Capitolo 1: A casa Caroline

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Una voce spezzò il silenzio di quella bellissima sera estiva.

«Svegliati ragazzina!» urlò aspramente un tipo il cui nome era Joseph Black l'uomo il più odioso che potesse esistere sulla faccia del pianeta - almeno secondo la sua pro-nipote Caroline, una ragazza di appena diciassette anni.

«Che cosa vuoi a quest'ora tu? Sono le nove e mezza di sera. Non rompere!» cercai di rispondere a tono, visibilmente scocciata mentre il mio viso si era appena alzato dal cuscino, il quale aveva assunto un forma poco lineare. Avevo sperato con tutto il cuore di poter terminare quella discussione nello stesso istante in cui quel vecchio era entrato nella mia piccola e spoglia stanza, ma era solo una speranza.
Conoscevo bene il vecchio Joseph Black, che davvero ritenevo spregevole fino al midollo. Era un uomo testardo che aveva sempre vissuto ai margini della società. Totalmente privo di sentimenti, nulla poteva davvero scalfirlo, anzi, per lui era totalmente indifferente a tutto. Bastava guardare la soddisfazione nel suo sguardo quando qualcosa andava come lui desiderava: perché lui otteneva sempre ciò che voleva, anche se con me non aveva avuto molto successo. Negli anni in cui aveva dovuto badare a me non era sempre riuscito a tenermi sotto controllo per più di dieci minuti. Non perché io fossi stata una bambina intrattabile, ma perché sin da piccola avevo imparato a trattarlo come meritava.
Mio pro-zio era bassino e molto magro. Il suo viso era sciupato a causa del suo lavoro nei campi; gli occhi, scuri come il carbone e leggermente arrossati, imploravano pietà e qualche ora di riposo. Anche il suo aspetto era quanto dire, davvero trasandato. Indossava delle camicie a quadretti colorati lasciate leggermente aperte che mettevano in mostra la canottiera bianca e la piccola collanina d'oro, la cui provenienza era sconosciuta. Joseph Black non era un uomo ricco. Non possedeva nulla che potesse avere qualche valore, eccetto per quella collanina. Era stato cresciuto da genitori rigidi e dalla mentalità poco aperta, gente poco raffinata con l'amore per la terra: l'unica cosa che rappresentava ai tempi un profitto concreto. Era stato plagiato da due figure la cui ignoranza era ben più grande di quella che poteva essere all'apparenza, non ci si poteva aspettare che ragionasse come un normale essere umano. Io personalmente, lo odiavo, ma ero riuscita a creare qualcosa di simile alla sopportazione nei suoi confronti.
«Io per oggi ho finito» protestai sollevando ancora un pò il viso dal cuscino, sentendo che voleva affibbiarmi un altro dei suoi lavori. Voleva che rastrellassi via le foglie del campo, in modo da poter seminare la mattina seguente. Ovviamente non avevo alcuna voglia di alzarmi e fare qualsiasi cosa uscisse da quella bocca velenosa; non lo avrei fatto neanche se fossi stata in pieno giorno, figuriamoci doverlo fare dopo un'altra giornata estenuante. In tutta risposta, l'uomo afferrò una ciocca consistente di capelli cominciando a tirarmeli per indurmi ad alzarmi «Smuoviti ragazzina o sarò costretto a punirti!» mi minacciò - e in quel momento potei giurare che il suo viso ovale fosse rosso come un pomodoro - continuando ad urlare.
Indispettita, mi alzai velocemente da terra massaggiandomi con la mano destra la parte della testa ancora dolente, dicendomi che non mi sarei lasciata affatto intimidire da lui.
«Le tue punizioni non servono a nulla!» dissi. Ci fosse stata anche solo una volta in cui Joseph Black avesse messo da parte, anche solo per sbaglio, il suo terribile carattere per mostrarmi un briciolo di affetto. A volte non capivo come mia madre avesse acconsentito ad affidarmi a lui dopo la sua morte. Forse non lo conosceva, forse papà sì dato che era pur sempre suo nipote.
Uscii dalla casa, rifugiandomi nell'unico angolo della tenuta dello zio Joseph di cui non fosse a conoscenza. Non era nulla di che, ma stare lì a volte mi dava una mano enorme, specialmente se dovevo calmare il mio animo infuriato a causa di quello stolto. Mi sedetti al solito posto, misi la mano nella tasca della giacca che avevo messo prima di sbattere la porta d'ingresso alle spalle, e fuori ne uscì il mio occorrente per fumare. Presi la polverina del tabacco ponendola sopra una cartina, simile ad un pezzo di carta sottilissimo donandole una forma cilindrica con i polpastrelli, sigillandola dopo aver passato la lingua sul bordo. In genere non amavo dovermi preparare da sola le sigarette; preferivo di gran lunga quelle classiche impacchettate. In quei momenti però il tabacco di quel tipo riusciva a calmarmi quasi all'istante.
Stetti per mettere tra le labbra la sigaretta, quando un'ombra si posizionò esattamente di fronte a me, occultandomi alla luna che quella sera brillava più che mai donando la sua luce alle stelle, riflessa nelle limpide acque dell'abbeveratoio alle mie spalle. Così mastodontica com'era, mi chiesi se si trattasse di un uomo. Probabilmente avevo ragione, poiché alzando impercettibilmente lo sguardo, vidi proprio una figura maschile totalmente immobile davanti agli occhi e la cosa non mi rassicurava per nulla. Non ero spaventata di lui, ma dell'oscurità che mi circondava. Sin da bambina, io e il buio eravamo acerrimi nemici, era la cosa che poteva darmi più fastidio. All'improvviso essa parlò facendomi appena sobbalzare. Il timbro di voce era profondo e basso, faceva letteralmente venire la pelle d'oca. Mi strinsi nella mia giacca con un pò di timore ma non mi mossi di lì. Rimasi ad ascoltare le sue parole.
«Che ci fai qui da sola, ragazza?» domandò quell'individuo quando fu sicuro che avesse la mia completa attenzione. Sembrava quasi soddisfatto della mia espressione infastidita e del mio timido modo di fare. «Cosa avrei dovuto rispondergli esattamente? Che ci faceva un uomo in giro di notte e perché chiedeva con fare curioso?» mi interrogai subito dopo aver recepito la sua domanda come un potenziale pericolo. Se fosse stato un pedofilo o, nel peggiore dei casi, un famigerato serial killer? Mi diedi anche della stupida facendo quei pensieri, d'altronde, chi si avvicinava ad una vecchia tenuta in campagna con la grande città neanche troppo lontana; Londra sarebbe stata anche meglio. Ad ogni modo agitai la sigaretta davanti i suoi occhi, a me invisibile, rispondendo: «Secondo lei che altro posso fare se non disperarmi?».
Lui non aveva immediatamente risposto, piuttosto volle affermare l'evidenza.
«Ho sentito delle urla dalla casa in cui sei uscita».
Certo che le aveva sentite. Il vicinato era il palcoscenico perfetto quel vecchio con le rotelle fuori posto, impossibile far finte di non aver sentito, anche se delle volte sarebbe stato meglio.
«Sì. Se ha in programma di abitare in questa zona, sicuramente saranno il suo pane quotidiano come lo è per me e il resto dei vicini. Non c'è giorno in cui il vecchio Joseph Black non dia aria alla sua bocca marcia e libertà alla sua lingua biforcuta. A volte vorrei che perdesse quella voce tanto aspra che si ritrova. Non riesco a capire come sia venuta a vivere qui. Come i miei abbiano solo pensato di lasciarmi alle cure di quell'uomo» diedi sfogo ai milioni di pensieri a lungo rinchiusi nella gabbia del cervello, rendendomi conto solo dopo di star raccontando i fatti miei ad un totale estraneo. «Scusi, non la volevo annoiare con le mie inutili paranoie».
«Se fossi in te, Caroline Black io mi libererei da queste stupide paranoie, perché il tuo tempo qui è finito. Avrei dovuto venire a prenderti prima» riferì l'ultima frase a sé stesso. Poi, finalmente seppi il nome di quello strano tipo. «Mi chiamo Alastor Moody. È passato molto tempo dall'ultima volta che ti ho visto. Piacere di incontrare la figlia di Alicia e Sirius Black».
Alastor Moody si mostrò lasciando che luce della luna lo illuminasse parzialmente, ma abbastanza per me da poter vedere chiaramente il suo viso; e per un attimo ne rimasi colpita. Si vedeva da numerose cicatrici sul viso, che non aveva esattamente passato la vita migliore che si potesse desiderare, ma non se ne vergognava affatto. I segni delle probabili sfide che la vita gli aveva proposto erano ben in vista; basti pensare alla bocca e al naso sottile, quest'ultimo sembrava fosse privo di un pezzo. I capelli ricadevano indietro biondi e folti. Gli occhi, quella era di sicuro la cosa che poteva fare più impressione. Uno dei due, quello sinistro era perfettamente normale, di colore scuro, mentre a destra, Moody presentava un occhio finto la cui iride era dipinta con un intenso blu elettrico. Quell'occhio faceva davvero paura muovendosi per conto suo in tutte le direzioni come se la benda e la stessa cavità in cui quel piccolo oggetto vitreo risiedeva non bastassero a bloccarlo. Mi parve capire che l'unico motivo per cui questo girasse al contrario fosse per controllare se qualcuno stesse ascoltando la nostra strana discussione, ma oltre a noi, in quel piccolo angolo di una semplice tenuta di campagna non vi era anima viva. Ad una prima occhiata non mi faceva una grande simpatia, ma il fatto che conoscesse mia madre mi dava una buona motivazione per fidarmi.
«Come sai il mio nome e come conosci mia madre?» dapprima domandai alzandomi di colpo dal mio piccolo posticino. Volevo delle risposte, ma Moody non sembrava accennare accennare a darmele. Probabilmente avrei dovuto aspettare un pò, ma ero sicura che avrei scoperto qualcosa. Nel frattempo, la mia unica preoccupazione era quella di seguire la sua figura verso la porta d'ingresso. Dovevo ammettere che per avere una gamba finta era abbastanza svelto. Gettai immediatamente la sigaretta dopo averla spenta. Moody bussò alla porta col bastone dalla strana forma e subito dopo questa gli venne aperta; ed ecco lì spuntare la figura del vecchio Black, con un'espressione tutt'altro che rilassata. egli richiuse subito il sottile strato di legno che divideva lui da Moody, ma senza che mio zio potesse prevederlo, e manco io, un'esplosione dalla strana luce bianca avvenne in quel punto precedendo la caduta definitiva della porta. Alle spalle di Moody, io rimasi letteralmente bocca aperta, non credendo cosa stesse succedendo. Non avevo paura, mi aveva solo colto di sorpresa.
«Mi perdoni l'interruzione signor Black, sono venuta prendere Caroline per portarla a casa. La ragazza dovrebbe prendere le sue cose prima, però».
Vidi lo zio Joseph provare una paura così forte da addirittura supplicare di non morire di fronte alla figura possente di Moody, ma al tempo stesso lo malediceva per essere arrivato così all'improvviso.
«Non me la porterete via! Non mi importa qualsiasi diavolo di cosa abbiate in mente, che lei debba vivere in quel mondo pieno di squilibrati come voi, mi serve qui!». Fece male? Sì, lo fece e anche molto. Certo, dovevo pur aspettarmi da quel verme insensibile una tale risposta, ma avevo sperato fino all'ultimo che mi trattenesse perché mi voleva bene anche se poco. Quest'ultima prova mi aveva più che convito ad andarmene, dunque corsi verso la mia stanza con l'intenzione di prendere tutto quello che possedevo e sparire. Stavo ancora riordinando i vari vestiti quando questi si animarono da soli percorrendo una strana scia fino ad un baule che mai avevo visto. Era ancora un volta Alastor Moody, il quale, con una sorta di bacchetta magica, indicava alle mie cosa di finire dentro un grande baule ai suoi piedi.
«Caspita Black, ci entrerebbero anche il letto e l'armadio!» esclamò. Come dargli torto, io non possedevo moltissime cose, solo lo stretto necessario per vivere e nient'altro. Annuii con la testa a malincuore, mentre scendevo di corsa le scale uscendo dalla porta. Moody, per qualche strano motivo salutò il vecchio che aveva abbondantemente spaventato, mentre io non sentivo alcun dovere di dirgli che ci saremmo rivisti. Il mio fu un silenzioso addio, di quelli che vengono intesi dal solo sguardo.
Ora che eravamo fuori casa, ero curiosa di sapere quale sarebbe stata la mia destinazione, la mia nuova casa. Dato che Moody non possedeva né un'auto né una moto, il come ci saremmo mossi mi metteva un pò in ansia. «Camminare fino anche al centro abitato più vicino non era per nulla una buona idea» mi dissi, incredula che l'uomo non avesse alcun veicolo con sé, altrimenti non si sarebbe spiegato come fosse arrivato fin lì, ma dato ciò che avevo visto da poco, potevo aspettarmi di tutto.
«Spero che tu non soffra di vertigini Black» mi disse dopo svariati di minuti spesi a guardare il cielo scuro trapuntato da milioni e anche più di stelle. Cosa c'entrassero le vertigini in quel momento non ne avevo la più pallida idea. Se era un modo per ammazzare il tempo non aveva un grande successo, ma come poi dovetti aspettarmi, e credo che presto ci avrei fatto l'abitudine, un'altra cosa strana accadde, questa volta lasciandomi davvero di stucco.
«Quello cos'è, Moody?» indicai col dito tremolante, non seppi se per l'aria fresca che tirava da un paio di minuti o per la mia paura di fare la conoscenza con qualcosa di mistico come quella. Sentì l'uomo ridere sotto i baffi, mentre, tirando un paio di redini scure, mi avvicinava quella creatura.
«Un Thestral signorina Black. Una delle creature più innocue che esistano nel mondo magico» mi rispose subito. Quella creatura aveva un aspetto singolare, scheletrico e funereo, poiché sembrava assomigliare ad un cavallo manto scuro, ma quello che lo rendeva diverso erano le enormi ali da pipistrello che aveva ai lati del dorso, mentre il suo muso più che quello di un cavallo sembrava quello di un drago. Ero sorpresa che cose del genere esistessero nella realtà. Nonostante vivessi in un luogo estraneo dal mondo era impensabile che creature del genere esistessero. All'inizio ebbi timore di avvicinarmi, ma subito dopo mi feci coraggio e sporsi la mia mano verso quella. Il Thestral la sfiorò lentamente, poi cominciò imbattersi contro di essa come volesse essere accarezzato. Glielo concessi, passando il palmo della mano sul manto nero pece.
«Sono creature pacifiche, i Thestral. Sono resistenti come la roccia e possiedono una gran forza, ma allo stesso tempo sono sensibili e cercano attenzioni da chi si fidano. Non è priorità di chiunque accarezzare un Thestral la prima volta. Evidentemente, gli fai simpatia» aggiunse Moody alla sua spiegazione, preparando il cavallo alato per compiere il viaggio verso la mia nuova casa. Salii in groppa insieme a lui e in neanche quindici secondi prendemmo il volo. Mi lasciai scappare un urlo dallo spavento, afferrando la prima cosa che mi venne a tiro per non cadere. Il Thestral prendeva quota velocemente, presto ci librammo in aria sorvolando le ampie campagne sotto di noi. Appena fui sicura che non ci sarebbe stata alcuna probabilità di cadere di sotto, aprì le braccia lasciando che queste venissero a contatto col vento fresco, con la sola remota possibilità di poter toccare le stelle. Le piccole perle di luci sembravano così vicine, ma era solo apparenza. Non sapevo che sogno stessi vivendo, ma avrei voluto che non finisse mai. Poco dopo, potevo scorgere i cieli nuvolosi coprire la città di Londra, illuminata da svariati lampioni e dalle luci delle vetrine. Un sacco di gente era in giro a quell'ora, nonostante fossero le undici e un quarto. C'era vitalità in mezzo a quelle persone; c'era allegria, c'era divertimento e anche di più; ed io avevo la fortuna di essistervi indisturbata. Mi sentivo anche io più viva, respirando un odore diverso e meno frizzante rispetto a quello a cui ero sempre stata abituata nelle campagne. Alla fine sarei riuscita a farne parte. Il Thestral scese in picchiata, lentamente, mentre il mio animo fremeva dalla gioia. Quando poggiai i piedi per terra , questo sbattè nuovamente le ali per andare non so dove. Chissà se l'avrei mai rivisto.
«Eccoci arrivati» annunciò Moody camminando dal centro della strada deserta verso il marciapiede di fronte, superandomi di pochi centimetri. Ero rimasta talmente assorta nei miei pensieri, osservando tutto con occhi curiosi che per me fu difficile notare la sua figura spostarsi da un punto all'altro. Eravamo a Grimmauld Place, ci eravamo fermati esattamente il quel punto pressoché centrale della via. Sentii nuovamente un rumore provocato dal suo strano bastone almeno altre due volte prima di voltarmi verso di lui; ad un terzo colpo sull'asfalto scuro, la schiera di case di fronte a me cominciò a trasformarsi. Era l'ennesima cosa strana a cui assistevo nel giro di due ore, e ad essere sincera ne ero affascinata non sapevo perché. Il vortice delle domande a cui non potevo dare risposta passava in secondo piano di fronte alla strana magia.
Fui sorpresa nel vedere che la gente nelle proprie case non si accorgesse di cosa stava in realtà succedendo. Non riuscivo a capire come si muovesse neanche una sola foglia della piccola pianta sul davanzale al secondo piano o la boccia dei pesci del quarto e così via. Era apparsa un'altra casa di fronte a noi, da sola, sotto una magia che non comprendevo ma che riuscivo concretamente a vedere. «Bello, no?» Moody si mostrò soddisfatto del suo lavoro con un sorrisetto sul viso mal ridotto che si ritrovava. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, si offrì di precedermi verso la porta color verde bottiglia. «Bentornata a casa Caroline» disse bussando alla porta, la quale fu aperta da una figura dai tratti femminili, bassina ma di bell'aspetto. Ad una prima occhiate si poterono notare le sue guancie paffute, i capelli rosso pel di carota e occhi marroni. Si chiamava Molly Prewett o Weasley per il fatto che fosse sposata con un uomo il cui nome era Arthur Wesley. Moody me ne aveva parlato qualche attimo prima che atterrassimo, e faceva riferimento anche a sette figli; poi c'era un altro ragazzo di cui non mi disse il nome; una certa Hermione Granger e così via fino a Sirius Black, colui che ipotizzavo essere mio padre. La cosa dapprima mi scosse un pò ma ero comunque curiosa di sapere come fosse, che viso avesse.

«Entra pure casa, benvenuta a casa» Molly Weasley mi spinse ad entrare e a percorrere quel lungo corridoio con la carta da parati alle pareti leggermente rovinata. Avevo sentito da Moody che ci erano volute parecchie ore per completare la disinfestazione della casa spettrale e polverosa; aveva accennato anche che le uniche forme di vita viventi, prima che fosse così abitata erano Doxy e Mollicci. Non avevo la più pallida idea di cosa fossero, quindi annuii semplicemente col capo. Moody ne diceva di cose strane e io ci credevo solo in parte per quelle cose che avevo visto accadere quella sera. Non provai a fare domande, ero sicura che al momento giusto avrei saputo se farle o no e quando ricevere una probabile risposta.
«Entrate pure» esordì la donna dai capelli rossi, lasciando che facessi il mio ingresso in una grande sala da pranzo occupata per lo più da un grande tavolo a cui erano sedute delle persone. I loro occhi erano puntati di su me non appena misi piede lì dentro con un pò di timidezza.
C'erano davvero sette figure i cui capelli erano rossi come quelli della signora Weasley. Cercai di non spalancare gli occhi sorpresi, mentre una di queste si avvicinava velocemente porgendomi la mano destra. «Ciao! Piacere di conoscerti, sono Ginny Weasley!» disse. Guardai la sua mano qualche istante un poco imbarazzata ma poi la strinsi e mi presentai a mia volta «Sono Caroline Black».

La ragazza dai capelli rossi rimase colpita, come lo erano tutti gli altri seduti a tavola. All'improvviso un ragazzo con capelli scuri, occhi verdi e un paio di occhiali tondi sul naso prese parola. «Sirius non pensavo avessi una figlia» si rivolse verso un uomo appoggiato con la spalla sul muro, rimasto in silenzio per una decina di secondi dopo aver sentito il mio nome. «È così» affermo con assoluta tranquillità, come se fosse normale per lui rivedere una figlia dopo anni e fare finta che sia sempre andato tutto bene «Lei è mia figlia Harry».
Nella stanza calò il silenzio spezzato da qualche verso di stupore, il che non faceva che mettermi ancora di più in imbarazzo. Probabilmente avrei dovuto farci l'abitudine da quel giorno in poi.
«Tu sei mio padre?» domandai con voce un pò tremante. Al suo cenno di testa, gli si avvicinò a me; ed io, anziché arrabbiarmi con lui e chiedergli per quale assurdo motivo non ci fosse stato, lo abbracciai forte dicendomi che finalmente lo avevo incontrato. Sirius Black sembrò sorpreso dal mio gesto, ma in fondo anche lui stava morendo dalla gioia di vedere che sua figlia era finalmente lì con lui. «Bentornata a casa tesoro» mi sussurrò all'orecchio facendomi spuntare un sorriso. Finalmente, dopo anni a domandarmi chi fosse davvero mio padre, se sapesse della mia esistenza o se quantomeno si ricordasse di me, l'avevo trovato. Ero felicissima, ma conoscendomi non gliel'avrei fatta passare liscia. C'erano tante cose che doveva spiegarmi: di me, di lui e della mamma, di quello che stava succedendo.
Mentre avveniva quella piccola unione familiare, intanto la signora Weasley aveva preparato qualcosa da mangiare solo per me. Mi aveva indicato una sedia non molto distante, a capotavola. Accettai felicemente l'invito, specialmente riconoscendo che fosse cibo vero e non scatolame o qualcosa scaduto da giorni. Il mio stomaco avrebbe cominciato a fare i salti di gioia e le mie papille gustative avrebbero incontrato il paradiso.
«Tesoro, sembra non mangi da giorni» commentò la donna amorevolmente accarezzando la mia lunga chioma tra capelli biondo cenere e il rame «Sicuramente mi darai soddisfazione più di quelli lì» indicò i suoi figli. Non riuscii a trattenere una piccola risata. «Non è vero» protestò uno dei rossi col viso un pò imbronciato. «Certo che no, Ronald mangia tanto anche lui» confessò, lasciandomi mangiare in pace.
Mentre mangiavo boccone dopo boccone, i ragazzi presenti, i quali dovevano avere più o meno la mia età, si interessarono molto a me e parlai con alcuni di loro per conoscerci. «Hai vissuto in campagna fino ad oggi e con un uomo così odioso?» chiese Ginny sconvolta. Non potevo che dirgli di sì nel ricordare la mia intera esistenza passata con un uomo, che per sempre avrei descritto tale, spregevole e odioso nei miei confronti. Mio padre mi osservò con sguardo molto dispiaciuto, se fosse venuto a prendermi prima forse non avrei dovuto sopportarlo così tanto. Avrei dovuto chiedergli cosa avesse spinto lui e la mamma a lasciarmi lì, prima o poi.
«Quindi hai l'età dei gemelli! Loro sono Fred e George. Se fossi in te non proverei neanche a capire chi è l'uno e chi l'altro».
«Gentile sorellina, grazie» la interruppe bruscamente George «Alle persone giuste bisogna fare le giuste presentazioni. Noi siamo gli unici ed inimitabili gemelli Weasley, non chiunque, giusto Fred?» il gemello si rivolse all'altro. «Giusto George» concordò l'altro. «Va bene gemellini, bravi. Siete gli inimitabili Fred e George. Ti prego non farci caso Caroline».

➣ The daughter of Sirius Black ¹ [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now