Quarto Capitolo

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Tornato in camera, Ryou buttò la giacca sul divanetto, allentò il nodo della cravatta e arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti. Poi andò a sedersi alla scrivania, il suo portatile segnava parecchie mail non ancora aperte e iniziò a leggere i messaggi.

Per un attimo ripensò allo sguardo sconfitto e ferito della ragazza. Non aveva fiatato, ma la sua espressione aveva detto tutto. Un po' gli dispiacque, ma quelle erano le dure leggi degli affari e di sicuro quell'esperienza le sarebbe servita per il futuro. Per prima cosa, la ragazza doveva imparare a celare meglio le sue emozioni. Con quegli occhioni da cerbiatta che si ritrovava, era facilissimo leggerle dentro. Poi, come poteva presentarsi ad una contrattazione in inglese senza conoscere bene la lingua? Lui aveva deciso di omettere di saper parlare l'italiano dalla sua prima trattativa, solo perché sapeva che in questo modo creava una difficoltà in più nella controparte. Conosceva quella società da tempo, si era rivolto a loro, qualche anno prima per l'acquisto di un'anfora. Gliene aveva parlato un suo amico, il quale, durante un viaggio in Italia, aveva conosciuto il titolare perché ospiti di una conoscenza comune. Ryou, prima di contattarli, aveva fatto le dovute ricerche e ne era uscito fuori che si trattava di una piccola società, ma che a volte poteva offrire oggetti interessanti. Un esempio era l'anfora e non ultimo la bottiglia che intendeva comprare.

Non si capacitava di come una società come quella, che era solo un pesce piccolo nel grande oceano dell'antiquariato, potesse avere tra le mani manufatti tanto rari. Non negava che aveva deciso di contrattare in inglese proprio perché, grazie alle sue ricerche, aveva scoperto che non vantava di un personale di spicco. In questo modo aveva pensato di avere più possibilità di riuscita e di mettere soprattutto loro in difficoltà, e i fatti gli avevano dato ragione.

Aveva, però, sempre negoziato con persone che se l'erano cavata sufficientemente. Non erano degli squali in affari, ma almeno avevano avuto la decenza di presentarsi preparati sull'oggetto in questione e di parlare modestamente l'inglese. Quella volta, invece, gli avevano mandato un'incompetente e lui, da ottimo uomo d'affari, aveva approfittato della situazione, anche se questo avrebbe nuociuto alla ragazza. Sapeva che il suo datore non ci sarebbe passato sopra. Ryou l'aveva visto una sola volta, quando gli aveva venduto l'anfora, e gli era bastato per catalogarlo tra le persone arriviste e che venderebbero la propria madre per un centesimo in più. No, la ragazza era spacciata.

Ma a pensarci bene quello non era un suo problema, lui ne aveva di più urgenti da risolvere e primo tra tutti: rimandare i suoi appuntamenti combinati quanto più a lungo possibile. Si passò una mano tra i capelli ripensando a come poteva tenere a bada la nonna, ma non riusciva a trovare una degna soluzione. Così decise di accantonare i suoi pensieri e di dedicarsi al lavoro, per quella sera aveva pensato anche troppo.

                                                                                                          ***

Ryou avvertiva un rumore fastidioso e insistente. Alzò la testa dalla scrivania rendendosi conto che si era addormentato mentre era al computer. Di nuovo sentì quel rumore, ma non capiva ancora da dove provenisse, guardò l'orologio e vide che segnava le due e quarantacinque.

Ancora un colpo e si rese conto che qualcuno bussava alla sua porta. Chiedendosi chi diavolo potesse essere a quell'ora andò ad aprire, e mai avrebbe potuto immaginare la scena che si trovò davanti agli occhi.

Ferma sulla porta c'era Cassandra Semoni che lo guardava come volesse ucciderlo lì su due piedi. Aveva i capelli sciolti e un po' arruffati, gli occhi appannati e a stento si reggeva in piedi, segno che aveva bevuto troppo.

«Signorina Semoni, per l'amor del cielo che ci fa qui? Si rende conto di che ore sono?»

La ragazza distorse la bocca in quello che doveva essere un sorriso e gli puntò un dito contro.

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