2- Jennifer

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Per Irenegobbi e Donna_Rebecca! Il capitolo ha 1292 parole e... boh, buona lettura.

♧♧♧

-Ci eravamo promessi amore eterno sotto un albero, sì. Un melograno... sì. Era pomeriggio, uno di quei pomeriggi nei quali tutto mi sembrava perfetto ed ogni cosa guardassi o toccassi splendeva, pomeriggi nei quali le nuvole mi sembravano ancora fatte di zucchero filato e...ed il cielo era talmente azzurro che se mi sforzavo riuscivo a vedere gli angeli del Paradiso ballare. La mamma collezionava paffuti gattini di ceramica ed andava tutto meravigliosamente bene e papà tornava a casa alle sei e due minuti e... ed andava tutto meravigliosamente bene ed io non sentivo ancora le voci ed andava tutto meravigliosamente bene! Amavo quella vita? Odiavo quella vita? Non lo so, non lo so, era la routine, solo... solo routine.- La voce della donna si spense, il tacco di uno dei décolleté neri smise di ticchettare contro il lucido pavimento grigio e nella stanza calò il silenzio più assoluto per circa cinque secondi, dopodiché la donna riprese a parlare ancora più velocemente, come se qualcuno avesse ricaricato la molla che animava il suo corpo. -Jimmie parlava spesso dei suoi compagni della Tau, la confraternita più popolare di quella che è la latrina che amavano tutti chiamare scuola. Mi diceva che mi avrebbe voluto sposare, un giorno, che avremmo avuto tanti bambini paffuti e che avrei potuto preparargli il pasticcio di carne ogni volta che avessi voluto, perché lo amava, perché mi amava, perché lo amavo e ci amavamo tanto, proprio tanto, come nei libri, come nei film, come mamma e papà... Jimmie, oh, Jimmie, con i suoi ridenti occhi cristallini ed i ricci biondi tutti disordinati! Jimmie era il principe che avevo sempre sognato, anche la mamma diceva che sembrava un principe delle favole!- La vecchia donna si piegò in avanti, come se volesse condividere un segreto. -I gattini di ceramica li tengo ancora chiusi in una scatola di cartone, perché se vedessero il brutto posto in cui ci troviamo scapperebbero e non li vedrei mai, mai più.- Il suo sguardo divenne divenne vacuo per un istante, anche se poi l'attimo dopo la donna spalancò gli occhi, portandosi terrorizzata una mano a coprire la bocca. -Oppure... organizzerebbero una congiura contro di me, uscirebbero dalla scatola da soli e mi ucciderebbero. I gattini mi ucciderebbero, ne sono certa. Già mi guardano storto, quei bastardi. Sigillerò quella maledetta scatola per sempre, sì, per sempre.- Tremante, la donna si guardò in torno, scandagliando la stanza bianca ed asettica in modo febbrile, come se temesse un attacco a sorpresa da più fronti.
Il tacco del décolleté ricominciò a ticchettare sul pavimento - tac, tac, tac - e la donna si voltò repentinamente, tornando a guardare chi aveva di fronte a sé e tormentandosi con le dita mangiucchiate fino alla carne una ciocca di capelli bianchi ed annodati. -Jennifer comparve proprio quando il mondo mi sembrava più roseo, quando pensavo che la mia vita fosse perfetta, quando gli angeli ballavano e le voci amiche non erano soltanto voci ma possedevano anche un corpo. Bei tempi.- Le sue labbra screpolate si piegarono a scatti per formare un ghigno, dopodiché si infilò una mano in tasca e prese un biglietto, che aprì e stirò velocemente. -Tanto tempo fa o forse l'altro ieri ho provato a disegnare queste voci, a riprodurle su carta per far capire alle persone vestite di bianco chi mi sussurrasse all'orecchio... io disegnai un'altra me. Ero bellissima, modestamente.- La sua voce calò di intensità, diventando più profonda e lapidaria. -Era Jennifer quella che faceva vomitare, con la scollatura della camicia rossa che sembrava sempre stesse per vomitare le sue tette e le gambe scoperte perfino quando si moriva di freddo. Era vomitevole ed io ero bellissima, ma tutti sembravano sempre scambiare i due aggettivi dicendo il contrario. Tutti tranne Jimmie. Lo amo, Jimmie, lo amo davvero tanto...- La donna fremette di gioia al nome del suo amato, sorridendo e mordendosi maliziosamente un labbro. Sospirò, poi fece una smorfia disgustata. -Oh, è così che successe tutto, è stata lei, è stata colpa sua, di Jennifer. Mi faceva sentire inferiore, sempre inferiore, con quelle sue tette e quelle sue gambe e quella sua faccia, che sembrava tutti preferissero, con un librone di nome 'In Commendam' stretto al petto solo per darsi le arie da saputella. E poi, quei capelli troppo rossi e troppo lunghi e le sue labbra troppo gonfie e lucide! E quegli occhi, quei due maledettissimi occhi verdi del cazzo!- La sua voce diveniva sempre più lamentosa e stava cominciando a mettersi le mani tra i capelli e tirare, oppure a darsi schiaffi. Due uomini vestiti di bianco fecero per avvicinarsi e portarla via, ma una curata mano femminile si alzò a mezz'aria e li bloccò, facendoli ritornare al loro posto. Le tre file di neon bianchi sul soffitto emisero un ronzio sommesso.

-La odiavo... e la odio... e la odierò per sempre, -sbilò la donna, -anche se adesso non c'è più.

La stanza asettica ripiombò nel silenzio e la donna alzò piano la testa, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto e le labbra semichiuse. Si teneva le braccia strette attorno allo stomaco ed ondeggiava lievemente, avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro.

Tac... tac, tac... tac... tac... tac.

-Ed aveva i vestiti sempre alla moda e i genitori ricchi, un bel Border Collie...ma tanto adesso Jennifer non c'è più.- Fece spallucce tirando su col naso. -Mi ha preso Jimmie come una perfida gazza ladra e ha pagato. Che bello... che bello che era il coltello sanguinolento tra le mie mani...- mormorò lentamente, tremando e scandendo ogni parola. La mano destra si chiuse quasi istintivamente in un pugno, come se stesse ancora tenendo il coltello tra le mani. -Che bella la sensazione del suo sangue che mi impiastricciava le... mani e la faccia e... i vestiti ed il mondo intero, AAH! Odiavo Jennifer, ma ammetto che il suo sangue mi eccitò tantissimo.

-E per quanto riguarda Jimmie?- parlò la donna di fronte a lei.

-Oh, Jimmie è un così bravo ragazzo... ha un sorriso incantevole e lo amo tantissimo.- La donna si strinse nelle spalle ossute, sorridendo raggiante. -È gentile e simpatico e sensibile, senza di lui mi sentirei persa. Mi sta aspettando, quando uscirò di qui ci sposeremo ed avremo tanti bambini paffuti. La mamma ricomincerà a parlarmi e papà mi accompagnerà all'altare e piangerà, piangeranno tutti di gioia, sa? Ho già pensato a tutto!

Dopo un attimo di silenzio la dottoressa Sheriden si alzò dalla sedia e chiamò i due uomini vestiti di bianco, i quali aspettavano fuori dalla porta. -Portate la signora nella sua stanza, per favore.- Si voltò verso la donna facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi e le sorrise pacatamente. -Emma, grazie per avermi raccontato la tua storia. Non hai detto di dover chiudere i gattini nella scatola?

-Oh, sì, sì!- L'anziana donna annuì vigorosamente e si lasciò accompagnare nella sua stanza, trascinando, mentre camminava, i piedi nelle pantofole. -Avrei bisogno di un tè, ragazzi- informò i due massicci operatori al suo fianco. -Potreste per favore prepararmelo? E non troppo caldo, ho un matrimonio da celebrare e non ho tempo per soffiare sulla tazza!

La dottoressa Sheriden si appoggiò sul piccolo banco che divideva il paziente dallo psichiatra, prendendo il fascicolo dedicato alla signora e studiandolo nuovamente con gli occhi marroni socchiusi.

Data odierna: 12 gennaio 2010

Luogo: manicomio criminale White Sun (Marion, Virginia)

Ora incontro: 16.00

Data di arrivo del paziente: 8 novembre 1960

Orario arrivo del paziente: 18.47

Paziente n° 266

Nome: Emma

Cognome: Shelley

Età: 70 anni

Sesso: femminile

Motivo di permanenza: omicidio

Disturbi registrati: allucinazioni, deliri, paranoia, bipolarismo

La donna spostò lo sguardo verso la porta bianca, stringendo nervosamente le labbra. Emma Shelley aspettava il suo Jimmie, i suoi genitori ed il suo matrimonio da cinquant'anni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 20, 2016 ⏰

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