2. Il senso di colpa è un vero bastardo

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(Canzone consigliata: Again - Noah Cyrus feat. XXXTENTACION).

Mason.

Ero da poco tornato a casa.

A malapena ero riuscito a togliermi la felpa che indossavo per la stanchezza che avvertivo nei muscoli. La mia mancanza di sonno iniziava a farsi sentire ogni minuto di ogni fottuta giornata, ma non potevo non seguire il flusso creativo che avevo in quei giorni. Non solo perché non volevo deludere le aspettative di mio padre, ma anche le mie.

Ero il peggior nemico di me stesso.

Continuavo imperterrito a spingere il mio corpo e la mia mente sempre troppo oltre la loro soglia di sopportazione, inseguendo un sogno che sembrava sempre più vicino. Ma non riuscivo a rilassarmi.

Il pensiero costante di essere mediocre, di non essere in grado di portare a un livello più alto il mio obiettivo, era un tarlo che rendeva le mie notti inquiete.

Volevo tutto, volevo suonare nei migliore locali di tutto il fottuto mondo. Volevo Ibiza, Mykonos, Las Vegas, Mallorca, la Corea, Singapore, Londra, Berlino, il Brasile, la Croazia, la Germania e la Bulgaria. Volevo che i miei pezzi fossero ascoltati in ogni momento della giornata, desideravo collaborare con i migliori dj che avevano accompagnato la mia vita fino a quel momento.

Guardavo i miei strumenti musicali sparsi per la camera e gli spartiti lasciati in disordine sopra la mia console, come potessero deridermi dei miei sogni.

Iris si era sempre mostrata entusiasta delle mie idee, dei miei pezzi. Non che non mi fidassi del suo giudizio o il suo sostegno non fosse importante, ma non era abbastanza.

Mio padre aveva già iniziato a incaricarmi qualche serata al Dragon e al Phoenix, un altro dei suoi locali più in voga di New York.

Dj King già stava diventando un nome conosciuto per le strade di Manhattan, ma non riuscivo ad aspettare. Mi sentivo come fossi in trappola dentro una gabbia che aveva le sembianze del mio corpo. Avevo diciannove anni, avevo ancora tutto il tempo del mondo per fare esperienza sul campo, ma non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero che non mi stessi impegnando abbastanza.

Mi ritrovavo sdraiato sul mio letto troppo grande per una persona sola mentre pregavo il soffitto di darmi delle risposte a quella costante sensazione di inadeguatezza che serpeggiava nella mia pelle.

Avrei potuto parlarne con mia madre, in quanto psicologa ne sapeva di cose. Ma non volevo nemmeno che diventasse apprensiva e preoccupata per la mia salute mentale. Tutto sommato, stavo bene e non c'era bisogno di tali allarmismi.

Con la coda dell'occhio riuscivo a scorgere la luce della camera di Iris ancora accesa, un canto di sirena che era quasi un'ora che cercavo di evitare. A niente era servito girarmi sul fianco dando le spalle alla finestra, ancora a niente cercare di buttarmi nella mia musica.

Avevo ancora il suo viso impresso dietro le mie palpebre, ogni dannata volta che chiudevo gli occhi la sua presenza si palesava davanti a me. Con quel sorriso dolce e quelle fossette, con quegli occhi simili agli smeraldi più preziosi, con quelle labbra che donavano determinati scenari nella mia testa a cui non avrei mai dovuto dare spago. Quelle ciocche morbide sotto le mie dita e quel profumo di ciliegie, stavano diventando dei veri e propri problemi. Non riuscivo più a vederla come una pseudo cugina o come la mia migliore amica dai tempi della culla. L'avevo guardata crescere e fiorire in un'adolescente che stava facendo impazzire tutte quelle note musicali che albergavano costantemente nella mia testa.

Non avrei dovuto essere vittima di quello sguardo, di quel sorriso. Avrei dovuto seppellire la testa nel mio cuscino e cedere al sonno. Ma più ci provavo, più quel canto di sirena diventava forte. Un rumore assordante nelle mie stesse orecchie che non riuscivo a zittire.

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