Capitolo 25.

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Elefanti rosa a pois

La prima volta che avevo sentito parlare di elefanti in una stanza era stato quando avevo otto anni e, dopo uno dei loro soliti litigi, mamma e papà si stavano tenendo il muso, fingendo al contempo di non avercela a morte con il consorte. Ad un tratto mamma aveva sbattuto un piatto sul tavolo ed aveva esclamato.

« Allora, Ronald, ne vogliamo parlare di questo elefante nella stanza, o vogliamo continuare a far finta che non esista? »

Io mi ero guardata attorno, perplessa, chiedendomi come facesse un elefante, anche solo uno piccolino, ad entrare nel soggiorno di casa nostra. In più, se anche qualcuno fosse riuscito a farlo passare attraverso la porta, non mi spiegavo come facesse a nascondersi così bene, grosso com'era.

Solo anni dopo avevo capito come tra due persone, anche nello spazio di una stanza ben più piccola del salotto di casa mia, potessero crearsi un imbarazzo ed un muro di cose non dette ingombranti come un intero branco di elefanti.

***

Domenica mattina il calendario segnava che era il quindici agosto e che tre quarti delle vacanze estive se n'erano già andati, ma soprattutto – cosa ben peggiore – che mancavano meno di due settimane all'esame di Trasfigurazione che mia madre mi aveva imposto di fare. L'evidenza dei fatti parlava molto chiaramente, e quello che diceva non era per nulla confortante: se non avessi cominciato a studiare con una certa serietà non sarei stata promossa nemmeno se Dio, Gesù e lo Spirito Santo fossero scesi dal cielo a perorare la mia causa. Perciò, di malavoglia, m'imposi di studiare.

Essere sola in casa con Scorpius e starmene barricata in camera mia a fare l'intellettuale era decisamente la cosa più stupida che avessi mai fatto e sapevo che avrei cominciato a pentirmene non appena i due sposini dell'anno fossero tornati dalla loro luna di miele, ma d'altronde – visto il livello d'interazione a dir poco nullo che avevamo avuto nei giorni precedenti – cercare la sua compagnia non mi sembrava una cosa molto più intelligente da fare. Ci avevo provato quella mattina, a colazione, ma Scorpius si era portato a tavola un libro e, assorto nella lettura, aveva risposto con un vago cenno di assenso a qualsiasi domanda gli ponessi, anche "ti è mai capitato di essere attratto da un maschio?". Quando finalmente si era degnato di chiudere il libro, borbottando tra sé e sé il numero della pagina a cui era arrivato, avevamo scambiato un paio di parole, constatando per lo più cose ovvie come che probabilmente quel pomeriggio avrebbe piovuto e che mia madre e Malfoy il Vecchio ci avevano lasciati a casa da soli. Il punto di maggior rilievo della conversazione era stato quando mi aveva informata della presenza di una macchia di Nutella sulla parte sinistra del mio naso ed io lo avevo ringraziato e me l'ero pulita con un tovagliolo. Con ogni probabilità era stata la conversazione più cortese e civile che avessimo mai avuto, ma era anche stata la più inutile ed imbarazzante: evidentemente sospendere le ostilità non bastava per ritrovare quelqualcosa che, nelle ultime settimane, ci eravamo così alacremente impegnati a demolire.

Era da tempo che pensavo a come si era evoluto (o, per meglio dire, involuto) il nostro rapporto negli ultimi tempi, e ogni volta che ci pensavo non potevo fare a meno di sentirmi un'idiota: da quando era iniziata l'estate il nostro presunto odio, pur con i suoi alti e bassi, era scemato in fretta, così in fretta che quello che avevo scoperto di provare per lui mi aveva scombussolata profondamente, facendomi comportare in modo anche più idiota del solito (il che era ben grave, considerato che anche in situazioni normali le mie azioni non erano certo un esempio brillante di intelligenza). Eppure, nonostante tutto, avevamo continuato ad avvicinarci, fino a quella sera in discoteca con Dominique: là evidentemente il nostro rapporto aveva toccato il suo apice, e la cosa schifosa degli apici è che poi le cose non fanno altro che peggiorare. Peggiorare progressivamente, inesorabilmente, così come quello che c'era tra me e Scorpius – quello che stava per esserci, per l'esattezza – mi era scivolato via dalle dita e non ero più riuscita a riafferrarlo. I nostri rapporti si erano raggelati progressivamente, le nostre conversazioni si erano fatte sempre più piatte e distanti, con la rara eccezione di qualche litigio, e la strana tensione elettrica che sentivo tra i nostri corpi quando eravamo troppo vicini era quasi del tutto svanita, come se uno dei due poli – il suo – si fosse spento. Non avevo più il coraggio di cercare un bacio, un abbraccio o anche solo una carezza impacciata da lui, dopo tutto quello che era successo: lo avevo allontanato da me a forza quando aveva cercato di avvicinarsi, e ora avevo troppa paura che fosse lui ad allontanare me se gli avessi aperto il mio cuore. E se anche lui mi avesse voluta, una parte di me sentiva che non era giusto: non era giusto trattarlo come lo avevo trattato, sbatterlo fuori da camera mia a calci quando cercava solo di strapparmi un sorriso o qualche minuto di compagnia e poi degnarmi di riprenderlo quando mi andava. Scorpius non lo meritava e io detestavo che qualcuno – io per prima – lo avesse trattato in quel modo: prima di trovare il coraggio di dirgli tutta la verità – se mai fossi stata capace di trovarlo, cosa di cui comunque dubitavo – dovevo trovare il modo di farmi perdonare.

Perchè sul campanello di casa mia c'è scritto Weasley-Malfoy?!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora