8 | My heart will never feel

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Sam

Isobel era in una bruttissima situazione e io ero il peggior amico che una persona potesse avere.

Mi sentivo particolarmente in colpa per quello che era successo la scorsa sera, per come l'avevo trattata e per come le avevo tenuto segreta la verità per mesi e mesi.

Mi sarei voluto picchiare da solo.

Stavo andando a casa di mamma per salutarla e per salutare anche mio fratello.

Non vivevo più a casa da anni, il giorno del mio diciottesimo compleanno avevo ereditato da mio padre il bar dove lavoravo e così facendo, grazie ai soldi guadagnati dalle corse e da quella topaia, sono riuscito ad andare a vivere da solo.

Avrei preferito prendere baracca e burattini e andare via da qui, lontano dal bar, ma purtroppo non ero riuscito ad allontanarmi così tanto, per l'esattezza ci abitavo letteralmente sotto. Non era un gran che, e ne ero consapevole, però ho sempre pensato fosse meglio di niente.

Non avevo proprio voglia di vedere mia madre, per niente. Andavo da lei una volta al mese, per chiederle se aveva bisogno di qualcosa, o per vedere se era cambiata, ma il motivo principale era mio fratello. Volevo cercare di aiutarlo il più possibile.

Mia madre non se la cavava tanto bene come madre, almeno con me non era stata un gran che, mi volevo assicurare che fosse una buona madre almeno per Dylan.

Mi parcheggiai davanti a casa, non abitavano a Wicklow, ma vicino. Girai il volto e sospirai.

Scesi dalla macchina ed esitai, lo facevo sempre, ogni volta. Avevo paura di varcare la soglia di casa e vedere che tutto era come era sempre stato, speravo cambiasse. Ogni volta lo speravo, ogni volta era tutto come sempre.

Aprii la porta con le chiavi e mia madre si sorprese della mia presenza. Non l'avevo avvertita.

«Sam!» si avvicinò a me e mi abbracciò. Ricambiai guardandomi attorno. La casa era sempre la stessa, solo più pulita e ordinata.

«Come stai tesoro?» mi appoggiò le mani sulle guance. La guardai dal basso.

«Bene mamma tu?» Le tenevo le braccia ancora avvolte attorno ai fianchi, poi le sorrisi notando i suoi occhi più vividi e accesi.

«Noi stiamo bene» mi passò la mano sulla fronte spostandomi i capelli dal volto osservandomi il viso.

«Sei così diverso» ammise.

«Mamma non mi vedi da un mese» affermai io. Notai i suoi occhi incantarsi su di me e il suo volto incupirsi.

Mi sembrava stesse ragionando su quello che avevo appena detto e aveva quasi un'espressione triste e disorientata.

Tornò a sorridere. «Lo so, è che sembri sempre più grande, mi ricordo ancora quando eri piccolino» disse con tono quasi nostalgico.

Poi si staccò da me e andò verso la cucina. La seguii e un buon odore caldo mi inebriò le narici.

«Che stai cucinando?» le domandai notando che lei si era piazzata davanti al forno.

«Pizza» disse schietta.

Sorrisi. «Da quando cucini?» Ero più che sorpreso. Non l'avevo mai vista così felice prima d'ora.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora