1• Una ragazza tanto semplice

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Un mondo dove ami le farfalle, non rifletti sul perché esisti, sui tuoi sentimenti, perché li provi e per chi li provi. Le farfalle ti piacciono fino a quando non scopri che la loro vita dura un giorno. Allora a cosa servono?
Non rifletti sul perché esisti e sui tuoi sentimenti finché non arriva lei. Perché lei ha smosso i tuoi organi, ha attivato il tuo cervello.

Indossavo quella gonna. A me non piaceva, ma mamma diceva che mi donava, quindi la mettevo comunque. Lunga sotto le ginocchia, a scacchi, verde, con delle striature sul bordo. La indossavo assieme ad una camicia bianca e delle ballerine nere. I miei capelli biondi erano legati con un fermacapelli. Non erano molto lunghi, arrivavano appena sotto le spalle. Avevo per le mani il mio quaderno giallo. Sopra c'era segnato il mio nome con una scrittura elegante. Albachiara. E chi mai si chiamerebbe Albachiara? Eppure era il mio nome. Mi piaceva, era particolare, diverso da quello degli altri. Anche io lo ero, lo sapevo. Ero destinata ad una vita e me ne ero rassegnata. Volevano che diventassi in quel modo e lo sarei diventata. Volendo o no.
Durante il mio rientro a casa mi accorsi che una famiglia si era trasferita nell' appartamento accanto al mio. Era vuoto da tempo e sapevo che qualcuno ci sarebbe andato a vivere, ne avevo sentito parlare. Avevo notato entrare una ragazza piuttosto alta. Non era per niente magra e non capivo perché indossasse quella maglietta corta con la pancia esposta. Non sarebbe stato molto piacevole agli occhi degli altri. I suoi capelli erano molto lunghi, quasi arrivavano a sfiorarle il sedere.
Si voltò per qualche secondo avendo sentito un rumore ed è lì che vidi i suoi occhi. Un castano scuro, talmente scuro che chiunque ci si sarebbe perso, ma non  feci caso al colore, quantomeno alla loro profondità. Le sue labbra leggermente aperte. Mi sorrise e poi entrò nell' appartamento.
La imitai immediatamente. Non appena entrata mi voltai dalla parte della parete su cui era appeso un crocifisso in legno di cedro, ereditato dalla mia famiglia dalla mia trisnonna, deceduta molti anni prima che venissi al mondo. Feci il segno della croce, per poi baciare il dorso della mano e poggiare due dita sul petto di nostro signore. Era una cosa che facevo tutte le volte che entravo in casa e ne uscivo, me lo avevano insegnato i miei genitori ed era una cosa che mi era rimasta di abitudine. Da quello era composta la mia vita. Da abitudini. La scuola, il catechismo ai bambini e la chiesa. Non era emozionante, ma quantomeno era tranquilla. Non avevo subito grandi dolori, se non la morte di una delle mie nonne. Lei mi diceva sempre di seguire ciò che volevo io. E così stavo facendo. O forse no.

Quella sera mia madre mi ordinò di portare la spazzatura fuori. Io obbedì senza repliche. Una volta scesa sul retro del palazzo, mentre rovesciavo il contenuto del cestino di plastica in quello identico ma più grande, sentì una voce nuova dietro di me. Mi girai di scatto per la paura. Non era molto sicuro stare in quel posto la sera. Era buio e ci si poteva nascondere chiunque.
Incontrai nuovamente quegli occhi scurissimi, quasi invisibili nella penombra.
"Ti ho vista oggi." La sentì pronunciare.
"I nostri appartamenti sono vicini." Sentì ancora.
"Già, anche io ti ho vista."
"Ti va di conoscerci?" Disse immediatamente dopo.
In realtà non ero molto convinta. Non sembrava il tipo di ragazza da conoscere. Molto trasandata, trasgressiva, non era il tipo di amica che volevo.
Rimasi in silenzio a riflettere su che dire per non offenderla e potermene andare via al più presto, ma lei si avvicinò e prese il mio polso velocemente. Forse se ne pentì, perché successivamente fece scivolare la sua mano nella mia con dolcezza. Mi strattono leggermente per indurmi a muovermi, così azzardai un passo in avanti.
"Dai, su, non fare la timida." Da dietro vedevo i suoi capelli oscillare e non potevo fare a meno di pensare a quanto sarebbero stati belli i miei se fossero stati lunghi come i suoi. Ma non me lo potevo permettere.
Mi portò davanti ad un gradino, davanti alla porta d'entrata di un negozio, ormai chiuso, data la tarda ora. Era un punto ancora più buio di quello dove ci trovavamo prima.
Alzati gli occhi per cercare i suoi e capire  cosa avesse in mente, ma la sua voce mi precedette.
"Su, sediamoci. Così mi racconti un po' di te. Infondo siamo vicine."
Non sapevo che dire, infondo la mia vita non era così movimentata da avere certe avventure da raccontare. Così rimasi un' altra volta in silenzio.
"Mi vuoi degnare di una risposta? Ho sentito solo una volta la tua voce. E da quel che ricordo è davvero molto bella." Abbassò la voce e cambiò tono, avvicinandosi di un passo a me, costringendomi ad alzare un po' di più lo sguardo, ma facendomelo abbassare per l' imbarazzo.
"Grazie. Canto nel coro della chiesa."
La sentì sbuffare una risata, così il mio sguardo risalì un' altra volta sui suoi occhi.
"È troppo bella per essere sprecata in chiesa. In un coro, peraltro."
"Ancora non mi hai sentita cantare. Come fai a dirlo?"
"Intuito, piccola."
Arrossì al modo in cui mi aveva chiamata, ma cercai di non mostrarlo evitando di abbassare lo sguardo. Tanto in quel buio non si sarebbe visto.
"Arrossisci per una cosa del genere?"
Mi chiese.
"Dai, siediti."
Feci come mi aveva detto.
"Se proprio non vuoi raccontarmi di te, allora lo farò io."
La guardai. Non era che non volessi, non avevo niente da dirle.
"Mi chiamo Chiara. Tu invece?"
"Albachiara."
"Esiste davvero un nome del genere? E poi, non lo avrei mai abbinato ad una come te. Un nome tanto complicato per una ragazza tanto semplice."
"Si, insomma, non è molto conosciuto."
Non rispose alla mia affermazione, andando avanti.
"Ho diciotto anni. Tu sembri più piccola. Quanti ne hai?"
"Sedici."
"Avevo ragione. Possiamo comunque essere amiche. Non credi?"
La mia espressione tradì la sua euforia, che si spense.
"Non vuoi essere mia amica?"
"Non è che non voglio, insomma, io nella mia vita voglio persone equilibrate e ordinate. Tu sembri tutto il contrario. Poi, non voglio offenderti, ma non puoi mettere una maglietta così corta. Non nelle tue condizioni."
Mi guardò fissa negli occhi.
"Intendi per il mio grasso?"
"Si, insomma, non puoi esporre così la tua pancia. Non è molto bello da vedere."
"Questo è ciò che pensi tu. A me piace ciò che vedo allo specchio, anche con la pancia che fuoriesce tra i pantaloni e la maglietta. Sai, dovrei essermela presa, essere scappata e non parlarti mai più per ciò che mi hai detto, ma non sono così. Insomma, se facessi così darei soddisfazione a chiunque mi dica cose del genere. Ma so che la tua alla fine è solo ignoranza. Nel senso che ignori. Non sai cosa ho passato, perché sono così, perché sono così fiera di mostrarmi. Eppure hai comunque avuto il coraggio di giudicarmi. Ho vissuto tutta la vita a coprirmi perché mi odiavo. Tutta la vita in maglietta al mare, così nessuno poteva vedere i miei difetti. Ma adesso mi amo. E un commento come il tuo non mi destabilizza più. Cosa volevi che facessi? Vestirmi come una suora come fai tu?"
In effetti era quello che avrei dovuto fare tutta la vita.
"E tu? Tu perché ti vesti così nonostante il tuo fisico? Racconta un po'."
"Semplicemente perché è così che piaccio ai miei genitori. Dovrò fare quello che hai detto tu. La suora. E non è una battuta. Quello sarà il mio futuro. I miei genitori vogliono questo per me. Sono l'unica figlia femmina e mi vogliono così, come per tradizione."
"Loro ti vogliono così. Ma tu?"
"Anche io."
"Ne sei sicura?"
Non risposi. Non ne ero sicura. Come facevo ad esserlo? Volevo rendere felici i miei genitori, ma non ero sicura di volere quello nel mio futuro.
In realtà a questo non ci avevo mai pensato. Non avevo mai pensato a cosa volessi io.

La vita di una farfalla (Bozza) Where stories live. Discover now