𝕿𝖍𝖊 𝖉𝖔𝖑𝖑

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Era il mio primo giorno di "lavoro", non era un lavoro vero e proprio, ma avevo bisogno di soldi e quei pochi con cui mi ero abituato a vivere non bastavano più.
Avevo iniziato a chiedere in giro per il paese se qualcuno fosse stato disposto a darmi qualche spicciolo in cambio di alcuni piccoli lavori e dopo svariate ricerche trovai finalmente una persona disposta ad aiutarmi: un anziano signore di nome Oliver Johnson, appassionato di collezionismo, che mi aveva chiesto di fare i soliti incarichi come badare al suo cane mentre era via o prendermi cura del prato davanti alla sua abitazione e a me andava bene, così accettai.
Quando arrivai sul mio nuovo "posto di lavoro" vidi per la prima volta la casa del Signor Johnson: era una grande casa gotica, le classiche case che venivano costruite verso la metà del XII secolo, molto alta con le pareti di un turchese opaco, quasi sul grigio e il tetto era retto da dei pilastri bianchi.
Davanti all'abitazione un ampio giardino ricoperto da un manto d'erba verde.
Scesi dall'auto, attraversai l'ampio giardino, mi fermai davanti alla ricca porta di mogano e bussai tre volte: venne subito ad aprire un uomo o meglio un anziano.

<Tu sei Nathan giusto?> Mi disse.

<Sì. Lei dev'essere il Signor Johnson, l'indirizzo è questo...> Dissi dando un'occhiata al cellulare che tenevo in mano.

<Sì sono io, accomodati pure!> Rispose lui facendomi cenno di entrare.

Appena entrati in quella casa, o per meglio dire villa, restai a bocca aperta , l'interno era meglio dell'esterno:
la maggior parte degli arredi erano dello stesso legno della porta e al centro della sala principale si trovava un grande tappeto rosso, ma la cosa che mi colpiva di più era la quantità di quadri appesi ai muri, alcuni rappresentavano figure umane perfette, altri degli animali e delle piante e altri ancora rappresentavano delle strane creature, non proprio animali, ma nemmeno uomini.

* * *

Dopo circa 30 minuti riuscimmo, con mio grande stupore, a visitare completamente l'intera abitazione inclusi i piani superiori e quelli inferiori; il Sig Johnson mi disse di tornare allo stesso indirizzo il giorno dopo e così feci.
Il giorno seguente mi svegliai di primo mattino e tornai nella stessa casa del giorno precedente, ma questa volta sul tavolo della grande sala c'era un piccolo Post-it bianco con soprascritto qualcosa:

-Taglia l'erba del prato
-Spolvera i soprammobili
-Pulisci le finestre ecc.

Iniziai subito a darmi da fare e completati tutti gli incarichi entro le 15:00 del pomeriggio, poco dopo arrivò anche il
Sig Johnson che mi dette la mia prima mancia: 15$
Non erano tanti ma, essendo già abituato a vivere con poco denaro, per me quello era un traguardo.

* * *

Il secondo giorno mi parve uguale al primo:
solita sveglia,
solito orario,
solito Post-it,
soliti lavori.
Mi sembrava tutto nella norma, quando notai che nella lista degli carichi uno era differente dal giorno prima e preso dalla curiosità iniziai proprio da quello.

L'incarico diceva:
-Riordina la scrivania

Non ricordavo di aver visto una scrivania ma dopo aver cercato a fondo la trovai e scoprì anche qualcos'altro che avrei preferito non trovare:
due bambole sedute una accanto all'altra, una con i capelli ricci e biondi raccolti in due piccole trecce, gli occhi azzurri, la pelle chiara, quasi bianca con le lentiggini; l'altra aveva i capelli neri, sciolti e mossi, gli occhi erano di un bel verde acceso e indossava un vestitino bianco.
Dopo averle viste mi allontanai, cercai solo di ignorarle e di continuare a svolgere i miei compiti.
Per il resto della giornata andò tutto bene, a parte per l'immagine delle due bambole di ceramica che non mi andava via dalla testa.

* * *

Il terzo giorno continuai a pensare alle bambole del giorno prima e, anche stavolta preso dalla curiosità, chiesi al Sig Johnson di che cosa si trattassero.

<Sono due bambole che possiedo da tanto tempo, la bambola con i capelli neri mi è stata data da un altro collezionista, mentre quella bionda sono riuscito a comprarla ad un'asta.> Mi rispose lui.

Ormai si era fatta sera, avevo ricevuto quel poco di denaro che mi spettava ed ero soddisfatto della risposta del Sig Johnson che mi disse di arrivare prima al lavoro, così me ne andai.

* * *

Il quarto giorno arrivai un po' più presto rispetto degli altri giorni come mi era stato raccomandato, ma sopra il tavolo non trovai il solito foglietto, anzi non trovai nulla, nemmeno il Sig Johnson, ma ormai avevo imparato quasi a memoria le faccende così inizia comunque a lavorare.
Aveva uno strano presentimento, sentivo come la sensazione di qualcuno o qualcosa che continuava a guardarmi, come se mille occhi nascosti dal mogano delle pareti mi guardassero, quella sensazione continuò fino alle 15 in punto, l'orario in cui decisi de andarmene.
Girai la chiave due volte, girai il pomello ma la porta non si aprì, allora la girai nel senso opposto ma la situazione non cambiò, tentai per diversi minuti di aprire la porta finché la chiave non si ruppe.
Ero nel panico più totale, non sapevo come reagire, stavo andando in asfissia, allora mi venne il colpo di genio e andai nella camera da letto del Sig Johnson per cercare un altro paio di chiavi, mentre cercavo dentro degli scomparti udii un pianto, il pianto di una bambina.
Aprì lentamente la porta della stanza da letto, feci qualche passo verso l'esterno e mi incamminai nel corridoio cercando la fonte di quei lamenti disperati.
Quando capii da dove arrivavano quei singhiozzi rimasi impietrito: veniva da una delle due bambole sulla scrivania.
Ero così concentrato a capire da quale delle due bambole provenissero quei lamenti che un sibilo, proveniente da da dietro di me, mi fece quasi trasalire:
era la stessa voce della bambola ma questa volta non piangeva anzi rideva, rideva sempre più forte, più i secondi passavano più la sua risata si contorceva diventando un qualcosa di metallico, martellante; mi voltai e quello che vidi mi fece gelare il sangue, era una bimba di circa otto anni seduta a gambe incrociate dietro di me, con i capelli neri e gli occhi di un verde smeraldo che risplendevano nel buio del corridoio.

Da qui in poi non ricordo quasi niente a parte il fatto che continuavo ad urlare e a gridare per il dolore e per la paura e che le risate e i pianti della bambina si univano ai miei lamenti di dolore per i graffi e per le ferite da cui grondava sangue e speravo solo che qualcuno mi sentisse, sentisse le mie urla disperate, poi il buio, il nulla.

* * *

Mi sono risvegliato qui, in questo ospedale di chissà dove, non riesco a muovermi, non riesco ad alzarmi; forse era solo un'allucinazione, ma se fosse stato solo un sogno...
cosa sono questi graffi sull'addome...?

1139 parole, sono fiera di me UwU

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