Capitolo XVIII - aereoporto di Contrada Parigi

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Erano solo le 5:00 del mattino, quando, io ed il Dottor Schwarz, partimmo alla volta dell'aeroporto di Contrada Parigi.

Andammo con la sua automobile.

Mi spiegò che andavamo all'aeroporto e non andavamo nella teralopoli Americana direttamente con la macchina, perché i diversi regimi che governavano le due teralopoli, volevano tenere sotto controllo il numero delle persone che passavano dalla teralopoli Eurasiatica a quella Americana, e viceversa.

Il Dottore portò la macchina appena sotto la linea delle nuvole.

Se allungavi la mano fuori dal finestrino e la alzavi verso l'alto, te la ritrovavi tra umidi batuffoli di vapore.

Il Dottore spinse il motere dalle macchina volante al massimo: il tachimetro segnava 1800 km/h.

Dopo un'oretta, sorvolammo le Alpi.

Ogni montagna, che appariva molto più bassa e smussata del passato, per il fenomeno costante dell'erosione, era attraversata da innumerevoli gallerie e avvolta da tantissimi viadotti fluttuanti su cui passavano costantemente velocissimi treni a levitazione magnetica.

Era uno spettacolo meraviglioso...

Dopo un'ora ed un quarto avvistammo la Tour Eiffel che, anche dopo due millenni, rimaneva il simbolo di Contrada Parigi.

Il Dottore cominciò a scendere di quota.

Si parcheggiò dinanzi ad una gigantesca struttura, che si rivelò l'aeroporto.

Entrammo.

Quel solo terminal dell'aeroporto, che per quanto era esteso non se ne vedeva la fine, ospitava centinaia di migliaia di persone, ognuna intenta a cercare il proprio aereo.

Andammo a fare il biglietti ed il check-in.

Dopo lunghe ricerche, riuscimmo a trovare il nostro aereo.

Era gigantesco, a sette piani; pareva una balena spiaggiata.

Sulle sconfinate ali, spuntavano quaranta possenti motori.

Ammutoliti da tanta imponenza, io ed il Dottor Schwarz, salimmo sull'immenso velivolo.

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