9. Un altro passo

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Quando le porte si erano finalmente riaperte, Thomas aveva assistito al tanto inquietante quanto bizzarro spettacolo di un'orda di Radurai che correvano verso di loro, urlando i loro nomi.
Frypan era uno dei pochi che aveva visto seduto di fronte ai grandi blocchi di pietra, insieme a Alby e Winston – probabilmente erano rimasti ad aspettarli lì per ore.
Thomas e Gally cercavano di trasportare Ben come meglio potevano, ormai stremati dalla notte insonne. Winston e Tim, un raduraio con cui Thomas aveva chiacchierato un paio di volte e che lavorava nei campi insieme a Newt, accorsero immediatamente in loro aiuto, liberandoli dal gravoso peso del ragazzo, ancora privo di sensi.
«Che diavolo vi è successo?!» urlò Winston contro il compagno Medicale. Thomas non fece in tempo a rispondergli perché Chuck e Frypan gli furono addosso l'attimo successivo, stritolandolo in un abbraccio che lo fece inciampare all'indietro; la stretta mastodontica dell'Intendente cuoco fu l'unica cosa che gli impedì di cadere miseramente a terra.
«Che diavolo pensavi di fare, eh?!» anche Frypan aveva iniziato istericamente a urlargli contro. Thomas sorrise, immensamente felice per quel piccolo attimo d'affetto. «Ragazzi, vi prego, non respiro» rantolò, mentre Minho scoppiava a ridere, tenendosi la spalla lussata.
Thomas vide con la coda dell'occhio Alby correre verso Newt e avvolgerlo in un abbraccio, salvo poi cominciare a rimproverarlo istericamente, a gridargli contro quanto si fosse preoccupato e di non fare mai più una cosa del genere. Thomas registrò distrattamente la scena, salvo poi voltarsi verso Minho, che aveva imprecato per il dolore, quando Chuck aveva cercato di abbracciare anche lui.
Gally si avvicinò a Winston, poggiandogli una mano sulla spalla. «Portate Ben dentro, arrivo tra un momento». Gli disse per poi voltarsi verso Minho. «Ti sistemerò la spalla il più presto possibile...»
Il moro annuì. «Pensate prima a Ben» gli ordinò categorico. Gally lo ignorò e si rivolse a Thomas. «Ci sono degli anestetizzanti in infermeria, sai come usarli in questo caso, giusto?» Thomas annuì.
Alby arrivò nei pressi del piccolo gruppetto in un attimo. «Curate i Velocisti» disse rivolto ai Medicali. «Thomas, Newt dice che dobbiamo ascoltare quello che hai da dire...» gli disse, voltandosi verso di lui, guardandolo con un'espressione che Thomas pensò essere vagamente ostile. «Parlerai alla prossima riunione del Consiglio» gli ordinò.





***







Thomas si era lavato le mani e stringeva in mano una siringa, che aveva appena finito di riempire. Le diede dei lievi colpetti, in modo che tutte le bollicine d'aria salissero verso l'alto e lui potesse eliminarle dalla soluzione. «Non hanno niente di più pesante della petidina, mi dispiace...» si scusò. Minho se ne stava seduto sul letto di una delle piccole stanzette della Tana e lasciava che Thomas si prendesse cura di lui; non gli importava che da lì a breve sarebbero arrivati i Medicali per rimettergli a posto l'articolazione e avrebbe dovuto sopportare tutto quel dolore fisico.
Essere lì, con Thomas che parlava, lo rendeva abbastanza felice da non pensarci.
«... probabilmente è inevitabile che tu senta del dolore, forse è il caso di farti stringere qualcosa tra i denti...»
«Non importa» gli sorrise il moro.
Thomas gli sorrise di rimando – un sorriso che non arrivò ad illuminargli lo sguardo – e coprì di nuovo il tappo della siringa con il piccolo tappino in plastica e poggiando il tutto sul tavolo lì vicino.
Minho continuava a guardarlo, indeciso sul da farsi: una parte di lui voleva sapere cosa aveva detto Thomas a Newt, ma aveva anche una tremenda paura di conoscere la risposta. Minho, quando i due ragazzi si erano allontanati per parlare, si era addormentato quasi istantaneamente, per poi riaprire gli occhi solo quando le mura del Labirinto avevano cominciato ad aprirsi, disturbandolo col loro stridore infernale. Dal poco che aveva potuto vedere prima che i loro amici gli saltassero addosso per abbracciarli, i due ragazzi non si erano rivolti la parola; erano rimasti distanti, senza guardarsi, nemmeno per sbaglio, ostentando un'indifferenza mal costruita. Era chiaro che, qualsiasi cosa si fossero detti, doveva essere qualcosa di importante e – Minho si sentiva un po' in colpa anche per averlo sperato – decisamente non bello.
Anche Thomas se ne stava in silenzio, anche lui indeciso su cosa dire. A quel punto, avrebbe dovuto avere il cuore spezzato.
Oh, eccome se ce lo aveva. Eppure, era anche arrabbiato allo stesso tempo: sapeva che era un pensiero del tutto egoistico e anche piuttosto ingiusto, eppure non poteva fare a meno di chiedersi chi dava a Newt il diritto di negarglisi. Di negargli il suo Alex.
Che poi, erano la stessa persona, porca puttana! Newt era Alex e viceversa. Nessuno dei due avrebbe dovuto rinunciare all'altra parte di se stesso. Perché non voleva riavere la memoria? Perché, dannazione.
E per giunta, pur sapendo che non aveva alcun diritto di pensare certe cose, non poteva farne a meno: si vergognò quando venne sfiorato dall'idea di costringerlo. Oh, la tentazione era forte, così forte che sforzarsi di non prendere in considerazione quella possibilità gli procurava quasi dolore fisico. Sarebbe stato così semplice... Ma non gli avrebbe mai fatto nulla del genere. Non avrebbe mai potuto manipolarlo a tal punto... e con che peso a gravargli sul cuore avrebbe trascorso una vita vicino a lui, poi? Eppure, continuava a ripetergli la parte più egoista di sé stesso, sarebbe stato così semplice riaverlo indietro...
Dio, poteva sentire il suo cuore sprofondare sotto terra, mentre imponeva a sé stesso di non pensarci, perché non aveva il diritto di fare anche questo a Newt.
«Ehi... » lo richiamò Minho, preoccupato. Il moro gli avvolse un braccio intorno alla vita e lo portò ad appoggiarsi contro il suo petto. Si rese conto di star piangendo solo quando si accorse di aver bagnato la maglietta del Velocista con le sue lacrime.
Minho capì immediatamente per chi erano quelle lacrime, ma non avrebbe costretto Thomas a raccontargli nulla.
A dire il vero, Minho moriva dalla curiosità di sapere cosa si erano detti Thomas e Newt nel Labirinto; i due non si erano più rivolti la parola né guardati in faccia, una volta aver fatto la loro ricomparsa, fatta eccezione per gli sguardi di velato odio e profondo risentimento che si erano lanciati di tanto in tanto. Ma non stava a Minho chiederglielo: se Thomas ne avesse voluto parlare, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Allo stesso tempo, però, era dannatamente curioso e, per questo, dopo un lungo momento di silenzio in cui Thomas sembrò essersi tranquillizzato, decise di far vertere la conversazione su un argomento non molto diverso. «Grazie per essere venuto ieri sera... » gli disse, mentre gli passava la mano tra i capelli, in un gesto d'affetto.
Thomas sospirò. «Sapevo che qualcosa non andava, non vi avrei mai lasciati lì dentro. Chiunque lo avrebbe fatto, non devi ringraziarmi».
Rimasero in silenzio qualche minuto e Minho si sentì come se tutto ciò che gli serviva al mondo ce l'avesse stretto tra le braccia; Thomas aveva minimizzato il suo gesto, dicendo che l'avrebbe fatto chiunque, ma si sbagliava: nessuno dei Radurai sarebbe corso in loro aiuto. Certo, lui era l'unico a sapere dei chip protettivi, ma Minho ricordava bene quanto i Dolenti e lo stesso Labirinto terrorizzassero Thomas, nonostante tutto.
Stava per dirglielo, quando l'uomo meno desiderato della Radura fece il suo ingresso nella stanza.
«Gally sarà qui tra poco, mi ha chiesto di dirti che puoi procedere con l'anestetico» li informò Newt, fingendo di non averli beccati abbracciati al suo arrivo, ma non riuscendo a trattenere il tono acido che gli uscì spontaneamente dalla bocca.
Minho fece una smorfia. «Grazie per la premura, adesso vattene».
«Alby vuole che lo tenga d'occhio» gli rispose, senza abbandonare il tono acido che aveva usato poco prima e spostando velocemente lo sguardo verso Thomas.
Thomas si sollevò lentamente, sospirando. Con brevi e metodiche mosse fece finalmente l'iniezione a Minho. «Possiamo smetterla? Almeno per oggi, per favore?» domandò loro, con tono esausto. In quel momento, Gally fece il suo ingresso nella stanza, seguito a ruota da Winston, l'altro Medicale.
«Come sta Ben?» chiese immediatamente Minho, all'indirizzo di Gally.
«Starà bene» lo rassicurò immediatamente. «Sono servite dodici iniezioni di dolosiero per sconfiggere l'infezione».
«Abbiamo contato le punture, i Dolenti lo hanno punto quarantasette volte...» aggiunse Winston, guardando male sia Thomas che Minho «se quello che dice Newt è vero, che siete due scienziati della C.A.T.T.I.V.O., spero abbiate una spiegazione convincente per giustificare tutto questo».
Gally lo fulminò con lo sguardo. «Ne parleremo domani al Consiglio, ora pensa a fare il tuo lavoro».
Si avvicinò a Minho e, siccome non era in grado di alzare il braccio infortunato, gli strappò con forza la maglia da dosso, per poi cominciare a tastargli la spalla lussata. Newt trattenne un verso infastidito, quando si accorse che Thomas aveva lanciato una lunga occhiata al corpo seminudo del Velocista.
«Senti qualcosa? L'anestetico ha funzionato?» gli domandò Gally, mentre continuava a seguire il contorno dell'osso fuori posto.
Minho annuì e Winston gli si posizionò al lato opposto, afferrandolo per il busto, tenendolo fermo. Gally gli passò un pezzo di stoffa ripetutamente ripiegata su sé stessa. «Farà male... » si premurò di avvertirlo. «Conterò fino a tre e poi tirerò, va bene?»
Il moro annuì, infilandosi lo straccio nella bocca.
Gally gli afferrò il braccio ferito e iniziò a contare: «uno...» e tirò. Minho urlò, stringendo forte tra i denti la stoffa.
Gally lo aiutò a distendersi sul piccolo lettino, preoccupandosi che non appoggiasse troppo peso sulla spalla appena rimessa a posto. «E' tutto sistemato... » lo rassicurò, tastandolo per l'ultima volta per accertarsi che l'osso fosse rientrato sotto la scapola. «E' normale che tu non riesca ancora a muoverlo, probabilmente alcuni legamenti sono compromessi; ci vorrà qualche giorno per guarire del tutto. Ti inietteremo altra petidina per non farti sentire dolore».
Si voltò verso Thomas «Iniettagli altro antidolorifico e poi lascialo riposare», prima di uscire dalla stanza, mise tra le mani di Newt un piccolo tubetto di plastica. «Mettilo sulla guancia, hai un livido enorme. Mi dispiace per lo schiaffo...».
Newt intascò il medicinale senza disturbarsi di ringraziarlo. Piuttosto, si girò verso Thomas, intento a fare un'altra iniezione al ragazzo disteso sul letto. Minho era svenuto per il dolore.
«Ti aspetto qui fuori. Voglio che tu porti via le tue cose dalla mia stanza».
Quella semplice frase, fece male ad entrambi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 27, 2015 ⏰

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Newtmas || Thominho || "Un altro passo ancora"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora