Capitolo quinto:

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- Mamma, mamma, sono tanto felice! - mormorò la fanciulla,
nascondendo il viso nel grembo della donna avvizzita e
dall'aria stanca, che, girando le spalle alla luce cruda e
importuna, sedeva sull'unica poltrona che conteneva il loro
frusto salotto.
- Sono tanto felice! - ripeté - e anche tu devi essere felice!
La signora Vane fece una smorfia e posò sul capo della figlia le
mani sottili, imbiancate al bismuto. - Felice! - fece eco. - Io
sono felice quando ti vedo recitare, Sybil. Tu non devi pensare
ad altro che alla tua arte. Il signor Isaacs è stato molto buono
con noi e noi gli dobbiamo dei soldi.
La ragazza alzò gli occhi, arrabbiata. - Soldi, mamma?
esclamò. E che importanza hanno i soldi? L'amore conta più
del denaro.
- Il signor Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare i
nostri debiti e per comperare il corredo occorrente a James; non
devi dimenticarlo, Sybil. Cinquanta sterline sono una
grossissima somma. Il signor Isaacs è stato molto gentile.
- Non è un signore, mamma, e odio il suo modo di parlarmi
disse la fanciulla, alzandosi in piedi e andando verso la finestra.
- Non so che cosa faremmo senza di lui - rispose la vecchia con
voce lamentosa.
Sybil Vane scosse la testa e si mise a ridere. - Non abbiamo più bisogno di lui, mamma. Adesso il Principe Azzurro governa le
nostre vite. - Qui si fermò. Fu come se una rosa le fosse fiorita
nel sangue e le avesse velato le guance. Un respiro rapido
schiuse i petali delle sue labbra, che tremarono. Un soffio caldo
di passione alitò su lei e mosse le pieghe delicate del suo
vestito.
- Lo amo - disse con semplicità.
- Bambina sciocca, bambina sciocca! - fu la frase
pappagallesca che ebbe in risposta. Il movimento delle dita
adunche, ornate di gioielli falsi, rendeva grottesche le parole.
La fanciulla rise di nuovo. Nella sua voce vibrava la gioia di un
uccellino in gabbia. I suoi occhi afferrarono la melodia e le
fecero eco, raggianti, quindi si chiusero un istante, quasi per
nascondere il loro segreto. Quando si riaprirono c'era passata su
una nebbia di sogno.
La saggezza dalle labbra sottili le parlava dalla sedia logora,
raccomandando prudenza, citando quel libro di codardia il cui
autore si appropria del nome di senso comune. Lei non
ascoltava: era libera nella sua prigione di passione. Con lei
c'era il suo Principe, il Principe Azzurro; aveva chiamato la
memoria a evocarlo, aveva mandato la sua anima a cercarlo e
questa gliel'aveva ricondotto. Il suo bacio tornava a bruciarle le
labbra; e le sue palpebre erano calde del suo alito.
Allora la saggezza cambiò metodo e parlò di indagini e di
scoperte. Quel giovanotto poteva essere ricco; in quel caso si
poteva pensare a un matrimonio. Le onde dell'astuzia mondana
si spezzavano contro la conchiglia del suo orecchio; le frecce
dell'abilità la sfioravano senza colpirla. Vedeva muoversi le
labbra sottili e sorrideva. Di colpo sentì il bisogno di parlare;
quel silenzio pieno di parole la disturbava. - Mamma, mamma -
esclamò, - perché mi ama tanto? Io so perché lo amo, lo amo  perché è quello che l'amore in persona dovrebbe essere. Ma lui,
cosa vede in me? Io non sono degna di lui. Eppure, non so
perché, per quanto mi senta tanto al disotto di lui, non mi sento
umile; mi sento orgogliosa, terribilmente orgogliosa. Mamma,
tu hai amato il babbo come io amo il Principe Azzurro?
La vecchia impallidì sotto la polvere da poco prezzo che le
incipriava le guance e le sue labbra aride si torsero in uno
spasimo di pena. Sybil corse da lei, le gettò le braccia al collo e
la baciò. - Perdonami, mamma, lo so che ti addolora parlare del
babbo; ma ti addolora solo perché l'hai amato tanto. Non devi
avere quell'aria triste. Io sono felice oggi come tu vent'anni fa.
Ah, lasciami essere felice per sempre!
- Bambina, sei troppo giovane per pensare a innamorarti. E poi,
che ne sai di quel giovanotto? Non conosci nemmeno il suo
nome. E' tutta una storia che non ci conviene affatto; e
veramente, in questo momento che James parte per l'Australia,
devo dire che avresti dovuto dimostrarmi un po' più di
riguardo. Però, come dicevo prima, se è ricco...
- Ah, mamma, mamma, lasciami essere felice!
La signora Vane la guardò e, con uno di quei falsi gesti teatrali
che negli attori diventano tanto spesso una seconda natura, la
strinse tra le braccia. In quel momento la porta si aprì e un
ragazzo coi capelli bruni arruffati entrò nella stanza. Era
tarchiato, coi piedi e le mani grandi, e un po' goffo nei
movimenti; non era di razza fine come la sorella. Era difficile
indovinare la stretta parentela che esisteva tra loro. La signora
Vane lo fissò e intensificò il sorriso; mentalmente innalzava
suo figlio alla dignità di pubblico e si sentiva sicura che il suo
"tableau" era interessante. - Potresti conservare per me
qualcuno dei tuoi baci, Sybil, mi pare - disse il ragazzo con un
brontolìo bonario.
- Ah, ma a te non piacciono i baci, James - esclamò lei. - Sei un
brutto orsaccio. - E corse attraverso la stanza e l'abbracciò.
James Vane guardò teneramente in volto la sorella. - Vieni fuori
a fare una passeggiata con me, Sybil. Non credo che rivedrò
mai questa orribile Londra, e di certo non desidero rivederla.
- Figlio mio, non dire di queste cose tremende - mormorò la
signora Vane, prendendo in mano con un sospiro uno
sgargiante costume teatrale e cominciando a rammendarlo.
Sentiva una certa delusione perché lui non si era unito al
gruppo, cosa che avrebbe accresciuto il carattere teatralmente
pittoresco della situazione.
- Perché no, mamma? Io penso così.
- Tu mi addolori, figliuolo. Ho fiducia che tornerai
dall'Australia in buone condizioni finanziarie. Credo che nelle
Colonie non esiste nessun tipo di società, di quella che merita
di essere chiamata società, e perciò quando avrai fatto fortuna
dovrai tornare a prendere il tuo posto a Londra.
- Società! - borbottò il ragazzo. - Non voglio sapere niente di
tutto questo. Mi piacerebbe fare un po' di soldi per poter portar
via dal palcoscenico te e Sybil. Lo detesto!
- Oh, James - disse Sybil ridendo, - come sei poco gentile! Ma
vuoi veramente uscire a passeggio con me? Che bella cosa!
Avevo paura che tu andassi a dire addio a qualcuno dei tuoi
amici, a Tom Hardy che ti ha dato quella orribile pipa oppure a
Ned Langton che ride di te perché la fumi. Sei molto caro a
concedermi il tuo ultimo pomeriggio. Dove andiamo? Andiamo
nel Parco.
- Sono troppo mal vestito - rispose lui, accigliato. - Soltanto la
gente elegante va nel Parco.
- Che sciocchezze, James! - sussurrò lei, accarezzandogli la
manica della giacca.
Egli esitò un attimo. - Benissimo - disse finalmente, - ma non
metterci troppo tempo a vestirti. - Sybil uscì dalla porta come
se ballasse; la si poteva sentire cantare mentre saliva le scale
correndo. Sopra le loro teste si sentì il ticchettìo dei suoi
piedini sul pavimento.
Egli andò su e giù per la stanza un paio di volte, poi, rivolto
alla figura immobile sulla sedia, disse: - Mamma, sono pronte
le mie cose?
- Tutto pronto, James - rispose lei, tenendo gli occhi fissi sul
lavoro. Da qualche mese ormai quando si trovava da sola con
questo suo figlio rude e serio si sentiva a disagio. Quando i loro
sguardi si incontravano, la sua segreta natura superficiale ne
era turbata. Poiché egli non diceva altro, il silenzio diventò
intollerabile per lei e cominciò a lamentarsi. Le donne si
difendono attaccando, così come attaccano per mezzo di una
resa improvvisa e strana. Disse:
- Spero che sarai contento della tua vita marinara, James. Devi
ricordarti che te la sei scelta da te. Avresti potuto entrare nello
studio di un procuratore; i legali formano una classe molto
rispettabile e in campagna vanno spesso a pranzo dalle migliori
famiglie.
- Detesto gli uffici e detesto gli impiegati - replicò lui. - Ma hai
perfettamente ragione; la mia vita me la sono scelta da me. Ti
dico solo una cosa: sorveglia Sybil. Non permettere che le
accada niente di male. Mamma, devi vegliare su di lei.
- James, questi sono discorsi strani. Naturalmente veglio su
Sybil.
- Sento dire che un giovane signore viene a teatro tutte le sere e che va dietro le quinte a parlare con lei. E' vero? e tu che ne
pensi?
- James, tu parli di cose che non capisci. Nella nostra
professione siamo abituate a ricevere molte delicate attenzioni.
Io stessa ricevevo parecchi mazzi di fiori alla volta, ai tempi in
cui l'arte drammatica era veramente apprezzata. Quanto a
Sybil, non so finora se il suo affetto sia serio o no; ma non c'è
dubbio che il giovine di cui parli è un perfetto gentiluomo. Con
me è sempre cortesissimo; e poi ha tutta l'aria di un uomo ricco
e i fiori che manda sono magnifici.
- Però non sai nemmeno come si chiama - disse il ragazzo con
asprezza.
- No - rispose la madre, con un'espressione di tranquillità sul
viso. - Finora non ha rivelato il suo vero nome. Penso che è
davvero romantico da parte sua. Probabilmente appartiene
all'aristocrazia.
James Vane si morse le labbra. - Fa' attenzione a Sybil, mamma
esclamò; - veglia su di lei.
- Figlio mio, non farmi disperare. Sybil sta sempre sotto la mia
custodia speciale. Naturalmente, se quel signore è ricco, non c'è
ragione perché lei non possa sposarlo. Sono sicura che è uno
dell'aristocrazia; devo dire che ne ha tutto l'aspetto. Per Sybil
potrebbe essere un matrimonio brillantissimo. Loro due
farebbero una coppia deliziosa; lui è di una bellezza veramente
straordinaria: tutti quanti ne sono colpiti.
Il ragazzo borbottò qualcosa tra sé e sé, tamburellando sul
vetro della finestra con le sue rozze dita. Era sul punto di
girarsi per parlare quando la porta si aprì e Sybil entrò
correndo. - Come siete seri tutti e due! - gridò. - Che è successo?
- Niente - rispose il fratello. - Bisogna pure essere seri qualche
volta. Addio, mamma; vorrei pranzare alle cinque. Tutto è
imballato, meno le mie camicie, e così non hai bisogno di
occuparti di niente.
Il tono che aveva preso con lei l'aveva grandemente urtata e nel
suo aspetto c'era qualcosa che le dava un senso di paura.
- Dammi un bacio, mamma - disse la fanciulla. Le sue labbra
simili a un fiore sfiorarono la guancia avvizzita riscaldandone
il gelo.
- Figlia mia, figlia mia! - gridò la signora Vane, alzando gli
occhi al soffitto, in cerca di un loggione immaginario.
- Andiamo, Sybil - disse suo fratello, impaziente, perché odiava
le smancerie materne.
Uscirono nella luce del sole, che pareva tremolare al vento,
avviandosi giù per la malinconica Euston Road. I passanti
guardarono meravigliati quel giovane imbronciato, pesante,
vestito di abiti ordinari e mal tagliati, che accompagnava una
ragazza così graziosa, dall'aspetto così fine. Sembrava un rozzo
giardiniere che portasse a passeggio una rosa.
Di quando in quando James si accigliava quando sorprendeva
le occhiate curiose di qualche estraneo. Sentiva quel disagio
nell'essere guardato che è proprio dei geni negli ultimi anni
della loro vita, ma dal quale la gente ordinaria non si libera
mai. Sybil dal canto suo non si rendeva minimamente conto
dell'effetto che produceva. L'amore tremava sulle sue labbra
sotto forma di riso. Pensava al Principe Azzurro; e, per poter
pensare a lui anche di più, non ne parlava, ma chiacchierava
della nave sulla quale James stava per imbarcarsi, dell'oro che
avrebbe certamente trovato, della bellissima ereditiera alla quale avrebbe salvato la vita dalle mani dei malvagi briganti
dalle camicie rosse; dato che lui non era destinato a restare
marinaio, o commissario, o quella qualsiasi cosa che stava per
diventare, oh, no! La vita del marinaio era terribile. Pensare di
essere rinchiuso in un orrendo bastimento, con le onde rauche,
incurvate come gobbe immense, che lottavano per
soverchiarlo, il vento nero che abbatteva gli alberi e stracciava
le vele riducendole a lunghi nastri sibilanti! Avrebbe lasciato il
bastimento a Melbourne, dicendo cortesemente addio al
capitano, e sarebbe andato alle miniere d'oro. Entro una
settimana avrebbe trovato una grossa pepita d'oro puro, la più
grossa che mai fosse stata scoperta, e l'avrebbe portata giù alla
costa, in un carro scortato da sei poliziotti a cavallo. I briganti
l'avrebbero attaccato tre volte, ma sarebbero stati messi in fuga
con un'immensa carneficina.
Oppure no: non sarebbe andato per niente nelle miniere d'oro.
Sono luoghi orrendi, dove gli uomini si ubriacano, si sparano
l'un l'altro nei bar e usano un linguaggio sconcio. Sarebbe
diventato un bravo allevatore di pecore; e una sera, cavalcando
verso casa, avrebbe visto la bella ereditiera rapita da un bandito
su un cavallo nero, gli avrebbe dato la caccia e l'avrebbe
liberata.
Lei, naturalmente, si sarebbe innamorata di lui e lui di lei, si
sarebbero sposati, sarebbero tornati in patria e avrebbero
vissuto a Londra in una casa immensa. Sì, il destino aveva in
serbo per lui delle cose magnifiche; ma bisognava che fosse
molto buono e non perdesse la calma né spendesse
stupidamente il suo denaro. Lei non aveva che un anno più di
lui, ma conosceva molto meglio la vita. Doveva promettere,
anche, di scriverle con ogni corriere e di recitare le preghiere
tutte le sere prima di addormentarsi. Dio era tanto buono e
avrebbe vegliato su di lui; lei avrebbe pregato per lui e in pochi
anni sarebbe tornato ricco e felice. Il ragazzo l'ascoltava imbronciato e non rispondeva; l'idea di
allontanarsi da casa gli stringeva il cuore.
Ma non era soltanto questo a renderlo scuro e accigliato. Per
quanto inesperto fosse, sentiva fortemente tutti i pericoli della
posizione di Sybil. Quel giovane elegante che le faceva la corte
non poteva significar niente di buono per lei: era un signore, e
lo odiava per questo, lo odiava per un certo suo curioso istinto
di razza del quale non era responsabile e che appunto per
questo dominava ancora più fortemente il suo animo. Si
rendeva conto anche della superficialità e della vacuità del
carattere di sua madre e vedeva un pericolo immenso per Sybil
e per la felicità di Sybil. I figli cominciano con l'amare i
genitori; crescendo li giudicano e qualche volta li perdonano.
Sua madre! Voleva chiederle una cosa, una cosa che da lunghi
mesi andava rimuginando silenziosamente. Una frase sentita
per caso al teatro, una facezia giunta per caso al suo orecchio
una sera mentre stava aspettando alle porte del palcoscenico,
aveva scatenato in lui una folla di pensieri orribili. Se la
ricordava come se fosse stata la sferzata di uno scudiscio sulla
faccia. Le sopracciglia gli si corrugarono in un solco a forma di
cuneo e si morse le labbra con una smorfia di pena.
- Non ascolti neppure una parola di ciò che ti sto dicendo,
James - esclamò Sybil, - e io sto facendo i piani più splendidi
per il tuo futuro. Su, dì qualche cosa.
- Che vuoi che dica?
- Oh, che farai il bravo ragazzo e non ci dimenticherai rispose
sorridendogli.
Lui scrollò le spalle. - E' più probabile che tu di scordi di me
Sybil, e non io di te.
Sybil arrossì. - Che vuoi dire, James? - chiese. - Hai un amico nuovo, a quel che sento. Chi è? Perché non me
ne hai parlato? Non è una buona cosa per te.
- Basta, James - esclamò lei. - Non devi dire niente contro di
lui. Lo amo.
- Come, se non sai neanche come si chiama! - replicò il
ragazzo.- Chi è? Io ho il diritto di saperlo.
- Si chiama Principe Azzurro. Non ti piace questo nome? Oh,
scioccherello, non dovresti mai dimenticarlo. Basta che tu lo
veda perché tu pensi che è l'essere più meraviglioso che ci sia
al mondo. Un giorno lo conoscerai, quando tornerai
dall'Australia. Ti piacerà infinitamente; tutti gli vogliono bene,
e io... io lo amo.
Dovresti venire a teatro stasera. Lui ci sarà, e io faccio
Giulietta. Oh, come reciterò! Pensa, James, essere innamorata e
recitare Giulietta! Avere lui tra gli spettatori, recitare per la sua
gioia! Ho paura di spaventare la compagnia; di spaventarla o di
entusiasmarla. Essere innamorati significa superare se stessi.
Quel povero tremendo signor Isaacs urlerà "genio!" a tutti quei
vagabondi del bar; lui che mi ha predicato come un dogma,
staserà mi annuncerà come una rivelazione; ne sono certa. E
tutto è suo, soltanto suo, del Principe Azzurro, del mio
magnifico innamorato, del mio dio di grazia. Io sono povera
vicino a lui; povera! E che vuol dire? Quando la povertà si
affaccia alla porta l'amore entra dalla finestra. Bisogna
riscrivere i nostri proverbi; sono stati fatti d'inverno e ora è
l'estate; ma per me è primavera, tutta una danza di fiori nel
cielo turchino.
- E' un signore - disse il ragazzo, con la faccia scura.
- Un Principe! - esclamò lei, musicalmente. - Che vuoi di più?
- Vuole fare di te la sua schiava.
- L'idea di essere libera mi fa rabbrividire.
- Voglio che tu stia in guardia da lui.
- Basta vederlo per adorarlo; basta conoscerlo per confidare in
lui.
- Sybil, tu sei pazza per lui.
Lei rise e lo prese per un braccio. - Caro il mio James, parli
come se tu avessi cent'anni. Un giorno o l'altro sarai
innamorato anche tu e allora saprai cosa vuol dire. Non
prendere quell'aria imbronciata. Dovresti essere contento
pensando che, benché tu parta, mi lasci più felice di quanto non
sia mai stata prima d'oggi. La vita è stata dura per noi due,
terribilmente dura e difficile; ma d'ora in poi tutto sarà diverso.
Tu te ne vai verso un mondo nuovo, io l'ho trovato. Ecco qui
due sedie; sediamoci a guardare la bella gente che passa.
Si sedettero in mezzo a una folla di gente che stava a guardare.
Dall'altra parte del viale le aiuole di tulipani fiammeggiavano
come palpitanti cerchi di fuoco. Nell'aria immobile era sospeso
un pulviscolo bianco, che sembrava una nuvola tremolante di
polvere di giaggiolo. I parasoli dai colori vivaci ballavano e si
tuffavano, simili a mostruose farfalle.
Lei faceva parlare il fratello di se stesso, delle sue speranze, dei
suoi progetti. Questi parlava lentamente e con sforzo; si
passavano l'un l'altro le parole, come in una partita i giocatori
si passano i gettoni. Sybil si sentiva oppressa; non riusciva a
comunicare la gioia che era in lei. Un vago sorriso curvava
quella bocca imbronciata ed era l'unica eco che le riuscisse di
ottenere.
Alla fine tacque. Di colpo vide in un lampo capelli d'oro e labbra ridenti e Dorian Gray passò in carrozza aperta con due
signore.
Balzò in piedi. - Eccolo! esclamò.
- Chi? - disse James Vane.
- Il Principe Azzurro - rispose, seguendo la vittoria con lo
sguardo.
Il fratello scattò in piedi e la afferrò bruscamente per un
braccio.
- Fammelo vedere. Qual è? Mostramelo, voglio vederlo -
esclamò; ma in quel momento passò in mezzo il tiro a quattro
del duca di Berwick, e quando lo spazio rimase sgombro la
carrozza era uscita ormai dal Parco.
Sybil, tristemente, mormorò: - E' sparito. Avrei avuto piacere
che tu lo vedessi.
- Anch'io. Perché, com'è vero che c'è un Dio in Cielo, se mai ti
facesse qualche cosa di male lo ammazzerò.
Lei lo guardò esterrefatta, ma lui ripeté quelle parole, che
tagliarono l'aria come un pugnale. Quelli che stavano intorno a
loro cominciarono a interessarsi; una signora che era vicino
rise.
- Andiamo via, James, andiamo via - mormorò la fanciulla.
Egli le tenne dietro testardamente mentre passava attraverso la
folla; era soddisfatto di aver detto quello che aveva detto.
Quando furono arrivati alla statua di Achille essa si girò, e
aveva negli occhi una compassione che si mutò in riso sulle sue
labbra. Scosse la testa:
- Sei uno stupido James, un ragazzino bizzoso e nient'altro.
Come puoi dire quelle cose orribili? Non sai quello che dici; sei semplicemente geloso e cattivo. Ah, vorrei che tu ti
innamorassi; l'amore rende buoni, e quello che hai detto era
malvagio.
- Ho sedici anni - rispose lui - e capisco le cose. La mamma
non ti può essere di nessun aiuto; non ha idea di cosa significhi
sorvegliarti. Ora vorrei non andare più in Australia. Quasi quasi
manderei tutto all'aria. Lo farei certamente, se non avessi
firmato un contratto.
- Oh, James, non essere così serio ! Sei come uno degli eroi di
quegli stupidi melodrammi che alla mamma piaceva tanto
recitare.
Non voglio litigare con te. L'ho visto, e per me vederlo basta a
rendermi felice. Non litighiamo. So che non faresti mai del
male a qualcuno che amo, non è vero?
- No, finché tu lo ami, credo - fu la sua risposta cocciuta.
- Lo amerò sempre! - gridò lei.
- E lui?
- Sempre, anche lui.
- Farà bene.
Essa si spostò da lui; poi rise e gli posò la mano sul braccio.
Non era che un ragazzo.
Al Marble Arch presero un omnibus che li lasciò vicino alla
loro modesta casa di Euston Road. Erano le cinque passate e
Sybil doveva riposare un paio d'ore prima della recita. James
insisté perché lo facesse; disse che preferiva separarsi da lei
quando non c'era la mamma. Questa avrebbe sicuramente fatto
una scena e lui detestava le scene di qualsiasi tipo. Si dissero addio in camera di Sybil. Il cuore del ragazzo era
gonfio di gelosia e di odio feroce, omicida, contro
quell'estraneo che, gli sembrava, si era frapposto tra loro due.
Però, quando lei gli gettò le braccia al collo e gli passò le dita
tra i capelli si ammansì e la baciò con affetto sincero.
Scendendo le scale aveva le lacrime agli occhi.
Al piano di sotto lo aspettava sua madre e, quando entrò, gli
rimproverò la sua poca puntualità. Non rispose e si sedette al
suo pasto frugale. Le mosche ronzavano intorno alla tavola e
passeggiavano sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rumore
degli omnibus e delle carrozze poteva sentire quella voce
monotona che divorava tutti i minuti che gli restavano.
Dopo un po' spinse lontano il piatto e si prese la testa tra le
mani. Sentiva di avere il diritto di sapere; se le cose stavano
come sospettava avrebbero dovuto dirglielo prima. Sua madre
lo guardava, oppressa dalla paura. Le parole le cadevano
macchinalmente dalle labbra; le sue dita sgualcivano un logoro
fazzoletto di trina. Quando l'orologio batté le sei lui si alzò e
andò fino alla porta; poi si girò indietro e la guardò. I loro
sguardi si incontrarono e lui vide in quello di lei una frenetica
invocazione di pietà che lo rese furibondo.
- Mamma, ho da chiederti una cosa - disse. Gli occhi di lei
vagarono intorno alla stanza e non rispose. - Dimmi la verità:
ho diritto di sapere. Tu eri sposata col babbo?
Lei emise un profondo sospiro, che era un sospiro di sollievo.
Il momento terribile, il momento che aveva temuto, notte e
giorno, per settimane, per mesi, era venuto, alla fine, eppure
non sentiva nessun terrore. Anzi in una certa misura, per lei era
una delusione. La volgare nettezza della domanda voleva una
risposta netta. La situazione non era stata preparata
gradualmente, era aspra, e le faceva pensare a una prova mal
riuscita. - No - rispose, meravigliata lei stessa della dura semplicità
della vita.
- Allora il babbo era un mascalzone? - gridò il ragazzo,
stringendo i pugni.
Lei scosse il capo. - Io sapevo che non era libero. Ci amavamo
immensamente. Se avesse vissuto avrebbe provveduto a noi.
Non dire niente contro di lui, figliuolo; era tuo padre ed era un
gentiluomo. Aveva parentele altolocate.
Una bestemmia gli sfuggì dal labbro. - A me non importa
niente proruppe; - ma non lasciare che Sybil... Quello che è
innamorato di lei, o che dice di esserlo, è un gentiluomo, non è
vero? E con parentele altolocate, credo.
Un senso nauseante di umiliazione prese la donna; piegò la
testa e si asciugò gli occhi colle mani tremanti. Mormorò:
- Sybil ha una madre. Io non l'avevo.
Il ragazzo ne fu commosso. Venne verso di lei e si chinò a
baciarla.
- Mi dispiace se ti ho dato un dolore chiedendoti del babbo
disse; - ma non potevo farne a meno. Ora devo andare. Addio.
Non dimenticare che ora hai soltanto una figlia a cui badare; e
credi a me: se quell'uomo fa del male a mia sorella, io scoprirò
chi è, lo ritroverò e lo ammazzerò come un cane. Lo giuro.
La folle esagerazione della minaccia, il gesto passionale che lo
accompagnava, le parole pazzescamente melodrammatiche le
fecero sembrare più vivida la vita. Si ritrovò in un'atmosfera
che le era familiare; respirò più liberamente e per la prima
volta da molti mesi provò una vera ammirazione per suo figlio.
Le sarebbe piaciuto prolungare la scena sulla stessa scala
emozionale, ma lui tagliò corto. C'era da portar giù il bagaglio e da cercare le sciarpe; l'uomo di fatica della pensione andava
su e giù; bisognò contrattare col vetturino; il momento andò
perso in tutti quei dettagli volgari. Fu con un rinnovato senso di
delusione che la madre sventolò dalla finestra il logoro
fazzoletto di trina quando il figlio se ne andò. Si rendeva conto
che una grande occasione era andata sprecata, ma si consolò
dicendo a Sybil quanto sarebbe stata desolata la sua esistenza
ora che le restava soltanto una figlia a cui badare. Si ricordò
della frase: le era piaciuta.
Della minaccia non disse niente. Era stata formulata
vivacemente e drammaticamente. Disse a se stessa che un
giorno o l'altro ne avrebbero riso tutti insieme.

IL RITRATTO DI DORIAN GRAYWhere stories live. Discover now