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JENNIFER.


Come ogni mattina, mi sveglio alle sei e mezza, infilo le ciabatte e mi chiudo in bagno per lavarmi.

Rivolgo distrattamente un'occhiata allo specchio e vedo il mio riflesso, disastroso come ogni mattina: i miei lunghi capelli castani, solitamente un po' mossi, sono arruffati e mi fanno sembrare uno spaventapasseri, i miei occhi azzurro ghiaccio sono semi-chiusi e impastati dal sonno, e ho indosso una canottiera e dei pantaloncini bianchi.

Quando ho finito, scendo giù in cucina per fare un'abbondante colazione.

Mi verso un po' di latte in una tazza e ci aggiungo del caffè, poi tiro fuori dei biscotti al cioccolato dallo scaffale e mi siedo al piccolo tavolo in legno al centro della stanza.

Le pareti sono gialle e blu, con mobili in legno scuro come il tavolo, c'è una grande porta-finestra che da sul piccolo giardinetto, e una porta per arrivare in salotto.

"Jennifer! Dove sei?" sento urlare mia madre dal piano di sopra.

Sicuramente pensa che sono ancora a letto, visto che ieri notte mi ha beccata alle tre ancora sveglia con il cellulare e le cuffiette.

"In cucina!" le rispondo, e subito dopo sento i suoi passi sulle scale.

"Buongiorno, Jen" mi saluta quando appare dal salotto e va dritta a versarsi una tazza di caffè.

Ha i capelli ricci come i miei ma tinti di biondo, visto che il suo colore naturale è il marroncino, e gli occhi nocciola screziati di verde.

Il mio azzurro l'ho preso da mio padre, che ogni mattina esce alle cinque e mezza per andare a lavorare e torna alle dieci di sera, se non più tardi.

E chi lo vede mai? Un paio d'ore al giorno non credo rientrino nella categoria di padre presente.

"Pronta per ricominciare?" chiede mia madre, riferendosi al fatto che oggi è il primo giorno di scuola.

"Sì, certo" le rispondo, ma la verità è che non lo sono per niente.

Non mi piace tutto quel caos nei corridoi al cambio dell'ora, l'ansia e lo stress per i i compiti in classe e le interrogazioni, i compagni di classe che ti rivolgono sorrisi e saluti calorosi come se foste amici intimi da tempo mentre in realtà sapete a stento come vi chiamate e se siete bravi o no a scuola.

Non sono antipatici o altro, solo che trovo inutile passare del tempo con dei semplici conoscenti, anche se di amici veri ho solo Isabella.

Ma preferisco stare solo con lei che ritrovarmi a parlare dei fatti miei con il primo che capita.

Quando finisco la colazione, salgo nella mia stanza a cambiarmi: ho optato dei jeans sbiaditi e un po' strappati, la mia maglia preferita e le converse bianche.

Indosso anche svariati bracciali di cuoio o con delle conchiglie che ho realizzato io stessa, due grandi orecchini e un paio di collane: una sottile e l'altra con un vistoso ciondolo.

Infine, mi trucco gli occhi con un filo di matita nera e applico un po' di fondotinta, cerco di dare una sistemata ai miei capelli e, quando ho finito, afferro il mio zaino dove ho scritto con un pennarello nero il mio nome, Jennifer Wright, metto il cellulare, le cuffie e le chiavi in tasca ed esco di corsa, urlando un saluto a mia madre.

Sull'autobus trovo un posto vicino al finestrino, così per tutto il viaggio guardo fuori, quasi sperando che succeda qualcosa che non mi faccia arrivare a scuola.

Chissà se quest'anno sarà diverso, se sarà sempre la stessa routine o se cambierà qualcosa, persone nuove, posti nuovi, esperienze nuove.

Arrivata davanti la scuola, rivolgo un cenno veloce al piccolo gruppo di miei compagni che si è già raccolto per parlare dell'estate, poi mi appoggio al muretto, poco distante da loro, e butto a terra lo zaino mentre aspetto la mia migliore amica.

Passano cinque minuti che la vedo arrivare.

"Ehi, Isa" la saluto.

"Ciao Jen" ricambia lei, mentre viene verso di me ad abbracciarmi.

"Come va?" mi domanda sciogliendo l'abbraccio.

"Il solito" sospira. "E tu?"

"Bene, a parte il fatto che siamo di nuovo in questo carcere" cerco di tirarla un po' su di morale, e infatti accenna un sorriso. "Dai che devi resistere ancora un anno, poi potrai andartene da lì"

"E meno male" ride, e io rido appresso a lei.

Rivolgo distrattamente un'occhiata al cortile e ad attirare la mia attenzione è un vasto gruppo di ragazzi. Vedo che in mezzo ci sono anche due ragazze: una è bruna e con gli occhi castani, da come parla sembra molto estroversa e sicura di sé, mentre la seconda, anche lei castana ma con gli occhi verdi, è composta e silenziosa, le si legge chiaramente in viso che si sente a disagio, come se sapesse che quello non è il suo posto.

Però, ad attirare la mia attenzione non sono solo quelle poche ragazze in un ben più numeroso gruppo di ragazzi, ma anche uno di loro: è alto, i capelli di un biondo scuro e gli occhi di un azzurro intenso, ha dei lineamenti non troppo marcati e un bel fisico.

"Jen, ci sei?" mi richiama Isabella, schioccando le dita davanti al mio viso.

Distolgo subito lo sguardo, improvvisamente mi sento avvampare. "Eh, sì" farfuglio.

"La campanella è suonata, entriamo?" mi chiede. "Cosa stavi guardando?" aggiunge, voltandosi verso il gruppo.

"Niente, niente" le dico, afferrandola per il polso e trascinandola velocemente dentro. Capisco dalla sua espressione che è confusa dal mio comportamento e un po' sospettosa, ma fingo di non accorgermene mentre mi faccio spazio tra la massa di studenti in corridoio.

Quando siamo quasi arrivate in classe , mi fermo di botto, lasciandole il polso.

"Che ti prende?" mi domanda.

"Maledizione! Ho dimenticato fuori lo zaino!" esclamo. Ma siamo seri?

"Vai a prenderlo, veloce!" grida, ma io sono già a metà corridoio e la sento a stento.

Esco correndo, e per fortuna il mio zaino è lì, a terra, vicino al muretto. Mi avvicino per prenderlo e lo metto in spalla, tirando un sospiro a metà tra il sollevato e l'esasperato.

Appena mi volto per tornare dentro, urto la spalla di qualcuno con la mia.

"Scusa non l'ho fatto apposta" mormoro distrattamente, già pronta per ignorare questo incidente e proseguire.

"Fa niente" risponde una voce maschile.

Curiosa, non posso fare a meno di sbirciarlo con la coda dell'occhio: è il ragazzo dagli occhi azzurri di prima.

Prosegue per la sua strada, e io mi impongo di riprendere a camminare e fare lo stesso.

Together (#wattys2016)Where stories live. Discover now