare che hanno sapore d'estate.

Ci prova da settimane ormai a dormire almeno fino alle sette del mattino, ma da quando ha cambiato casa, vita a dire il vero, il suo orologio biologico ha smesso di funzionare a dovere. Eppure in fondo, nonostante le decine di lamentele per la mancanza di sonno, crede che la sua mente lo faccia apposta, perché ama bearsi della calma del mondo ancora addormentato, quando ad esistere è solo lui, con il flebile sibilo del vento che si infiltra timido tra le chiome coniche degli alberi che circondano l'immensa villa.

E poi gli piace questo, voltarsi stordito, indolenzito e non ritrovarsi da solo.

Anzi, voltarsi stordito, indolenzito e ritrovarsi Simone accanto, che respira sereno.

La schiena che si alza e si abbassa dolcemente, provocando un impercettibile movimento delle lenzuola azzurre e bianche a righe, i ricci corvini sparpagliati sul cuscino, la fronte distesa di chi non conosce altro sentimento oltre la serenità più assoluta, le ciglia lunghe e nere che accarezzano gli zigomi, le labbra rosse e piene disegnate dalle abili dita di Afrodite.

Fa questo Manuel al mattino, nella penombra di una stanza che non gli appartiene. Disegna Simone, lo dipinge, lo crea, lo disfa, lo ricompone.

Ed è consapevole che un'immagine così pura e limpida non può coesistere con la complessità del suo pensiero, con la paura di rovinare tutto che avverte fin dentro le ossa, nonostante stia già accadendo.

Simone è coraggio, lui è un codardo, e non merita niente di tutto ciò che gli sta, pian piano, scivolando dalle le mani.

Così distoglie lo sguardo, in una routine ormai prolissa che, però, non accenna a cambiare.

Si alza, attento a non far rumore per non svegliare l'altro, e si dirige a piedi scalzi, con solo una maglietta grigia a maniche corte indosso, al piano di sotto.

Se da un lato la quiete - in cui risuona amplificato il suono piatto dei suoi passi sul pavimento freddo- risulta anche piacevole, dall'altro diventa terribilmente opprimente.

Perché non c'è niente e nessuno a disturbarlo, a distrarlo dai pensieri che sbattono vorticosamente da una parte all'altra della sua mente, come detriti spazzati via e disintegrati, ridotti in polvere, dal più catastrofico dei tornado.

La situazione precaria di sua madre - che non ha del tutto accettato che Nicola, suo padre, abbia acquistato la piccola libreria in cui lei ha da poco iniziato a lavorare - il non essere più un'unica anima, perché quando hai un fratello o una sorella è irrimediabilmente divisa in due corpi, la situazione con Nina - al limite del surreale - tutto ciò lo sta confondendo e distraendo dall'unica cosa che potrebbe garantirgli di nuovo un appiglio sul mondo.

È che Manuel è questo, quando qualcuno a cui tiene ha bisogno d'aiuto non ci pensa due volte ad agire, si butta di testa nel problemi, anche se spesso rischia di rompersela. Le cose con Nina si sono evolute molto velocemente, ed è mentre prepara la moka nella piccola cucina, che riflette su quanto accaduto la sera prima.

C'è un altro cielo Where stories live. Discover now