Gioventù bruciata

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Ripetere non era per me, perlomeno lo dicevo a parole e ne ero convinta.
Ripetere un'azione, la lezione per l'interrogazione a scuola, ripetere uno sbaglio.
Per quanto riguardava la scuola era vero: a costo di dormire poche ore o non chiudere occhio mi ostinavo a lasciare montagne di libri e pagine all'ultimo giorno; ma per quanto riguardava il resto ero, ancora una volta, una misera bugiarda.
Io avevo questa tendenza a ripetere i miei sbagli non una e non due volte, bensì così tante da non poterle contare sulle dita.
Cocciuta? Testarda?
No.
Ero unicamente cieca, abbagliata dai miei errori che parevano due fari troppo luminosi.
Poi, c'avevo questa abitudine di tornare indietro, di fare due passi e uno a ritroso; c'avevo questa fissazione di percorrere sempre la stessa strada, di fare qualcosa solamente in un determinato modo.
Altro che odiare ripetere, io ero un'abitudinaria che senza la sua routine non sapeva come muoversi, spaesata fin troppo dai cambiamenti non prefissati.
Stavo chiudendo la libreria alle tredici spaccate, era sabato e Nelly mi aveva detto di rimanere aperta solo al mattino; ora lei stava a letto o a scrivere il suo libro al caldo, all'ospedale per le cure e le visite o al parco, al club di cucito o al bar del suo amico Malcolm e io avevo trovato, alle fine, il lavoro che tanto avevo cercato.
Mi chiamava, pranzavamo insieme e aveva pure preteso di parlare con Harry, ma quello che s'erano detti era un segreto e non me lo volevano dire.
«Cosa ti ha detto Ellen?» chiedevo curiosa a Harry che si stava rivestendo mentre io me ne stavo ancora fra le lenzuola.
«Non te l'ha detto lei e ora vuoi saperlo da me?» mi aveva domandato.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.» e avevo sbuffato, girandomi dall'altro lato con un sorriso nascosto perché sapevo che si sarebbe avvicinato e m'avrebbe dato un bacio.
E così era stato veramente, dolci e rumorosi baci che diventavano profondi fino a toccarmi l'anima, a bramarla e sussurrarle messaggi d'amore.
«Dunque?» ero insistente in ogni caso e le sue moine mica mi facevano dimenticare.
«È un segreto.» ribadiva e mi stringeva un po' di più.
«Diventerebbe un secondo segreto se lo dicessi a me, non direi certo a Nelly che mi hai rivelato tutto.»
Rise e il suo viso toccava il mio. «L'ho promesso.»
«E le mantieni sempre le tue promesse?»
«Ovviamente, sono un uomo d'onore.»
«Prometti qualcosa anche a me e vedrò se è vero oppure no.»
Abbassò lo sguardo con un risolino e mi afferrò le mani. «Ecco uno dei motivi per cui mi piaci, non ti accontenti delle parole che ti vengono rifilate; no, tu hai bisogno di verifiche, di conferme e di fatti.»
«Non cambiare argomento, fai la tua promessa.»  sorridevo e il suo tocco mi portava in paradiso.
«Cosa vuoi che ti prometta?»
«Non lo so, devi decidere tu! Sennò non è spontaneo.»
«Ti prometto che non cambierà mai niente, qualunque cosa tu dica o faccia. Potrei perdonarti tutto senza che anche soltanto il minimo dettaglio di quello che c'è tra noi muti.»
«Non cambierebbe assolutamente niente?»
«Niente.»
Un bacio.
«Ed è una promessa?»
«È una promessa.»
Un bacio di nuovo.
Adoravo tutto ciò, adoravo averlo vicino senza alcuna targa, senza titoli e nomi a denominare il nostro affetto.
Due persone che condividevano più di due corpi nudi, due persone che erano unite oltre quel che poteva significare una parola.
Essere mio, essere sua non era importante; erano fondamentali i sentimenti.
Sorridevo, mi ricordo che sorridevo nel pensarlo, nel pensare che la solitudine e il suo vuoto non mi distruggevano più giorno per giorno.
Ricordi e riflessioni come queste mi accompagnavano e mi rendevano immune al freddo e al gelo finché non arrivai al palazzo giusto, giungendo a destinazione.
«Sei arrivata, finalmente.» era Caleb stavolta.
«Non sono poi così in ritardo.»
Caleb era continuamente gentile, ve lo avevo detto; un amico come lui non l'avevo mai avuto, uno che comprende e impara ad usare meno i punti interrogativi perché non è interessato a risposte forzate.
«Cosa hai preparato?»
«Ho ordinato due pizze.» alzò le spalle.
«Dovresti imparare a cucinare, non puoi mangiare solo panini e pizze. Fanno male.»
«Ieri ho mangiato un'insalata, sto migliorando. Poi non ho tempo per le lezioni di cucina, non ne ho nemmeno la voglia.» disse. «La vita diventa dura quando non c'è nessuno a portarti il piatto a tavola e a farti il bucato.» si difese.
«Ma ti piace stare qui?»
«Indubbiamente si.» rispose quasi di scatto. «Non è chissà quale lusso, è un appartamento minuscolo e umile però ho quel che mi serve, ho la mia indipendenza e la mia vita.»
«Deve essere bello poter decidere tutto, a partire dalle scelte più banali.» mormorai, togliendo la mia giacca e sedendomi sul piccolo divano.
«E tu? Perché sei ancora qua?»
«Che vuoi dire?»
«Si vede che non sei fatta per questo posto, per le piccole cose.»
«Non lo so, in realtà.» risposi. «Ho la mia casa, ho mio fratello e la mia famiglia; ho Nelly e tanto altro, non sono poi così coraggiosa da fare le valigie e andare via.»
«Lo credi tu.» mise su un vinile, gli piacevano tanto quei vecchi dischi e il giradischi vintage che aveva sul comodino era il suo "tesoro"; mi ricordava Ellen su questo lato.
Era una melodia soffice, armoniosa e la riconobbi subito; era un pezzo di musica classica che sentivo spesso, però mi accontentavo di un paio di cuffiette.
Era la sonata al chiaro di luna di Beethoven.
«Secondo me, è solo una scusa per non perdere la sicurezza che ti dona la tua routine; una scusa per non trovare o cercare pretesti che potrebbero crepare quello che hai con lui, con Harry.»
«Può darsi.»
«Non vuoi lasciare niente.»
«Può darsi.» ripetei.
«Parlando di lui, come sta?»
«Sta bene.» riferii. «È a Londra dai suoi genitori, loro stanno lì molto tempo per faccende lavorative o qualcosa del genere.»
«E lui ce l'ha un lavoro?»
«Studia per la verità.»
«Oh.» esclamò sorpreso. «Cosa?»
«Legge.»
«Impegnativo.» commentava con le sopracciglia alzate e la bocca curvata. «L'università non fa proprio per me, invece.»
«Non fa neanche per me.» affermai.
Aprimmo i cartoni della pizza, nel frattempo si era leggermente raffreddata, e vidi che si era perfino ricordato qual era la mia preferita.
«Vediamo un film?» mi propose tutto contento. «Ne ho uno che ti piacerà sicuramente, dopo l'ultima volta ho noleggiato un film che seguisse i tuoi gusti cinematografici.»
Ridacchiai e acconsentii. «Di che film si tratta?»
«È uno vecchio, come quelli che preferisci tu. Ho preso Gioventù bruciata.»
«È un capolavoro, adoro quel film!» mi affrettai a dire. «C'è anche James Dean, lui era davvero un tipo affascinante.»
«Dean sarebbe stato il tuo tipo, secondo me.»
«Dici?»
Annuì. «Non convenzionale, strano e con la testa piena di pensieri.»
Il film iniziò e insieme a Jim Stark, a Plato, a Buzz ripercorsi nuovamente una strada conosciuta.
La ripercorsi con la paura di incontrare un tunnel e spegnere, rompere la grande lampadina che impediva al buio di vincere.
Alla fine bruciamo tutti la nostra gioventù, ci pensate? Chi nei bicchieri, chi nei rimpianti, nelle delusioni, nei filtri e nel tabacco e chi nella paura.

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Sono tornata con un nuovo capitolo di cui, devo dire, sono molto fiera.
Ieri non sono riuscita a frenare tutte queste parole, credo abbiate capito che questa storia continua in maniera molto spontanea.

Se volete lasciarmi un parere, un messaggio o qualunque altra cosa ne sarei davvero molto felice, pure le critiche sono ben accette. x

Whisper in the dark Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt