13.

3K 239 9
                                    

Noah

Dopo che la preside Jones fu entrata nel suo ufficio con Hunter al seguito mi ritrovai, non so come, Alyssa davanti. La mia amica aveva un'aria sconvolta come se avesse attraversato tutta la città di corsa per arrivare in tempo a scuola.

«Okay, riprendiamo il controllo della situazione.» Borbottò mentre si sistemava i capelli corvini. «Ho saputo cosa è successo. Stai bene? Sei ferita? Ti ha minacciata? Perché se è così devi dirmelo, sai che mio padre lavora nella polizia quindi posso...»

«Al,» le posai le mani sulle spalle e la costrinsi a guardarmi negli occhi. «sto bene. Sì, insomma, vorrei che Hunter non si fosse messo in mezzo perché ora mi sento terribilmente in colpa, ma sto bene.»

Lo sguardo di Alyssa divenne quello che, da bambina, assumeva ogni volta che stava per compiere qualcosa che sapeva non sarebbe piaciuto ai suoi genitori. Aveva lo sguardo di una bambina monella.

«Hunter, eh?»

Mi girò intorno un paio di volte senza mai staccarmi gli occhi di dosso, sempre con quell'espressione sul viso. Mi fece accapponare la pelle. Dopo quel sabato di dieci giorni prima le avevo raccontato tutto, ovviamente omettendo alcune parti che mi avrebbero potuto far apparire come una malata di mente che ha le allucinazioni.

«Mi ripeti ancora una volta perché continui a tenerlo a distanza?» Disse alla fine puntando di scatto i piedi davanti a me.

«Beh sai, c'era quell'uomo al pub...» Cominciai io, ma la mia amica mi interruppe di nuovo schioccando la lingua e guardandomi con finto disappunto.

«Quel ragazzo ti ha appena salvata da Jay lo psicopatico bipolare. E ti ha portato delle ciambelle, Noah. Delle. Ciambelle. Non so se rendo l'idea.»

Per Alyssa, i rapporti con le persone ruotavano tutti intorno ai beni materiali che queste ti presentavano. Fortunatamente per conquistarla non serviva un servizio di posate d'argento o una collana da ventiquattro carati, ti bastava presentarti con un piatto di lasagne o una torta con glassa e sarebbe stata tua per sempre.

«Ascoltami cara» riprese quando si rese conto che non avevo intenzione di controbattere. «Se fossi in te, andrei a fare pace con quel ragazzo. E se non lo fai tu, lo faccio io. E mi prendo anche le ciambelle che lui ti avrebbe portato in futuro.»

Per qualche assurdo motivo, mi convinse. Forse semplicemente perché avevo già intenzione di parlargli di nuovo sin da quando lo avevo cacciato da casa mia ma avere qualcuno che mi spronava a farlo rendeva tutto più facile.

Acconsentii.

E mi sentii improvvisamente meglio.

Mia nonna diceva che per quanto tu possa fare una scelta sbagliata il Destino troverà sempre il modo di riportarti sulla retta via. E non c'è modo di impedirlo.

Fu quella la prima cosa che pensai quando, dopo l'ora di letteratura inglese a cui ovviamente Hunter non si era presentato, mi ritrovai seduta fuori dall'ufficio della preside ad aspettarlo. Era chiuso lì dentro da un'ora buona, considerato che un'altra mezz'ora l'aveva sicuramente passata seduto proprio dove mi trovavo io adesso ad aspettare che Jay uscisse da quell'ufficio.

Per tutto il tempo in cui rimasi seduta lì – per fortuna era ora di pranzo – pensai solo al Destino, a quanto fosse beffardo per prendersi gioco di me in quel modo. Mi stava riconducendo dritta nella strada dove io non volevo andare. La strada che per me era chiusa per lavori. Beh, al Destino non importava: aveva sradicato i cartelli di pericolo e divieto e mi ci aveva buttato dentro, incurante del fatto che potessi cadere nel burrone degli scavi.

Finalmente, la porta dell'ufficio si aprì dopo venti minuti che aspettavo lì fuori. Hunter ne uscì con lo zaino posato su un'unica spalla e un'aria afflitta, sì, ma anche sollevata. Si passò una mano tra i capelli e tirò un sospiro, poi si voltò verso la panchina e rimase pietrificato.

«Martin?»

Niente, il mio nome non voleva entrargli in testa. Sorrisi.

«Mi chiamo Noah.»

«Lo so.» Si fermò un attimo, come a soppesare le prossime parole. «Senti, mi dispiace se ho messo anche te nei guai. Volevo solo toglierti quel... coso da davanti, okay? E adesso me ne vado, così ti evito un'altra scenata.»

Prima che potesse muovere mezzo passo, io gli afferrai il polso. Lui guardò me, poi la mia mano sul suo braccio e infine di nuovo me con sguardo confuso. I suoi occhi color ruggine mi studiavano attentamente.

«Non ho intenzione di fare scenate. Perché devi rendere tutto così complicato?»

Mi rendevo conto che non era questo il modo in cui avevo immaginato questa conversazione. Quando, dopo aver parlato con Alyssa, ci avevo riflettuto, avevo pensato a una cosa che comprendesse più scuse e sguardi costernati e abbracci. Evidentemente quello succede solo nei film.

«Io rendo tutto difficile? Mi hai cacciato da casa tua!»

Sospirai. Speravo davvero che non ce l'avesse tanto con me per quell'episodio. In fin dei conti, però, come dargli torto?

«Okay, ascoltami bene perché lo dirò una volta sola: mi dispiace. Mi sono fatta prendere dal panico e non ho pensato che avrei potuto ferirti.»

Lui allontanò la mia mano che era ancora ancorata al suo polso e prese posto accanto a me sulla vecchia panchina scricchiolante, buttandosi lo zaino nero tra i piedi.

«Mi hai negato di finire la ciambelle, Martin. Le ciambelle!»

Capii che era diventato uno scherzo solo nel momento in cui pronunciò l'ultima parola con finto tono melodrammatico. Mi fissò un attimo, ma io non sapevo se ridere o chiedergli scusa per le ciambelle. Da quando le ciambelle erano diventate così importanti nelle mie conversazioni con le persone? Finalmente, Hunter scoppiò a ridere e io con lui.

«Allora, com'è stata la lezione del signor Carlton?» Mi chiese ritornando serio.

«La solita, una noia.» Mi schiarii la voce e cercai di assumere la posizione tesa che aveva sempre il nostro insegnante. «"La storia della nostra letteratura è talmente importante che a volte credo non siate degni di conoscerla".» Dissi imitando al meglio la sua voce.

Hunter rise prima di lanciarsi in un'altra imitazione: «"Se Charles Dickens potesse sentirvi, vi perseguiterebbe dall'altro mondo!"»

Andammo avanti a ridere delle imitazioni del nostro insegnante finché non sentimmo la campanella che segnava la fine della pausa pranzo. Mi sentii pervadere da un'ondata di panico: l'aula che dovevo raggiungere era dall'altro lato della scuola.

Presi la tracolla che avevo posato accanto a me e incominciai a correre verso l'altra parte dell'edificio, rivolgendo ad Hunter un saluto e delle scuse frettolose.

Lo sentii ridacchiare dietro di me. «Ehi, il fatto che ti abbia salvato da Jay cancella il mio debito per la storia del pick up no?»

Demone di cenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora