VIII

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VIII

Era mattino. Era mattino solo perché Gerasim era andato via ed era venuto Pëtr, il cameriere, che aveva spento le candele, aveva scostato una tendina, e si era messo a fare la camera pian pianino.

Mattino o sera, venerdì o domenica non importava: era sempre lo stesso, sempre la stessa cosa. Sempre quella fitta dolorosa, tormentosa, che lo rodeva, che non smetteva un minuto; e sempre la consapevolezza della vita che continuava ad andarsene, ma che non se n'era ancora andata del tutto; e sempre la stessa terribile odiosa morte incombente, che era l'unica realtà vera; e sempre la stessa menzogna.

Che cosa potevano contare i giorni, le settimane, le ore?

«Non vuole che le ordini il tè, signore? »

«Ha bisogno che le regole vengano mantenute, che i padroni al mattino bevano il tè, » pensò Ivàn Il'ìc e disse soltanto:

«No.»

«Non starebbe forse più comodo sul divano, signore?»

«Ha bisogno di mettere in ordine la camera, e io gli dò fastidio, io rappresento la sporcizia, il disordine,» pensò Ivàn Il'ìc e disse soltanto:

«No, lasciami stare.»

Il cameriere si diede ancora un po' da fare, per la stanza. Ivàn Il'ìc allungò un braccio. Pëtr gli si avvicinò con fare servizievole.

«Cosa desidera, signore?»

«L'orologio.»

Pëtr prese l'orologio, che era lì sottomano, e glielo porse.

«Le otto e mezzo. Non si sono ancora alzati?»

«No, signore, no. Il signorino Vasilij Ivànovic e andato al ginnasio, Praskov'ja Fëdorovna ha ordinato di svegliarla se lei lo desidera. Vuole che lo faccia, signore?»

«No, no, non è il caso.»

«Se provassi a prendere il tè?» pensò.

«Ah sì, il tè... portami il tè.»

Pëtr fece per allontanarsi.

L'idea di rimanere solo spaventò Ivàn Il'ìc.

«Con che scusa posso trattenerlo? ah sì, la medicina.»

«Pëtr, dammi la medicina.»

«Perché no, poi? Chissà che la medicina non mi faccia bene ancora.»

Prese il cucchiaino, bevve.

«No, non può farmi bene. Sono tutte sciocchezze, è tutto un imbroglio,» decise, non appena risentì quel sapore ben noto, dolciastro e irrimediabile.

«No, non posso crederci più. Ma questo dolore perché? perché il dolore? Smettesse almeno per un minuto.» E cominciò a gemere. Pëtr tornò indietro.

«No, vai pure, portami il tè.»

Pëtr se ne andò. Ivàn Il'ìc, rimasto solo si mise a gemere, non tanto per il dolore, nonostante fosse terribile, quanto per l'angoscia.

«Sempre lo stesso, sempre lo stesso, questi giorni interminabili, e le notti. Almeno arrivasse un po' in fretta! Chi dovrebbe arrivare un po' in fretta? La morte, il buio. No, no, tutto è meglio della morte!»

Quando Pëtr ritornò con il tè sul vassoio, Ivàn Il'ìc lo guardò a lungo, con un'aria sperduta, senza capire chi fosse e che cosa volesse. Sotto quello sguardo Pëtr si confuse. Mentre Pëtr si confondeva, Ivàn Il'ìc tornò in sé. «Ah sì,» disse, «il tè... va bene, mettilo lì. Ma adesso aiutami a lavarmi e dammi una camicia pulita.»

La morte di Ivan Il'ic (Lev Nikolaevic Tolstoj)Where stories live. Discover now