6.3. MERCOLEDI': Proposte, Vans e chiari di luna

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Io e Daniel rimanemmo bloccati al Blue Wren per una mezz'ora abbondante prima di riuscire a chiudere definitivamente il locale

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Io e Daniel rimanemmo bloccati al Blue Wren per una mezz'ora abbondante prima di riuscire a chiudere definitivamente il locale. Lui si trattenne sullo sgabello, intento a mangiare un pacco di patatine dopo l'altro per assorbire i fiumi di alcool che aveva tracannato durante la serata e a chiacchierare con Tony della vita a Silky Oak, mentre io finivo di rassettare con l'intento di lasciare il pub in uno stato quantomeno accettabile. Ero consapevole delle occhiate che mi lanciava di tanto in tanto, ma non proferì parola in merito a quanto era appena successo, né io accennai all'argomento.

Ero anche convinta che si stesse impegnando tanto nel rendere Tony partecipe di quella conversazione per lasciarmi un po' di spazio, di silenzio. Che fosse o meno intenzionale, glie ne fui comunque grata. Quei momenti di solitudine mi servirono per immagazzinare tutti gli eventi della serata. Anche quelli che riguardavano lui stesso.

<<Possiamo andare>> annunciai, asciugandomi le mani sui pantaloncini di jeans.

Daniel accartocciò l'ultimo pacchetto di patatine e lo gettò nel cestino più vicino, poi si alzò e mi venne dietro. Sentivo la sua presenza ingombrante alle spalle, ma finché Tony fu con noi non ci pensai più di tanto. Quando quest'ultimo salì sulla propria moto ed io e Daniel rimanemmo soli, nella penombra dello spazio davanti al Blue Wren, sentii un formicolio alla base del collo.

<<Devo davvero guidare io?>> gli domandai, lanciando prima uno sguardo al Pick Up rosso parcheggiato sulla sterrato, poco distante, poi al suo proprietario che ridacchiava silenziosamente.

<<Perchè? Pensavi fosse una scusa?>> chiese, facendo un passo verso di me con un sorrisino sempre più impertinente man mano che si avvicinava. Dovette persino mordersi un labbro per cercare di contenerlo. Feci per protestare, ma qualsiasi parola mi morì in bocca quando decise di piazzarmi in testa il suo cappello da cowboy. Se già andava grande a lui, a me scivolò del tutto sugli occhi e mi bloccò la visuale per qualche attimo. In realtà lo ringraziai. Guardarlo così da vicino, con quell'espressione sfacciata addosso, non aiutava la mia causa e tutto il senso del discorso che gli avevo propinato neanche un'ora prima.

Quando riuscii a guadagnare nuovamente la vista, scoprii che Daniel si era allontanato e si stava arrampicando sul lato del passeggero del Pick Up. Sul suo viso c'era l'ombra di una risatina che difficilmente sarei riuscita a fagli sparire quella sera. Di nuovo, non potei far altro che lasciar andare un minuscolo sorriso a mia volta, ma lo feci sparire prima che potesse accorgersene.

Alla fine mi decisi a coprire la distanza tra me e l'auto.

Non ero mai stata alla guida del famigerato Pick Up di Joe Ricciardo. A pensarci, probabilmente non ero neanche mai stata all'interno di quel catorcio. Era di mio fratello, il posto accanto a Daniel nel Pick Up. Non mio. Ed anche quella stupidaggine mi fece sentire come se stessi oltrepassando una linea immaginaria che andava oltre la mera familiarità, oltre la mera confidenza.

CAROLINA // DANIEL RICCIARDOWhere stories live. Discover now