Diciassette gennaio

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Diciassette gennaio, ore cinque e quarantadue del mattino, reduce da un brutto sogno. Mi sono già svegliata un'altra volta stanotte, alle tre e trentatré, per lo stesso motivo, stesso sogno. Sembrava reale, tutto. Ero in un edificio senza finestre, le stanze erano distribuite senza logica, collegate l'una con l'altra da scale a volte infinite, immerse nel buio. Un intero edificio sviluppato in altezza, senza un minimo senso. Non ricordo il momento in cui sono entrata in quella casa, tutto è iniziato lì dentro, in una stanza completamente bianca. Talmente bianca, che all'inizio mi sembrava una distesa di spazio vuoto. Inizialmente ho vagato qua e là, incontrando in ogni stanza, ad un altezza diversa ciascuna dalle altre, dei conoscenti, persone apparentemente insignificanti per me, ma per qualche motivo il mio subconscio le voleva lì. Qualcuno era stato l'amico di confidenze per una notte, qualcuno una storia finita male, qualcuno un semplice volto già visto da quache parte. Ognuno stava in una stanza arredata, a volte erano bar, a volte era camera mia, l'aula 119 dove seguo la maggior parte delle lezioni. Ero tranquilla, mi fermavo a parlare e sorridevo a tutti. Ero lucida, consapevole che fosse un sogno, decidevo io dove andare, cosa dire, cosa fare. Pensavo addirittura di essere in grado di orientarmi, camminavo a passo sicuro facendo gli scalini a due a due... Poi non so cos'è successo. Sono andata nel panico. Avevo intravisto qualcuno mentre dialogavo, non ricordo se ne fossi spaventata o al contrario, se avessi bisogno di trovarlo. Ricordo che da quel momento il mio stato d'animo era diverso. Completamente diverso. Da lì si fa tutto confuso. Ricordo di essermi agitata. Ho forse iniziato a cercare un modo per uscire, o di ritrovare quella persona, ma le scale sembravano tutte uguali. Ripercorrevo e ripercorrevo di continuo lo stesso percorso, rincontrando gli stessi conoscenti. Avevo l'impressione che le stanze diventassero sempre più piccole. Prendevo sempre strade diverse eppure mi ritrovavo sempre negli stessi posti, per quanto cercassi di ragionare, non trovavo nemmeno la prima stanza tutta bianca. Man mano aumentavo il passo, fino ad iniziare a correre con il classico fiato di chi sta andando nel panico. Poi il vuoto. Mi sono svegliata talmente di colpo da battere la testa sul soffitto della mansarda, col fiato corto e le lacrime agli occhi. La seconda volta invece, ero già nel panico ad inizio sogno. Ero consapevole di dov'ero e di cos'era successo. Almeno sapevo dov'ero, cosa mi aspettava... invece, il nulla. L'edificio era identico strutturalmente, riconoscevo le stanze dalla forma più particolare. Ma non c'era nessuno, nemmeno un mobile, uno stupido tappeto, niente. Lì ho sperato di svegliarmi. Ho avuto davvero paura di non poter più tornare indietro. Il tempo sembrava infinito ed io ero come intrappolata, anzi, lo ero. E piangevo. E urlavo. Speravo che qualcuno potesse sentirmi e portarmi via da lì, ma nulla. Mi sono addormentata e risvegliata nel mio letto, sotto shok, col battito più accellerato che mai. Sono scesa in cucina a prendere del ghiaccio, che ora sto appoggiando su collo e polsi, sperando di calmarmi. 

Al mio infinito e incompreso dolore,
per sempre tua,
Alita.

Al mio infinito e incompreso doloreWhere stories live. Discover now