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Respiro affannosamente contro la porta della mia stanza.
Senza perdere altro tempo, la chiudo a chiave e mi appoggio contro di essa.
Senza rendermene conto, inizio a tremare, ripensando all'orribile morte di Clara, e alla freddezza di Evan nell'ucciderla. Una freddezza degna di un mostro senza cuore.
Stanca e tremante, mi sdraio sul letto, finché, irrimediabilmente, mi addormento.

La luce che filtra dalle pensanti tende mi fa aprire gli occhi, rendendomi conto che è già un nuovo giorno.
Mi alzo dal grande letto a baldacchino e mi dirigo svogliatamente verso l'armadio per cambiarmi d'abito.
Lascio cadere a terra il vestito sporco di sangue del giorno prima e mi sciacquo il viso alla toiletta presente nella camera.
Dei passi riecheggiano nel corridoio dietro la porta, ed io smetto momentaneamente di respirare, in attesa.
-Miss Donato- la voce di Evan risulta quasi ovattata.
Non rispondo, cerco di non produrre alcun rumore.
-Miss Donato, so che siete in camera vostra, vi conviene rispondere ed aprire la porta. Esigo parlarvi.
Rimango in silenzio.
-Non voglio farvi del male. Non mi fate perdere la pazienza. Aprite, per favore.
Passano alcuni istanti di silenzio.
-Eleanor!- esplode improvvisamente,
-non fare la bambina ed apri questa maledetta porta!- batte un pugno su di essa.
Deglutisco, portandomi una mano allo stomaco.
-Non uscirò da questa stanza- dico con determinazione -siete così spregevole! Avete ucciso una ragazza senza battere ciglio!
-Non è stata poi una morte così crudele- ribatte.
Come può dire delle cose così prive di qualsiasi emozione?
-Non costringermi a buttare giù la porta, perché se lo dovessi fare, non passeresti un buon momento- mi minaccia, mantenendo la calma.
-Andatevene, non voglio più vedervi!- esclamo.
-Oh, davvero? Dovrai uscire da questa dannata stanza, presto o tardi, e allora sarai costretta a vedermi!- urla di rimando, poi sento i suoi passi allontanarsi rapidamente.
Respiro rapidamente, lasciandomi scivolare lungo la porta fino a sedermi sul pavimento.
Evan ha ragione: prima o poi dovrò uscire da questa stanza.
Fortunatamente, c'è un piccolo bagno collegato ad essa da una porticina di legno, perciò posso soddisfare parte dei miei bisogni primari.

Senza che me ne accorga, un giorno è già passato.
Evan prova nuovamente a spronarmi ad uscire, stavolta utilizzando un tono abbastanza pacato e gentile, ma so che gli costa davvero tanto farlo, e che è tutta una messa in scena.
Dopo tre giorni rimasta chiusa nella mia stanza, mi sento estremamente debole. Non ho potuto toccare cibo, ed ora ne sto affrontando le conseguenze.
La mia pelle è ancor più pallida del solito, cammino a malapena.
Dopo quella che sembra un'eternità, mi decido finalmente ad aprire la porta e ad uscire per raggiungere la cucina.
-Sapevo che alla fine sareste uscita, Miss Donato.
Evan è dietro di me, non mi volto.
-Sembrate sfinita, avete fame, percaso?- continua con falsa cortesia.
Mi raggiunge posizionandosi alle mie spalle ed afferrandole, mi fa girare verso di lui, in modo che io possa vederlo in faccia.
Deglutisce storcendo le labbra, poi le serra.
-Siete come me. La fame vi ha spinto ad uscire, no? Anch'io sarei pronto a fare qualsiasi cosa per la fame...
Avvicina le labbra al mio orecchio.
-Qualsiasi cosa...- sussurra soave.
Mi allontano da lui un po' troppo bruscamente, e questo mi causa un capogiro.
Mi porto le mani alla testa, stringendo gli occhi.
-Avevate intenzione di lasciarvi morire di fame?- chiede, stranito.
-Meglio morire che stare con voi in questo posto ostile- sputo, raccogliendo tutte le mie forze.
Ghigna, annuendo.
-Sapete, avevo pensato di farvi saltare il pranzo, dato che lo bramavate così tanto, ma adesso, dopo la vostra stupida risposta, non posso far altro che obbligarvi a mangiare ogni cosa. È un bene anche per me, dopotutto.
Si avvicina alla porta della mia stanza e la chiude a chiave.
-Buon pranzo, Miss Donato. Da questo momento in poi, ogni volta che vorrete andare in camera, dovrete venire da me e chiedermi il permesso di aprirvi la porta- si mette la chiave in tasca con un sorriso soddisfatto.
-Cosa?- esclamo -no! Non potete farlo, è la mia stanza!
-Ah-ah. Non mi piacciono le lamentele. Almeno, non di questo genere- ammicca lievemente, poi fa per andarsene, ma si ferma a guardarmi. Mi afferra per un polso e mi tira a sé rapidamente.
-Se desiderate una morte così lenta come quella per la fame, allora sarete contenta quando decederete per mano mia. E credimi, Eleanor, quella di Clara è stata una morte fortunata- sussurra minaccioso nel mio orecchio, mordendomi il lobo delicatamente.
Poi sparisce, inghiottito dall'oscurità.

In cucina, trovo quanto basta per rimettermi in sesto: un pezzo di pane, del formaggio ed un bicchiere d'acqua fresca.
Dopo aver consumato il mio umile pasto, gironzolo per la villa, non sapendo come spendere il tempo e non potendo tornare nella mia stanza.
Camminando, mi sembra di sentire una voce femminile parlare allegramente.
Difatti, non mi sono sbagliata: una giovane donna mi compare davanti, fermandosi all'istante.
Il sorriso che aveva sulle labbra poco prima le svanisce, poi si porta una mano tra i capelli corvini tagliati corti e se li sistema.
-Voi chi siete?- mi domanda.
Evan anticipa la mia risposta, comparendo alle sue spalle.
-Lei è Eleanor Donato, ma per te sarà solamemte Miss Donato- dichiara in tono autoritario.
-Piacere di conoscervi, Miss Donato- mi fa una lieve riverenza.
-Eleanor, lei è Ermine, sostituirà Clara- mi penetra con lo sguardo, ed io avverto un brivido lungo la schiena.
Abbasso gli occhi, per poi alzarli sulla ragazza.
-Il piacere è mio, Ermine- le dico.
-Avete mangiato, Miss Donato?- chiede Evan, sorridendo in modo cordiale.
-Sì, grazie- ribatto voltando la testa.
-È venuta una gran fame anche a me, parlandone. Ermine...?- si rivolge alla cameriera, che, con un cenno del capo, si avvicina a lui.
Evan le porge il braccio, ed entrambi si allontanano da me, finché non li perdo di vista.
Mi mordicchio il labbro, nervosa.
Ermine ha idea di cosa sia Evan?
Sa che è un vampiro assetato di sangue?
Cosa dovrei fare, correre da lei ed avvertirla?
Probabilmente ne è conoscenza, così come ne era Clara.
Poco dopo, Ermine torna con il collo sporco di sangue.
-Desiderate qualcosa, Miss Donato?- chiede con tranquillità, come se non le fosse successo nulla.
-Io...-balbetto -no, grazie. Non ho bisogno di niente, in questo momento.
Mi allontano a passo svelto, rallentando una volta raggiunto l'ingresso.
Poso una mano sulla maniglia per aprire il grande portone, ma essa è bloccata e non accenna ad abbassarsi.
-La porta è chiusa a chiave per motivi di sicurezza, signorina Eleanor. Se desiderate uscire, dovete chiedere al signor Woods, nonché padrone della villa.
Mi volto di scatto verso Ermine, osservandola innervosita.
-È quello che farò- dico, superandola.
Mi avventuro nei corridoi più bui della casa, diretta verso la stanza di Evan.
Una volta lì, busso una volta, aspettando che apra.
-Desiderate qualcosa in particolare, Miss Donato?- la sua voce inconfondibilmente suadente mi pervade l'orecchio.
Mi giro lentamente, trovandomelo a poca distanza da me, fuori dalla sua camera.
- C-Credevo che... - balbetto.
-Cosa credevate?- sembra realmente interessato.
-Credevo foste nella vostra stanza- dico.
Ghigna. -Lo preferivate?- si avvicina di più e mi spinge contro la porta chiusa della sua camera.
-No, assolutamente. Sono venuta per dirvi che non vedo il motivo per cui dobbiate chiudere a chiave il portone d'ingresso, oltre che la mia stanza- dico, ritrovando la ragione.
-Semplicemente perché non voglio che tu esca senza il mio permesso e la mia supervisione- ribatte.
-Non volete che esca? Non sono la vostra prigioniera!- esclamo.
Con un sorriso, segue il profilo della mia mascella con un dito.
Freddo e sottile.
-Questa sera- sussurra -voglio che tu ceni con me, Eleanor. Alle sette e mezza. Il vestito che dovrai indossare te lo porterà Ermine- conclude.
Poi si allontana, lasciandomi libera di andare via.

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