Prologo [2.0]

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Ricontrollo l’indirizzo e salgo le scale.
Quando ho letto sul giornale di offerte di lavoro che acquisto settimanalmente… okay, che mia madre acquista settimanalmente – è convinta che la mia vita stia andando a rotoli perché ho ventitré anni, non mi sono iscritta alla magistrale e non ho più un fidanzato.
A ogni modo, quando ho letto che alla “Pâtisserie Française” cercavano un’assistente i miei occhi sono diventati a forma di cuore. È famosa. Ho visto una foto sul profilo Instagram di Paris Hilton di una torta a forma di cuore in cui dichiarava di adorare tutto quello che faceva Pierre M. e lui le aveva risposto in inglese che le avrebbe fatto assaggiare molte altre cose che avrebbe adorato.
Io e Tiziana ci abbiamo visto del torbido, lo ammetto.
Solo che l’eccitazione per l’avviso è scemata quando ho riflettuto in modo obbiettivo sulle mie possibilità: figurarsi se una pasticceria del genere avrebbe preso me.
Però ingenuamente piena di sogni e speranze ho inviato il curriculum all’indirizzo di posta elettronica indicato.
Una garbata Signorina E. Bernardi mi ha risposto comunicandomi di aver esaminato la mia offerta e di volermi incontrare, seguiva un indirizzo. Suggeriva inoltre di portare qualcosa cucinato da me, per valutare concretamente le mie capacità.
Quindi ho fatto un muffin con gocce di cioccolata. Non molto originale, però volevo andare sul sicuro e preparare qualcosa che mi sarebbe riuscito. In più dovevo tenere conto del viaggio che il dolce si sarebbe fatto nel portacasco del mio scooter: i muffin sono dessert solidi.
Suono il campanello dove riconosco uno sbiadito logo della pasticceria e il portoncino scatta, mentre una voce femminile mi suggerisce terzo piano.
Dopo tre piani di scale, il primo quasi di corsa gli ultimi due con molta meno fretta – dovrei muovermi di più, fare più attività fisica, mia madre non fa che propormi inquietanti futuri in cui la mia pigrizia mi porterà all’obesità – raggiungo una porta socchiusa che dà su una piccola anticamera. Ci sono già quattro ragazze, di cui una in lacrime e una seconda intenta a consolarla.
Non molto incoraggiante.
Mi siedo e mi ravvivo i capelli all’indietro.
Aspetto.
Le altre ragazze entrano prima di me e io mi trastullo sfogliando la cronologia di Twitter, quella di Instagram… carine quelle scarpe…
«Veronica Neri?»
Mi riscuoto e guardo la stessa donna che è venuta a chiamare una dopo l’altra le altre ragazze. È una bella donna, sembra piuttosto giovane, è mora, anche se indovino l’intervento del parrucchiere in quei riflessi bordeaux, ha gli occhi scuri e l’aria sicura.
Annuisco. «Sono io.»
«Prego» mi invita facendomi entrare prima di lei.
La stanza del colloquio è molto luminosa, ma evidentemente poco utilizzata. Le prese della corrente sono ricoperte di pellicola, i muri sono essenzialmente bianchi, gli unici elementi di arredo consistono in una scrivania con sopra un computer e tre sedie.
Su una delle due sedie posizionate dall’altra parte del tavolo è seduto un ragazzo biondo.
Indovino dal modo di stare ripiegato sulla sedia che sia piuttosto alto – mi piacciono i ragazzi alti, ormai li annuso nell’aria – i suoi capelli sono ricci e gli coprono in parte il viso. Ha la pelle chiara, ma non troppo pallida, pelle a cui piace il sole. Non come la mia, che lo teme nemmeno si trattasse di radiazioni tossiche.
«Ti prego, dimmi che è l’ultima» supplica in uno sbadiglio.
La signora che mi ha accolto lo ignora. «Siediti pure, mia cara.»
Obbedisco e mi sistemo sull’unica sedia dalla mia parte della scrivania. Poso la scatolina che contiene il mio muffin sul tavolo davanti a me.
«Lui è Pierre Mureau, è il pasticcere che dovresti assistere.»
«È un piacere» dico facendogli un piccolo cenno con la mano.
Mi lancia appena un’occhiata, ha gli occhi castani, piuttosto comuni, solo che i suoi brillano tantissimo, non so perché. «Mi prendo la libertà di deciderlo più avanti.»
Ostico. Ma non rispondo, mi fingo imperturbabile.
Annuisco e lo osservo recuperare la mia scatola con aria annoiata e aprirla. Solleva il mio muffin e lo studia. «L’hai fatto tu o l’hai comprato?»
Sbatto le palpebre sorpresa, mi pare piuttosto ovvio. «L’ho fatto io» garantisco.
«Io sono Eleonora Bernardi, la proprietaria» continua lei con le presentazioni.
Mi offre la mano e io la stringo cordiale. «Piacere» provo a proporre di nuovo, con lei mi va bene.
Pierre Mureau toglie il muffin dal suo incarto. «Che c’è dentro?» domanda.
«Latte, uova, olio, farina, gocce di cioccolata» elenco contando i vari ingredienti in punta di dita e sperando di non aver dimenticato nulla.
Continua a ispezionarlo.
Eleonora Bernardi digita qualcosa sul pc e mi osserva. «Dunque nel curriculum che mi hai mandato c’è scritto che hai fatto un corso di pasticceria di sei mesi, poi hai fatto alcuni lavori saltuari: un forno, un bar, una gelateria.»
Pierre interrompe la sua ispezione al mio dolce, per sollevare lo sguardo sorpreso su di me. «Non hai mai fatto la pasticcera» mi accusa, quasi fosse colpa mia.
«Beh, di solito in questi posti mi occupavo di dolci» cerco di difendermi. Sono disoccupata e non è facile trovare lavoro, non mi sentivo di fare troppo la schizzinosa.
«Pierre, pensa alle tue cose» suggerisce la signora Bernardi delicatamente. «Noto che hai anche frequentato l’università.»
«Che cosa?» domanda Pierre Mureau.
«Biologia» rispondo.
Lui si volta completamente verso Eleonora infastidito. «Perché perdiamo tempo con lei?» domanda retorico.
«Pierre, mi faresti la grazia di mangiare quel muffin e dirmi che ne pensi?» domanda con tono forzatamente educato.
Lui sospira recupera un coltello e lo taglia a metà. «È troppo compatto» dichiara. «Forse doveva cuocere di più, forse l’impasto era un casino già in partenza.»
Lo osservo anche io, non mi sembra così male. Ne avevo fatti due per poterne assaggiare uno, mi era sembrato piuttosto gradevole.
La signora Bernardi sospira annoiata, recupera metà muffin e lo addenta masticando con calma. «Buono» dichiara. «Forse un pizzichino di zucchero in più» suggerisce bonariamente.
Pierre Mureau scuote la testa e ne recupera un pezzetto per assaggiarlo. «È duro, c’è poco cioccolato e non è pas dolce.»
«No, non è vero» obbietta Eleonora.
«Te la cavavi così male con la biologia?» mi domanda. «Pas male quanto con la pasticceria spero.»
Non dovrei rispondere, sono a un colloquio, voglio fare bella figura. Non dovrei mettermi a litigare con il mio possibile collega ancora prima di trovarmi a lavorarci, sicuramente non un buon biglietto da visita.
«Me la cavavo decisamente bene all’università.»
Mia madre non sarebbe molto fiera di me in questo momento, ma mi sono laureata con centodieci e lode, la mia resa scolastica non è certo opinabile.
«Non mi sembra pas.»
«Fidati» insisto.
«Sei eri così brava perché sei qui, alors?» mi domanda con un’alzata di spalle. «Voto supèr in biologia, ma non fai la biologa. Corso in pasticceria, ma non hai mai fatto la pasticcera.»
«Perché non parliamo dei tuoi, di successi? Dei tuoi titoli?»
Lui assottiglia lo sguardo fissandomi.
«Nessuna laurea? Nessun dottorato?» continuo.
È piuttosto attraente, ma io sono sicuramente più carina.
«Désolé, Madame La Professeur, io sono soltanto un pasticcere» si giustifica mimando il gesto di togliersi il cappello. «Ho sempre fatto quello, ma quello so farlo bene» dichiara con arroganza, prima di rivolgersi alla signora Bernardi. «Non mi piace pas, mandala via.»
Lei ha seguito tutta la nostra conversazione attentamente, finendo di mangiare la sua metà di muffin con calma. Recupera un fazzoletto dalla borsa e si pulisce la bocca lentamente.
«A me piace» dichiara con semplicità, ignorando deliberatamene il “cosa?” con cui le risponde Pierre Mureau.
«Ti preparo un contratto, vorrei che venissi in pasticceria domani mattina e discutessimo gli ultimi dettagli.»
Io e Pierre Mureau ci guardiamo, ci soppesiamo: è una buona idea? Mi renderà la vita impossibile? Mi tratterà così male da costringermi ad andarmene?
Non rispondo, non so che dire.
Volevo questo lavoro, ma mi aspettavo un ambiente decisamente meno ostile.
«Facciamo così» continua Eleonora Bernardi indovinando la mia indecisione. «Ti mando un’email con i dettagli del tipo di lavoro che vorrei proporti. Se domattina verrai in pasticceria saprò che sei ancora interessata.»

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