08. Dirty play

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Questo capitolo potrebbe urtare la sensibilità di chi legge.

Dale

Dovetti portami le mani agli occhi, strofinandoli per cercare di ritrovare un minimo di lucidità.

Fern mi ritrovò e mi toccò la spalla, chiedendomi:«Tutto bene moccioso?» ironicamente.

Ma no, che non andava bene.

«Fernand... si, però devo allontanarmi per un po' da qui.» gli dissi,  facendogli capire che avevo bisogno di prendere aria.

C'era troppa gente e in più mi girava la testa.

«Vado a cercare il bagno.» Fern annuì, alle mie parole.


Con le mani alle tempie, percorsi il corridoio di prima e tentai di capire dove potesse trovarsi il bagno.

Mi sembrava un labirinto quella casa e più camminavo più il mal di testa aumentava.

Accidenti. Ma tutte a me.

Mi appoggiai alla parete dietro di me, era fredda e quasi mi sentii sollevato. Faceva contrasto con le mani calde, che mi ritrovavo in quel momento.

Feci un respiro profondo e al tre ripresi a camminare. Una volta arrivato alla fine del corridoio, trovai tre stanze.

Non sapevo se fosse appropriato andare in giro, ma dovevo allontanarmi dalla confusione per cinque minuti.

Ne avevo bisogno.

Decisi di apre la prima porta, ma era una camera matrimoniale e andai avanti ad aprire le altre due.

L'ultima più nascosta alla vista, era il bagno che cercavo.

Finalmente.

Non feci in tempo ad aprirla, che qualcuno mi spinse dentro e chiuse la porta alle sue spalle.

E ora chi era?

Era lei.

Questa volta più vicina e i miei occhi non aiutavano perché vedevo sfocato.

Aveva un abito lungo addosso di un verde prato e dei tacchi che al suo passaggio non lasciavano alcun rumore.

«Bene bene, ci rincontriamo stalker.» esclamò, scoccando la lingua al palato.

Ridendo incrociò le braccia al petto, su cui una scollatura profonda arricchiva la bellezza di quel vestito.

Il tintinnio di alcuni bracciali, mi arrivò ai timpani dandomi fastidio.

Mi portai nuovamente le mani alle tempie.

Il mal di testa non faceva che peggiorare.

«Qualcuno si è ubriacato, vedo!» e la risatina fastidiosa, andò avanti.

Non mi accorsi che fossimo uno di fronte all'altro e la sua figura arrivava quasi alla mia altezza.

I tacchi la aiutavano.

Non sapevo dove guardare e sollevai lo sguardo verso il soffitto di un bianco panna.

«Non ci siamo capiti proprio.» Ribadì, prima di avvicinarsi ancora di più.

«Direi, che sarebbe ora che mi dicessi cosa ci facevi con le mie foto a scuola.» e puntualizzò che non aveva nessuna intenzione di lasciarmi andare.

Mi prese il mento tra le mani e rabbrividii al contatto di quelle mani più fredde.

Blue ThornsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora