19. It's just a vowel

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N/A:Carissimi lettori, so benissimo che avete aspettato questo capitolo per troppo tempo, è imperdonabile, ma voglio che sappiate che io non abbandonerò mai questa storia. Voglio concluderla entro la fine dell'anno e ci sono ancora tante altre scene con cui devo deliziarvi. Perdonate gli orrori, vi auguro una buona lettura e soprattutto: non disperate perché le cose più belle sono lente. L'attesa ne varrà la pena. Siete nel mio cuore. 

19.  È solo una vocale

L'arrivo di Morfeo si rivelò un miraggio, un'illusione, nient'altro che un inganno.

Quella sera Thomas non riuscì a dormire, neanche con Newt di fianco; tramite il chip riprodusse la sua immagine in auto in Maryland, trasportandola sul suo letto. Erano così vicini, che nonostante non fosse reale, il cuore gli batté così forte tanto da fargli temere che si sarebbe fermato di colpo di lì a momenti. Se il chip aveva una funzione positiva, era sicuro che quella fosse l'unica.

Gli accarezzò la guancia, ma la mano tristemente trapassò l'immagine. Era bello provare ad addormentarsi così, ed Edison pensò a come sarebbe stato se lì, di fianco a lui, ci fosse stato A5 in carne e ossa.

Sorrise, era così assurdo pensare a un "noi", a una quotidianità insieme, a un futuro insieme. Assurdo quanto bello, si trovò ad ammettere.

Disteso sul fianco, stette lì a contemplarlo per ore, come un dipinto famoso.

Non tralasciò nessun dettaglio. Lo sguardo attento e studioso vagò dai capelli color oro mischiato al miele, alla pelle chiara e delicata delle sue braccia, del suo petto in parte coperto dalla sua ennesima giacca di pelle nera. Gli occhi piccoli e magnetici, e quelle labbra sottili ma accattivanti che parevano urlargli "baciami, stupido" con quell'accento inglese che lo aveva fatto andare su di giri dal primo momento che l'aveva sentito.

Per non parlare di quel fisico minuto e longilineo che avrebbe volentieri bloccato sotto il proprio corpo dandogli il massimo di sé, travolto dall'irrefrenabile desiderio, dall'irruenta passione. Avrebbe tanto voluto poggiare le sue labbra su quelle del biondo, ma sarebbe finito col baciare il cuscino e la sua situazione era già triste così: Bloccato dalla paura di desiderarlo così tanto.

«Quante cose vorrei dirti, Newtie...» Si lasciò sfuggire, rannicchiato su un lato, il volto seppellito tra le proprie braccia. Era vittima delle birre scolate tutte d'un colpo o forse, era soltanto vittima di sé stesso, dei paletti che aveva issato nel corso degli anni attorno al suo cuore. Era stato tutto inutile, era caduto anche lui in quella trappola fatale, il gioco più vecchio del mondo.

Paziente, aspettò minuti, poi ore che Morfeo gli facesse visita. Si girò e rigirò, irrequieto cambiò diverse posizioni, da supino a prono, poi sul fianco, spostò anche il cuscino ai piedi del letto, ma niente. Gli occhi erano ancora fissi e spalancati a guardare il soffitto come ore prima, e del sonno nessuna traccia. Non c'era stanchezza in lui, se non quella mentale.

Quanto avrebbe voluto vedere i pensieri auto eliminarsi con la stessa velocità con cui chiudeva le cartelle delle ricerche nel suo chip, sdraiarsi al letto ed entrare in trance. E, invece, irrimediabilmente, continuava a crogiolarsi per ciò che non aveva avuto il coraggio di fare, perché non aveva bussato a quella porta? Ma soprattutto, perché stava così male per non averlo fatto?

Non riusciva a capacitarsi di come fosse successo, era praticamente impossibile, a uno come lui certe sbandate non capitavano, pensava al lavoro, non aveva bisogno di distrazioni del genere. Quello era qualcosa di sciocco, che capitava ai deboli, a coloro che non riuscivano a stare da soli o si annoiavano, una sorta di passatempo che avevano inventato gli umani per rendere la loro vita più interessante, spezzando via la monotonia; eppure, per quanto avesse sotto pelle qualcosa che lo rendeva diversamente umano e speciale al tempo stesso, come qualsiasi altro essere umano, a tenerlo in vita era pur sempre un cuore e, in quello nell'ultimo periodo, si stava facendo sentire più forte che mai.

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