Arrendersi? Lui dice no.

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Quando realizzai quale terribile disastro stava per accadere non riuscì a far altro che piangere mentre, impotente, cercavo di liberarmi dalla presa salda dei due ufficiali. Piangevo tutte le lacrime che avevo, ed urlavo. Urlavo tanto forte da sentire perfino dolore in gola, ma non mi fermavo.

- No! No!- urlavo senza sosta mentre vedevo il russo sfiorare con il tubo il corpo di Polonia. Lo guardava malizioso, mentre con il tubo andava a stuzzicare le ferite ancora sanguinanti inflittegli nei giorni precedenti.

Polonia era steso a terra, su un lato, con lo sguardo rivolto verso di me. Nonostante urlassi il suo nome, lui non sollevò mai lo sguardo per incrociarlo con il mio. Perché? Aveva capito che stavo soffrendo sapendolo nelle mani di Russia? Appena il russo portava il tubo su una delle sue ferite e le stuzzicava, lui si limitava a contrarre le labbra in una smorfia di dolore, serrando le palpebre e stringendo i pugni per sfogare quel fastidioso dolore.
Russia scrutava quel corpicino con attenzione. Lo stava studiando. Voleva capire com'era, come poteva spezzarlo, come poteva farlo soffrire. Sul suo viso c'era sempre quel sorriso, soddisfatto di avere un nuovo giocattolo con cui giocare. Si leccò le labbra, ansioso di cominciare a divertirsi con il mio Polonia, incurante delle mie suppliche disperate.

- T-Ti prego..! - dicevo tra i singhiozzi, mentre le lacrime mi ricoprivano le guance arrossate. - Non lui! No!- urlavo disperato, continuando a strattonarmi, nella speranza di liberarmi dalla presa degli ufficiali. Ma più i secondi passavano e più il sorriso di Russia s'ingrandiva, io mi sentivo sempre più debole, soffrivo sempre di più per il mio Feliks. E ancora doveva iniziare a divertirsi il "carissimo" Russia.

Ivan ascoltava le mie suppliche come se fossero musica. Sentire la mia disperazione lo faceva sentire realizzato. Gli piaceva vedere com'ero capace di umiliarmi, implorandolo disperato, per la salvezza di Polonia. "Lo trovo stupido", mi aveva detto poco prima. Gli sembrava stupido amare più della stessa vita l'essere più perfetto del mondo? Certo, certo che lo trovava stupido. Lui non sa cos'è l'amore.
Sollevò lo sguardo verso di me, gelando ogni mia speranza con quel sorriso soddisfatto che mi aveva rivolto. Sollevò lentamente il tubo verso l'alto, mentre, ai suoi piedi, giaceva il corpo di Polonia, in attesa di ricevere il colpo. Russia esitò qualche attimo prima di colpire, in attesa di vedere la mia reazione a quel suo gesto. Non volevo umiliarmi, dargli soddisfazione, ma era l'unica cosa che potevo fare. Dimostrare la mia disperazione in cerca di pietà, pur sapendo che ne Russia, ne gli ufficiali, ne avessero.

- Ti prego...- un'ultima supplica disperata seguita da un pesante singhiozzo. Quanto avrei pagato per essere lì al suo posto, pronto a ricevere il colpo. Perché il mio Feliks doveva soffrire ancora mentre io ero costretto a guardare, senza poter fare nulla? Oh, destino, perché sei così crudele con noi?

Feliks capì, capì che stava per colpire, e sapeva che non sarebbe stato l'ultimo colpo. Sollevò lo sguardo verso di me. Sorrise. L'ultimo sorriso per quel giorno iniziato apparentemente bene. Un sorriso forzato, ma talmente delicato da sembrare sincero. I suoi occhi non avevano ancora perso lucentezza e mi guardavano con sguardo dolce, come a volermi confortare. Oh, perché in quel momento era ancora lui a confortare me? Feliks, perché tu sorridevi mentre io non avevo neanche la forza di smettere di piangere? Quale male ti avrebbero fatto davanti a me, senza che potessi fare nulla?

Quando vidi il braccio di Russia scendere giù con violenza, tenendo il tubo stretto in mano, riuscii a mala pena a serrare gli occhi, appena in tempo per non vedere la scena che seguì quell'azione. Alle mie orecchie giunse un urlo strozzato che il polacco aveva inutilmente cercato di trattenere.
Feliks, cosa ti stava facendo?

- N-No! Basta!- Non volevo aprire gli occhi, non volevo vedere quale scempio si stava adempiendo davanti ad i miei occhi. Non volevo capacizzarmi di aver sentito un ennesimo urlo di dolore da parte del mio Feliks. Le lacrime mi rigavano il viso, ma io, impotente, mi limitavo a sussurrare qualche "no" disperato, scuotendo la testa. Quasi mi ero lasciato cadere a peso morto tra le braccia dei due ufficiali che ancora non acvennavano al volermi mollare. Non reagivo, sapevo che sarebbe stato inutile.

Come lui soffrì da quel 1 Settembre 1939Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora