Capitolo 1

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Ne era passato di tempo da quel giorno.
Era il 3 maggio dell'anno 3100. Era il mio diciottesimo compleanno.
Quel giorno rimase impresso nella mia mente per tanti e molti anni a venire perché cambiò, radicalmente, la mia vita.


Quella mattina i primi raggi di sole iniziavano ad entrare a spintoni dai piccoli fori della finestra, che avevo tentato invano di sigillare con una tavola di legno trovata per strada solo pochi giorni fa. Le persiane non c'erano o quel che ne rimaneva non riusciva a far si che la luce mattutina non mi svegliasse quando ero immersa nel sonno. Le mura in cemento ancora reggevano al vento forte e alle grandi tempeste di sabbia mentre per quel che riguardava il tetto, quest'ultimo era coperto da un grande telone verde che ad ogni sferzata ricordava un'onda gigantesca.
Ero sveglia da un po' e ascoltavo il lento respiro di Milus, mio fratello, che dormiva ancora profondamente.
Mia madre mi aveva spiegato che un tempo gli orologi segnavano l'ora grazie al lento procedere delle lancette sul quadrante. Non avevo idea di come potesse essere una giornata costellata dal ticchettio di quegli arnesi. Io mi alzavo appena i raggi del sole mi illuminavano il volto e mi addormentavo al calar della sera.
Proprio in quel momento, mia madre, Aresea, entrò nella stanza e mi voltai di lato appena in tempo per vederla rivolgermi un sorriso. Si mise seduta sul letto di Milus e iniziò a scuoterlo, Milus si voltò, si lamentò appena, ma quasi subito aprì gli occhi e iniziò a stirarsi. Ogni volta che guardavo Milus non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse cresciuto in un solo anno. I capelli biondi ricordavano il colore del grano maturo e i suoi occhi a mandorla neri erano sempre allegri, anche se non c'era niente di divertente nella vita che conducevamo. Eravamo nati dalla parte sbagliata. Eravamo poveri.
Mi misi seduta e tolsi piano la tavola di legno per guardare fuori. Non c'era anima viva in giro e tutto intorno erano mulinelli di sabbia creati dal forte vento. La nostra casa si affacciava sul campo arido e polveroso e di fronte altre due abitazioni prendevano piede. Erano sgangherate, ma almeno la nostra avevano una specie di tetto, cosa che non si poteva dire certo di quelle due.
Il sole entrò timido dentro la stanza spoglia. Andai in bagno e mi lavai il viso prima di vestirmi. Pantaloni larghi e di color verde sbiadito e una maglietta bianca logora erano il mio abbigliamento solito e con cui mi trovavo a mio agio. Afferrai il libro e lo nascosi in una sacca prima di dirigermi verso l'uscita.

"Signorina, dove stai andando?"

La voce di mia madre mi scosse e mi paralizzò davanti alla porta che dava all'esterno. Mi preparai a non far trapelare nulla dalla mia espressione e così mi voltai pronta.

"Devo vedere Alis"

"Voi due non me la raccontane giusta."

"Mamma!", urlai sconvolta.
Con un sorriso appena accennato, si voltò e prese un sacchetto dal tavolo.

"Vai e mangia qualcosa lungo la strada."

Fuori l'aria era fresca, ma satura di polvere.
Arrivai al solito posto, l'arco di Gydeon, dopo mezz'ora. Non avrei saputo dire perché avesse questo strano appellativo, ma mi piaceva il suono e il mistero che si celava dietro a quel nome.
Fu lì che trovai Alis, il quale andava avanti e indietro in maniera agitata. Appena mi vide sembrò sospirare di sollievo.

"Finalmente!", esclamò. "Ma che fine hai fatto?"
Si sistemò una ciocca dietro l'orecchio mentre mi veniva incontro. Aveva lunghi capelli biondo cenere ondulati e occhi marroni. Era alto, molto più alto di me e per questo mi aveva affibbiato il nomignolo di nanerottola, e infatti vicino a lui mi sentivo sempre davvero minuscola.

"Ho avuto paura che ti avessero scoperta."

Eravamo nelle terre di Luxur, terre in cui non era consentito possedere oggetti del passato, anche perché la maggior parte era stata distrutta durante la Grande Guerra.
Diverse dittature si erano instaurate nel tempo e diversi conflitti interni avevano costretto grandi popolazioni a prendere il mare, rischiando anche la vita stessa.
C'era nel loro cuore il desiderio di una vita migliore.
Molti di loro erano morti nella lunga traghettata, molti altri erano giunti sulle nostre coste.
Era l'anno 3000 quando le grandi potenze, come l'allora Germania e gli Stati Uniti, avevano deciso di stipulare un patto d'alleanza che prevedeva di aiutare le popolazioni in difficoltà.
Le persone erano state smistate tra i vari stati, ma i conflitti interni e il malcontento erano cresciuti sempre più e in tanti avevano rotto l'alleanza per creare dei veri e proprio lager dove confinare ogni straniero o nelle diverse lingue ajeno, fremd o foreign. La situazione non poteva che peggiorare.
Intanto, alcuni stati  avevano eretto dei veri e propri muri e gli stranieri catturati venivano confinati in strutture chiuse e lasciati a vivere in condizioni disumane.
Non tutti erano, però, d'accordo con questa modalità d'intervento e, mentre le conflittualità interiori stavano aumentando, crescevano anche quelle tra i potenti. La Grande Guerra fu la risposta.
Nell'aria era forte lo scoppio delle bombe atomiche e l'odore dei fumi tossici.
Pochi furono i sopravvissuti.
In quel mondo ormai decimato, qualcuno si prese la libertà di prendere il comando e convinse, non si sa come, altri a seguirlo.
Re Maximilian diede inizio alla Grande Persecuzione e alla cattura e al confinamento degli immuni in campi circolari con mura altissime e con un cancello enorme che ci separava dal mondo esterno. Eravamo immuni e non si sa per quale logica o per quale mutazione genetica, ma c'era ancora speranza. Noi eravamo il futuro.
Da allora non ci fu più concesso di possedere oggetti del passato.
Non c'erano libri. Mia madre mi aveva insegnato a leggere di nascosto e per farlo aveva rischiato grosso. La punizione per chi legge o possiede materiale cartaceo era davvero dura.

"Scusami, non sono riuscita ad evitare mia madre."
Lui mi sorrise. Una volta seduti, tirai fuori il libro dallo zaino. Era il mio preferito, anche perché era l'unico libro che avevo e lo custodivo gelosamente.

"Cime tempestose", lessi ad alta voce.
Accarezzai la copertina.

"Posso vederlo?"
Gli passai il libro e lui iniziò a voltarlo, rigirarlo, accarezzarlo, a cercare di capirne il peso.

"Wow!", esclamò. Gli brillavano gli occhi. Si vedeva che era emozionato, affascinato e allo stesso tempo anche impaurito. Gli tremavano le mani.
"Bene, iniziamo."

Appena pronunciai quelle parole, un corno risuonò in lontananza. Io e Alis ci guardammo e so che anche lui stava sperando che non ci fossero guai in vista. Presi velocemente il libro dalle sue mani, lo nascosi e insieme ci mettemmo a correre in direzione del suono.
Arrivammo al centro della struttura, una sorta di piazza, e li trovai Milus e mia madre che appena mi vide mi abbracciò forte, separandomi da Alis. Qualcuno si schiarì la voce amplificata da un microfono. Alzai gli occhi e su una piattaforma metallica, montata per l'occasione, un uomo dall'abbigliamento appariscente e dai folti capelli neri sembrava guardarci, quasi trapassarci, ognuno con una certa curiosità. Era impossibile che potesse osservarci uno ad uno visto che eravamo almeno 1500 persone, ma quella era la sensazione. Il suo sguardo pareva attraversare ciascuno di noi.
Mi sciolsi dall'abbraccio, mentre i suoi occhi passarono sopra di me e io mi sentii quasi morire.
Aveva degli occhi di ghiaccio nel vero senso della parola.
Diversi uomini della sicurezza posti ai lati del palco iniziarono a spintonarci stringendoci l'uno l'altro sempre più vicini. Una volta che l'uomo diede un ultimo sguardo alla folla sottostante si aggiustò il cravattino rosso e, alzato il microfono, iniziò a dire: "Miei cari, oggi è un grande giorno! Beh, che maleducato. Molti di voi mi conoscono, ma per quelli che non lo sanno io sono Esral Born."
Il suo tono era sicuro e spavaldo. Il pantalone nero e la giacca multicolor lo facevano apparire quasi irreale e un tipo vestito cosi faceva a botte con la realtà che ci circondava. Neanche nei miei sogni avrei mai potuto immaginare che chi stava al potere potesse indossare certi abiti. 

"Miei cari, come dicevo poc'anzi" , continuò "oggi è un grande giorno, un meraviglioso giorno per alcuni di voi almeno. Non è mai successo che il re prendesse una decisione simile, ma ad oggi le guardie in difesa del re si sono dimezzate. Le polveri sottili presente nell'aria ci stanno uccidendo uno dopo l'altro. Questo sarà un nuovo giorno per tutti noi perché oggi prende il via la Selezione."
Gli uomini della sicurezza armati di un dispositivo elettronico, come se avessero ricevuto un qualche tipo di ordine, partirono veloci in mezzo a noi. Ci dispersero e si focalizzarono soprattutto sui più giovani. Il dispositivo elettronico veniva usato per leggere il bracciale che ci fasciava il polso e che dava informazioni precise e veloci non solo circa la nostra età anagrafica, ma anche, e cosa più importante, informazioni riguardo la nostra salute fisica. 

"Questo va bene!", urlò una delle guardie.
Un ragazzo che non poteva avere più di 15 anni venne prelevato con la forza e un uomo tarchiato accanto a lui iniziò a urlare e spintonare le guardie.

"Lasciatelo, lasciatelo!", urlò con voce disperata.
Uno uomo alto e barbuto tirò fuori una pistola e, senza tante cerimonie, gli buttò addosso una scarica elettrica di 800 Kv.
L'uomo si accasciò al suolo tremando.

"E' mio figlio", sussurrò, senza più forze. "E' mio figlio".
Fissai scioccata la scena e mi sentii paralizzata: le mie gambe erano diventate di marmo.
Milus si strinse a me e mi afferrò la mano. Chinai lo sguardo e notai che aveva gli occhi lucidi e tremava.
Esral Born riprese a parlare.

"I ragazzi e le ragazze dai 15 ai 20 anni saranno prelevati e portati a palazzo."








Le terre di Luxur - La selezione (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora