Cap. 6

11.9K 748 432
                                    

Era già la quinta volta che Marinette si bucava il dito con l'ago, e aveva appena finito i cerotti nella mini cassetta del pronto soccorso che usava quando si feriva inciampando, bucandosi con l'ago o, quando le cose si facevano difficili, dopo le lotte contro gli akuma; certo, il costume le impediva danni gravi, ma non mancavano i lividi o le abrasioni.

La ragazza si portò alla bocca il dito ferito per fermare le gocce di sangue, approfittando per prendere una pausa dalla creazione del suo abito per la sfilata.

Diede un'occhiata al mini calendario che aveva appoggiato sulla scrivania, contando quanti giorni mancavano al grande evento: soltanto undici giorni, pensò dopo aver contato le caselle non ancora segnate da una croce rossa.

La corvina, dopo che l'emorragia fu arrestata, ripose la cassetta sotto la scrivania, appuntandosi mentalmente che doveva fare una scorta extra di cerotti e crema per i muscoli doloranti, per poi alzarsi e sollevare davanti a sé il lavoro che aveva compiuto in quei pochi giorni di duro lavoro: per ora aveva cucito tutti i fiori rossi al busto e tagliato la gonna semitrasparente.

«Così tanto lavoro e solo undici giorni...» sospirò, sistemando l'abito incompleto in un luogo dove Adrien non avrebbe mai guardato: il suo armadio.

Finito di sistemare la camera dalle stoffe e dagli avanzi di tessuto, Marinette diede un'occhiata al cellulare, che giaceva in silenzioso, e senza vibrazione, accanto a Tikki, che dormiva beatamente adagiata su un cuscino che aveva messo lì apposta per lei; aveva una ventina di messaggi su Whatsapp da parte di Alya e almeno una decina da parte di Adrien e Nino, senza contare quelli sul gruppo che avevano creato con dentro loro quattro.

Dicevano tutti la stessa cosa –più altri che le chiedevano se stesse facendo cose sporche con il suo ragazzo e, se era così, di mandare le foto, ma ignorò queste richieste–: un'uscita a quattro a Place des Vosges.

La corvina ridacchiò, per poi scrivere sul gruppo "Com'è bello essere desiderati" e ricevere altre vagonate di lamentele sul perché non rispondeva; dopo aver chiarito il motivo, scrisse che per la serata ci stava e che si sarebbero incontrarti alle otto di sera al parco, davanti alla fontana.


Lila sistemò gli appunti che aveva preso in quei giorni di controllo costante dei due supereroi parigini: diverse foto che ritraevano Ladybug e Chat Noir erano ordinatamente incollate in un quaderno a righe, con in parte delle note e dei segni di diversi colori che le collegavano ai nomi delle persone sospettate; tra queste spiccava quello di Marinette, cerchiato più volte in rosso.

La rabbia cresceva ogni volta che collegava il volto di colei che le aveva rubato l'amore della sua vita a quello della supereroina mascherata che, mesi prima, l'aveva umiliata davanti a lui; il piano che aveva ideato era infallibile.

Era tutto organizzato nei minimi dettagli e, presto, anche l'identità di Chat Noir sarebbe venuta a galla.


Gabriel Agreste era sfinito: per l'ennesima volta si pizzicò il ponte del naso, cercando di riacquistare un briciolo di lucidità.

Stava lavorando ormai da ventiquattr'ore ininterrotte e, malgrado avesse terminato i preparativi per la sfilata, doveva organizzarne un'altra, fissata cinque giorni prima di quella più importante.

Anche se non voleva ammetterlo, era parecchio stanco; ci vorrebbe il buon caffè di Nathalie per restituirgli un po' delle sue energie.

Guardò di nuovo i disegni che Marinette aveva fatto, che non avevano mai abbandonato la sua scrivania. Solo quello gli bastava per andare avanti, malgrado il dolore martellante al petto si ripresentava ogni volta che tornava indietro nel tempo.

«Signore.» bussò titubante Nathalie, aprendo la porta appena l'uomo le disse di entrare. «Ho pensato che un buon caffè potrebbe farle bene. È da molto che lavora.» aggiunse posando la tazza fumante sulla scrivania, venendo ringraziata. «A mio parere dovrebbe prendersi una pausa: lavorare troppo fa male.» esclamò la donna dopo qualche secondo di silenzio.
«Non posso, devo lavorare.» rispose acido, sorseggiando dalla tazza.
«Signore, secondo me dovreste passare più tempo con suo figlio. Sono sicura che gli farebbe piacere...»
«Nathalie. –la interruppe– Ti ho già detto che sono occupato: non ho tempo per queste cose.» ribadì seccato, tornando ad esaminare il fascicolo con i progetti in ordine d'uscita.

Masque tombéDove le storie prendono vita. Scoprilo ora