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Manuel Ferro aveva superato l'esame di maturità con un gran calcio in culo e un ammonimento del suo professore di latino, tale Lombardi, su come non se la sarebbe cavata così tanto facilmente dopo.

Manuel, all'epoca, alzò un dito medio e in risposta si beccò uno schiaffo sulla nuca della madre. Quel giorno si ripromise che sarebbe tornato in quel liceo, nel Da Vinci, da vincitore e gliene avrebbe cantate quattro e più a quel vecchiaccio.

Dalla maturità erano passati tre anni o poco più. Dicembre era alle porte, Anita lavorava a tempi pieno in una libreria vicino la sua vecchia scuola e di notte racimolava qualche spicciolo in più con le traduzioni.

Sempre quelle benedette traduzioni, ao. Le diceva quando se ne andava da casa nel tardo pomeriggio per andare a lavorare.

Manuel aveva continuato gli studi e lavorava in una osteria vicino al Colosseo, come cameriere. Non ci campava ma non gravava troppo su sua madre, due stipendi costituivano poco più della metà delle prima tassa universitaria e quelle non finivano mai.

L'osteria in cui lavorava si chiamava Bello de mamà, il che l'aveva solo convinto a presentarsi e poi aveva scoperto cercassero un cameriere. Di esperienza lui ne contava zero, ma erano alquanto disperati e l'avevano assunto.

Gloria, la proprietaria, era una signora sulla sessantina e suo figlio era prossimo a prendere le redini di quel posto ma lei non voleva mica saperne qualcosa di andare in pensione.

"Manuè, prendi le ultime ordinazioni. E trattami bene il tavolo 5 che so' de casa!" Gli aveva urlato e lui annuì stringendosi meglio il grembiule in vita.

Era arrivato in ritardo di dieci minuti, Gloria non l'aveva rimproverato nonostante fosse un festivo - sabato - in mese di pienone - Dicembre. Come se non bastasse il suo motorino l'aveva lasciato a piedi e lui cor cazzo lo abbandonava in mezzo alla strada. Se l'era dovuto trascinare fino a lì. Ovvio che era arrivato tardi.

Il tavolo 5, in effetti, era tra i migliori che avessero a disposizione. Era vicino la vetrata, per un massimo di due persone, circolare e con una meravigliosa vista sul Colosseo. Tuttavia, al momento, non c'era nessuno seduto.

"Gloria ma non ce sta nessuno ar cinque!" Le urlò con due piatti su un braccio ed un terzo nell'altra mano.

"Non te' preoccupà, il ritardo è compreso ner prezzo!" E Manuel rise. Per portare avanti a quell'età un'attività che ancora andava tanto bene, nonostante la feroce competizione, dovevi per forza saperci fare.

Infatti, nonostante il freddo, erano molte le persone che avevano deciso di accomodarsi fuori. E per carità, loro i funghetti - non proprio a norma de legge - li avevano messi ma Manuel, che era un tipo freddoloso, pensava: manco pe' la mejo carbonara de Roma stavo qua io.

Lo pensava proprio mentre serviva due carbonare ed una amatriciana al tavolo dieci. Lo ringraziarono e lui, in risposta, fece un occhiolino che poteva significare tutto e niente.

Prima di rientrare e rimettersi a lavoro, si prese solo un secondo per fermarsi e respirare.

"Giornataccia, eh?" A parlare era stato un ragazzo, proprio fuori il locale. Aveva degli occhiali da vista, una montatura nera spessa che gli calava sul naso, e un cerchietto argentato finissimo all'orecchio sinistro.

"Non c'hai idea" gli rispose, pulendosi le mani al grembiule. Lo sconosciuto buttò a terra il mozzicone di sigaretta e abbozzò un sorriso comprensivo. Poi fece per dirigersi verso l'entrata.

"Faccio io." Lo precedette Manuel e gli aprì la porta. Il ragazzo dapprima guardò solo lui qualche secondo, non ci si soffermò troppo, e poi la porta spalancata. Era quasi scettico da quel gesto.

Quelli come me, Quelli come te.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora