Capitolo 13

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YOU DREW STARS AROUND MY SCARS

Ho dormito solo due ore stanotte, continuavo a rigirarmi nel letto e a fare incubi senza senso dei quali ricordo solo l'ansia, che mi dilaniava il petto, al mio risveglio. Il cuore in gola batteva sordo contro le mie tempie.
Le occhiaie pulsano sul mio viso stanco e sciupato, ancora in pigiama scendo a fare colazione.
Il marmo freddo mi trasmette un po' di energia, risvegliando i miei sensi intorpiditi, ma il silenzio che avvolge la casa è tetro e misterioso. Vorrei tornare in camera mia per non affrontare i fratelli in preda alla notizia di loro padre.
Varco la soglia della cucina, sono tutti lì, silenziosi e con gli occhi sbarrati attorno a quel tavolo mastodontico; deduco che sappiano già di loro padre dal clima che aleggia nella stanza.
"Buongiorno," mormoro prendendo posto accanto a Malaki, anche lui con gli occhi assonnati e il corpo fasciato solo dai boxer e una t-shirt aderente nera.
Zaafhir mi guarda, fissa le due gemme blu sul mio viso e una scarica di paura mi investe, agitandomi. Quel sentimento agghiacciante vive in lei anche nei momenti di pura serenità, la travolge anche nella sua calma più totale.
"Ciao," Malaki mi guarda, una scintilla rabbiosa arde nella sua anima buia, oggi più del solito.
Diamond è impegnato al computer, starà riprogrammando il lavoro del padre.
"Oggi voglio che restiate a casa, okay?" Jemma, con gli occhi gonfi e i capelli spettinati, ci guarda severa. La sua è solo una maschera per proteggerci da quello che potrebbe succedere, per non disfare questa famiglia già in prossimità dello sfascio più totale. Purtroppo i nostri caratteri contrastanti non ci rendono le giornate facili.
"Mamma, mi spiace ma il lavoro prima di tutto. Devo sostituire papà in aula, è il mio dovere." Diamond, altezzoso più che mai e fasciato in uno smoking antracite, troppo aderente per lui, si alza e bacia sulla guancia Jemma prima di uscire dalla cucina. Un tonfo sordo annuncia la chiusura della porta di casa, riecheggia fra le pareti grigie delle scale in marmo.
Jemma sospira, concentrandosi sulla sua tazza di caffè.
"Amethyst, sai già?" Zaafhir finalmente parla, la voce graffiante e lo sguardo svuotato.
"Si," sussurro a fior di labbra, la tazza di caffè mi scalda le mani. Nonostante siamo agli inizi di marzo le giornate sono ancora fredde come a dicembre. Solo ora realizzo che fra pochi giorni ci sarà anche il mio compleanno, ma non sono per niente elettrizzata all'idea solo per il clima di tensione che veglia su di noi. È pur sempre una figura paterna che mi ha cresciuta e che stimavo tantissimo quando ero bambina.
Zaafhir si alza, i suoi occhi spenti sono ghiaccio che mi trafigge il cuore, vorrei davvero sapere come si sente e cosa pensa per l'oni.
"Anche io mamma preferisco andare al lavoro," la saluta come ha fatto Diamond e dopo aver messo la giacca si fionda sulle strade della grigia Londra per aspettare l'autobus.
Malaki si alza bruscamente dal tavolo, silenzioso e rabbioso come una tigre sparisce al piano di sopra.
"Ci penso io a sparecchiare." Mi offro di aiutare Jemma riempiendo la lavastoviglie e sbarazzando il tavolo.
"Grazie, io vado in ospedale oggi, i medici vogliono parlarmi." Abbassa lo sguardo, asciugandosi le mani con uno strofinaccio.
"Prenditi il tempo che ti serve," sorrido debolmente per rassicurarla.
La casa sprofonda nel silenzio tombale, oggi più degli altri giorni, perchè di solito Jemma e Zaafhir animano queste pareti con un chiacchiericcio allegro, prima che cali la sera. Soprattutto da quando mia sorella predilige il turno notturno in clinica.
Malaki, invece, è sempre al lavoro e ho il presentimento che sia rimasto a casa per non lasciarmi da sola. Dopo aver trascorso mesi in coma ho sviluppato anche degli attacchi di panico. All'inizio erano frequenti, poi sono diventati rari, ma critici se devo affrontarli solo con le mie forze.
"Ti ho sempre guardata dipingere."
Sussulto, il pennello mi scivola dalle mani, macchiandomi il grembiule di grigio perla fino a cadere sul pavimento. Percepisco la vicinanza di Malaki alle mie spalle, i suoi occhi bruciano sulla mia pelle troppo pallida.
"Lo so."
"Oggi peró sei agitata, triste e confusa, vero?" Sussurra vicino al mio orecchio, le sue mani affusolate si sono appoggiate sullo schienale della mia sedia in legno.
Ammetto a me stessa che ha ragione, perchè è proprio quello che provo e che sto provando a esternare sulla tela bianca in questo preciso istante.
Sospira profondamente, il suo soffio caldo mi sfiora la base del collo scoperto dai capelli legati in uno chignon disordinato.
Faccio cenno di si, anche se dal mio silenzio deve aver intuito la risposta.
"Stai tranquilla, Shin'nyū-sha." Mi accarezza la schiena dal basso fino a concentrare il suo gesto sul mio collo, le sue dita delicate come una piuma che si appoggia sull'asfalto. Un tocco lento che provoca una scossa di magnitudo altissima nel mio petto, propio dove dimora il cuore.
"Mi dispiace per...papà." L'ultima parola sfuma in un sussurro udibile a stento, perchè non lo chiamiamo mai così l'oni.
"Stai scherzando, spero." Mi affianca, chinandosi accanto a me. I suoi occhi malachite brillano, avvolgendomi in un'aura pura e luminosa. Un calore completamente nuovo si agita nel mio basso ventre, facendomi arrossire e impedendomi di distogliere lo sguardo dal suo. È una calamita pericolosa, un bosco oscuro che mi cattura con i suoi intrichi impedendomi di fare retromarcia.
"È un mostro, se lo merita." La rabbia gli gonfia la vena sulla tempia mentre stringe la mascella.
D'istinto avvicino una mano al suo mento, sfiorandolo piano con la punta dei polpastrelli.
Le sue labbra si schiudono e le mie di conseguenza. Il cuore martella così forte da serrarmi la gola fino a mandarmi su di giri qualsiasi molecola mi componga.
"Questi toni di grigio mi ricordano la luna, ma nella mia luna c'è anche un po' di colore."
Si sporge sulle mie gambe, interrompendo il nostro legame magnetico fatto di sguardi e silenzi, e intinge il dito sulla tavolozza, dove una macchia di pittura rossa spicca vivida e inutilizzata, per poi passarlo al centro della tela monocolore.
Ammiro il suo gesto così semplice. Osservo la tela insieme a lui e la mia anima riconosce che ora il quadro ha un senso.
Le mie emozioni si concentrano su quel segno rosso, liberando il mio corpo dal peso che mi ha angosciata tutta notte. Sollevata e svuotata dalle pressioni accenno un sorriso.

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