Capitolo 3

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La faccia del mostro.

"Io conosco il tuo segreto!"

La voce di Matteo era un soffio quasi impercettibile mentre Gardini gridava:

"Ma prof! Non può interrogare!"

La professoressa Castelli era una donna con gli occhi neri e piccoli, i capelli corvini sempre raccolti, con una grande passione per le lingue morte che, nonostante ci provasse con tutto il cuore, non riusciva trasmettere ai suoi alunni.

Era la classica professoressa tutta di un pezzo che sapeva tenere in pugno tutta una classe con un solo sguardo. Ecco perché Gardini, vedendo lo sguardo che le venne rivolto dalla professoressa si gelò sul posto.

"E qual sarebbe il motivo di grazia? Non è lunedì e non mi sembra neanche che tu non abbia avuto il tempo di studiare, dato che tutte queste cose le ho spiegate molto prima che cominciasse la stagione degli scioperi!"

Tutti sghignazzarono. Molinari fece spallucce e diede una pacca sulla spalla a Gardini e disse:

"Ci tocca!" e prendendo la sedia si avvicinò alla cattedra con il libro di latino in mano.

Gardini lo seguì.

Tutti erano troppo presi a guardare l'interrogazione, per vedere la strana reazione della ragazza dell'ultimo anno.

Con gesti lentissimi, quasi impercettibili, smise di calcare sulla ferita che aveva procurato al legno del banco e gli occhi azzurro scuro si voltarono verso di lui. Erano spaventati. Sembrava quasi che si stessero scurendo mano a mano che passavano i secondi diventando due pozze scure in cui Matteo poteva essere risucchiato dentro.

Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato solo per loro. Non c'erano più le grida, le risate, la voce acuta della professoressa Castelli, ma solo la ragazza dell'ultimo banco e Matteo, che si fronteggiavano in silenzio, come due pistoleri silenziosi in un duello a mezzogiorno.

Matteo deglutì e sospirando disse:

"So che aspetti un bambino!"

Quello fu il colpo finale. La pelle già bianca divenne quasi opalescente. La ragazza si trasfigurò per un attimo, come se solo scoprendo il suo segreto si fosse finalmente liberata da un peso che la opprimeva. Ma durò poco. Gli occhi azzurri si ridussero a due fessure scure, piene di rancore e la ragazza, con la sua voce piccola piccola, ma simile ad un sibilo di serpente, lo minacciò:

"Se provi a dire a qualcuno che sono incinta..."

"Non lo voglio dire a nessuno. Voglio solo aiutarti!" rispose in fretta Matteo.

La ragazza dell'ultimo banco sollevò un sopracciglio raddrizzando la schiena. Il maglione si tese e sotto si vide per un attimo la perfetta forma ad ovetto del ventre.

"Vuoi aiutarmi?" chiese quasi divertita la ragazza.

"Sì!" rispose deciso Matteo, non sapendo nemmeno lui da dove togliesse fuori tutto questo coraggio.

La ragazza lo guardò con interesse per un attimo, poi prendendo di nuovo la lama, senza dire nulla, riprese a ferire il suo banco.

Matteo si sentì perso. Si guardò intorno. La Castelli stava facendo tradurre un pezzo di Seneca a Molinari. Mattioli sghignazzava divertito, mangiucchiando caramelle colorate che teneva nascoste sotto il banco. Loro due, invece, erano invisibili. Ma a loro non importava. Matteo voleva attirare solo l'attenzione della compagna, riuscire a scucirle una parola, qualche cosa che gli facesse capire i sentimenti di quella ragazza che condivideva con lui il banco; qualcosa che gli facesse capire le sue paure. E in un estremo tentativo di attirare l'attenzione della ragazza mormorò:

La ragazza dell'ultimo bancoOnde histórias criam vida. Descubra agora