Capitolo 3

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Due giorni dopo, sono ancora seduta allo stesso banco, della stessa scuola, a guardare fuori dalla stessa finestra, aspettando insistentemente il weekend per evitare di dovermi svegliare presto e venire in questo posto almeno per un paio di giorni. Ormai le mie giornate proseguono in funzione di questo: il weekend. Se non avessimo il weekend libero non saprei proprio come continuare ad andare avanti tra libri, studio e nient'altro. Credo che la mia vita sia già abbastanza monotona così com'è, non ha di certo bisogno di altre attività che la facciano ulteriormente uniformare alla massa.

La lezione che sto seguendo è di una materia per cui non ho mai provato interesse, perciò la mia soglia dell'attenzione è vertiginosamente bassa, tanto che anche lo scoiattolo che scorrazza sull'albero del cortile sul quale si affaccia la finestra affianco al mio banco è più entusiasmante del prendere appunti. Il professore è uno di quegli uomini totalmente immersi nella propria carriera, a un livello tanto alto da non considerare nemmeno gli studenti che ha schierati davanti. Anche per questo mi risulta piuttosto facile prendermi l'intera ora per concentrarmi sulle mie faccende personali: oggi, ad esempio, ho portato i compiti che dovrei fare nel pomeriggio, così da avere più tempo libero una volta tornata a casa. Tempo libero che, ovviamente, sprecherò in intrattenimenti futili e noiosi, ma pur sempre tempo libero sotto il mio controllo, e non sotto quello di un docente a cui nemmeno interessa se i suoi alunni lo ascoltino o meno.

Mentre sono divisa tra il libro che ho sotto gli occhi e le meraviglie dell'autunno fuori dalla finestra, la vibrazione del telefono nella tasca anteriore dello zaino rompe la magia del piccolo mondo in cui sono immersa, riportandomi bruscamente alla realtà e permettendo alle mie orecchie di percepire di nuovo la voce del professore dietro la cattedra. Butto lo sguardo al cielo, piuttosto scocciata da questa "interruzione" del mio florido momento d'immaginazione, e, di soppiatto, allungo la mano dietro la sedia su cui sono seduta per recuperare quanto più cautamente possibile il cellulare. Sono quasi sicura del fatto che si tratti solo dell'ennesimo gruppo per organizzare qualche stramba festa a casa di sconosciuti, e per questo apro con furia le chat, decisa a silenziare qualsiasi tipo di conversazione mi coinvolga in attività sociali tutt'altro che ristrette. Con mia grande sorpresa, però, sono costretta a ricredermi una volta sbloccato lo schermo.


Numero sconosciuto: Scusa, forse non dovrei dirtelo, ma ho ancora il tuo numero salvato in rubrica sotto il nome di "Cam", e negli ultimi giorni mi è capitato di cliccare accidentalmente sulla tua chat e di sbriciare il tuo profilo...


Tutto mi aspettavo, meno che questo messaggio. Perché mai uno sconosciuto dovrebbe provare ad attaccare bottone con una persona che non ha mai visto, per di più scrivendole che ha curiosato tra le sue foto scavalcando il confine della sua privacy?

Leggermente spaventata, faccio per bloccare il numero così da salvaguardarmi da quello che, per quanto mi riguarda, potrebbe essere un soggetto alquanto singolare e pericoloso, ma, proprio nel momento in cui sto per cliccare sul pulsante blocca, arriva una nuova notifica.


Numero sconosciuto: Ok, mi sono reso conto che magari messa così può sembrare una frase da maniaco, ma non sono un maniaco, credimi

Numero sconosciuto: Anche se giurare di non essere un maniaco potrebbe essere una cosa che sicuramente un maniaco farebbe

Numero sconosciuto: Vabbè, non so più cosa sto facendo, scusa, sono un cretino. Volevo semplicemente dirti che sei carina e che amo la canzone di Ed Sheeran che hai scelto di mettere sul tuo profilo. Non so perché mi hai incuriosito, e se non ti fidi di me, lo capisco. Non sono un catfish, e, se mi darai l'occasione di dimostrartelo, giuro che risponderò ad ogni tua domanda con tanto di documentazione della verità.





Text» Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora