2. A cuccia, gattina

4K 301 190
                                    

                            "Cosa sono i millenni?
Una manciata di tempo.
Polvere in confronto a un unico sguardo dell'eternità"

Herman Hesse

Per un po' durante il tragitto in macchina io ed Ezra rimaniamo in silenzio, così ho tutto il tempo per guardarmi attorno.
   L'isola sembra estendersi per diverse centinaia di chilometri e comprende al proprio interno paesaggi di diversi tipi: la spiaggia di sabbia scura, il bosco che comincia immediatamente dopo di essa e i monti che riesco a scorgere in lontananza.
   Ezra ha imboccato da poco la stradina che ero riuscita a vedere dal traghetto ed ora stiamo attraversando l'agglomeramento di case che forma il centro abitato dell'isola. Accanto a noi passano altre macchine e anche alcune moto, mentre diverse persone si susseguono sui marciapiedi, fermandosi a chiacchierare oppure entrando nelle case e nei negozi.
   Ci sono una farmacia, un alimentari, un macellaio e un pescivendolo, tutti schierati l'uno dopo l'altro, poi due o tre negozi di abiti e, con mio estremo piacere, una libreria abbastanza fornita.
   Avevo seriamente paura di rimanere a corto di letture, ma per ora il pericolo sembra esser stato scongiurato.
   Andando più avanti gli edifici crescono in grandezza, fino a quando non attraversiamo una piazza sulla quale si affacciano il municipio e un grande parco pieno di panchine. In lontananza riesco anche a scorgere le torrette di un'altra imponente struttura e sto quasi per chiedere ad Ezra di cosa si tratti, quando una potente frenata del pick-up mi fa morire le parole in gola.
   Ringraziando che la cintura mi abbia fermata dal colpire sonoramente il cruscotto, mi volto allibita verso Ezra. Il ragazzo non sembra curarsi minimamente di me, dato che sta stringendo convulsamente lo sterzo tra le mani, mentre osserva con sguardo truce qualcuno al di là del parabrezza.
Curiosa seguo il suo sguardo fino ad incontrare la figura di un ragazzo, che sta attraversando la strada con assoluta non curanza.
   Nonostante non stia guardando in questa direzione, riesco a capire perfettamente che quel ghigno furbetto dipinto sul suo volto è diretto a noi.
   Nel frattempo Ezra ha tirato giù il finestrino e si è sporto ampiamente oltre di esso, tanto che sembra voglia saltare fuori dalla macchina.
   «Moonseye, guarda dove metti i piedi se non vuoi che ti investa!» esclama rabbiosamente, fulminando il ragazzo, che ora si trova sul marciapiede.
   Lo sconosciuto non sembra affatto turbato e, con molta nonchalance, tira fuori una mano dalla tasca della giacca di pelle rivolgendoci un sonoro dito medio. A quel gesto spalanco gli occhi allibita e, senza pensarci due volte, abbasso anche io il mio finestrino.
   «Ma chi ti credi di essere?» esclamo, sentendomi lo sguardo stupito di Ezra addosso «Razza di bastardo!».
   Solitamente non mi lascio andare a improperi del genere, ma c'è qualcosa nel sorriso di quel ragazzo che mi fa andare letteralmente in bestia.
   Quasi non mi riconosco mentre stringo la presa sulla cintura e assottiglio lo sguardo, desiderando che un fulmine scenda dal cielo e cancelli quell'imbecille dalla faccia della terra.
   «A cuccia, gattina» ridacchia il ragazzo, ricacciando la mano nella tasca della giacca «Questa è una questione tra me e il tuo bel cuginetto».
   Per qualche istante rimango completamente immobile, catturata mio malgrado dai profondi occhi neri come la pece dello sconosciuto. Lui sembra accorgersene e accresce ancora di più il ghigno soddisfatto sul suo volto, per poi riprendere a camminare come nulla fosse.
   «Allora non sei una principessina come pensavo» ridacchia Ezra, cogliendomi di sorpresa mentre tiro su il finestrino.
   «Non sottovalutarmi mai» rispondo io di rimando, con ancora gli occhi fissi sulla schiena dello sconosciuto, ormai lontano dalla nostra portata.
   «Lascia perdere Christopher. È solo una testa calda» continua, rimettendo in moto il pick-up.
   Io mi limito ad annuire con poca convinzione, facendo attenzione a stamparmi per bene in mente quel nome.
  Christopher Moonseye.
   La prossima volta che lo vedrò mi ricorderò di fargli passare la voglia di chiamarmi gattina.
   Dopo aver ripreso il tragitto e aver superato quello che rimaneva del villaggio, la curiosità comincia a picchiettarmi mestamente sulla spalla, senza lasciarmi pace. Un po' titubante mi volto verso Ezra, che ha gli occhi diligentemente fissi sulla strada davanti a noi.
   Mentre lo osservo, mi domando se valga o meno la pena di chiedergli qualche informazione in più su quel Christopher, dato che già poco fa mi ha ammonita nei suoi riguardi.
   «Dai, Lizzie» dice improvvisamente, voltandosi per qualche istante verso di me «Lo so che muori dalla voglia di chiedermelo».
   Io mi ritrovo ad arrossire, leggermente imbarazzata per essere stata colta in fallo. Cercando di darmi un contegno, riporto gli occhi sulla strada, che si sta sempre di più addentrando nel folto della foresta, e mi sistemo meglio sul sedile.
   «Per prima cosa, non chiamarmi Lizzie. Se proprio vuoi usare un diminutivo, preferisco Lily» dico con finta severità, mentre lancio un'occhiata divertita verso il ragazzo.
   «E per seconda cosa, Lily?» domanda poi lui, calcando particolarmente sull'ultima parola.
   Sorrido.
   «E come seconda cosa, anche se tu stesso mi hai detto di lasciar perdere, vorrei chiederti che razza di bestia troglodita fosse quella che abbiamo incontrato poco fa».
   Alle mie parole Ezra si fa sfuggire una risata divertita, molto probabilmente a causa dell'epiteto poco gentile che ho attribuito a Christopher.
   «Quella bestia troglodita, come la chiami tu, è il nostro vicino di casa. Le nostre famiglie non sono mai andate particolarmente d'accordo» spiega Ezra, cominciando a tamburellare con le dita sul volante «Siamo sempre stati un po' come cane e gatto».
   Su quest'ultima frase vedo un'ombra divertita passargli per gli occhi, e mi domando vivamente il perché. Tuttavia, decido di lasciar cadere la questione per andare avanti con le domande.
   «E così tutti i componenti della famiglia Moonseye sono degli incivili?».
   «No, solo Christopher e suo fratello Clive. Certo, anche Claribel non è proprio un angelo, ma è certamente meglio dei suoi cugini».
   Annuendo tra me e me mi segno mentalmente questi nomi, pensando che sarà meglio starne il più possibile alla larga durante il mio soggiorno a Wyth Island.
   «E allora chi mi consiglieresti di frequentare, dato che i nostri vicini sono stati depennati dalla lista?» chiedo subito dopo, riprendendo a far vagare lo sguardo fuori dal finestrino.
   Il bosco in cui siamo immersi emana qualcosa di estremamente attraente, una sorta di aura di mistero, che mi fa venire voglia di scendere dall'auto e di correre al suo interno.
   «Be', ovviamente me ed Eveleen, mia sorella gemella» comincia il ragazzo, rivolgendomi uno sguardo di sfuggita, come aspettandosi un certo tipo di reazione.
   In effetti sorrido stupita.
   Non sapevo che i miei due cugini fossero gemelli.
   Per un attimo comincio a fantasticare su come possa essere Eveleen, e mi auguro vivamente che assomigli ad Ezra, dato che fino ad ora si è mostrato molto cordiale e simpatico.
   «Poi, a giudicare da quel poco che so su di te, anche Tennyson Longhorns non dovrebbe essere una cattiva compagnia. Lui è il nostro altro vicino di casa e, al contrario di Christopher, è assolutamente normale. È un pianista e per la festa di stasera ha preparato alcuni pezzi in tuo onore».
   Nel sentire nuovamente la parola festa rabbrividisco senza ritegno, maledicendo il mio essere così negativa nei confronti delle celebrazioni pubbliche.
   Farò meglio a fingere che tutta questa questione della festa mi vada bene, altrimenti agli occhi di tutti sembrerò subito una povera piccola orfana, con problemi di socializzazione.
  Cosa che sono solo in parte.
   «E tu, invece? Chi frequenti solitamente?».
   Un lieve sorriso si disegna sul volto del ragazzo, rivelando una piccola fossetta sulla guancia destra, che gli dà un'aria estremamente tenera.
   «Diciamo che io sono abbastanza selettivo, quindi ritieniti fortunata se per ora mi sei così simpatica da rispondere a tutte queste domande» dice senza guardarmi, ma accentuando ancora di più il suo sorrisetto.
   «Ma che onore...» soffio in risposta con finto fastidio.
   Entrambi scoppiamo a ridere, ed io mi ritrovo ad osservare Ezra pensando che infondo non sarà poi così male convivere con lui.
   Nonostante ci siamo appena incontrati, riesco a sentire di avere una buona affinità con lui, come se ci conoscessimo da molto più tempo.
   Ormai a corto di fiato, Ezra si passa una mano tra i capelli biondi e già ampiamente spettinati.
   «Comunque» riprende a dire il ragazzo «per rispondere alla tua domanda, ti posso dire che sono poche le persone che frequento con piacere.
   Una di queste è Thorton Longhorns, il cugino di Tennyson. È il mio migliore amico e ci conosciamo fin dai primi anni dell'infanzia. Le nostre nonne sono cognate e, quando eravamo bambini, ci facevano giocare spesso insieme.
   La mia seconda ed ultima amica è Zula Windcatcher, siamo entrati in buoni rapporti solo durante i primi anni del liceo, prima ci odiavamo a morte».
   Mentre racconta dei suoi amici, gli occhi di Ezra si illuminano spesso, come se fossero le cose più preziose che ha al mondo.
   Sorrido, pensando che sarebbe bello riuscire a trovare delle persone a cui voler bene in questo modo.
   «Stasera te li presenterò entrambi. Saranno felici di conoscerti» dice poi, lanciandomi un sorriso carico di entusiasmo, che non può non contagiare anche me.
   Per il resto del viaggio in macchina Ezra mi racconta qualche altro particolare su di sé.
   Ha finito la scuola l'anno passato e ha appena cominciato il suo lavoro di apprendistato al municipio.
   Dato che è una tradizione di famiglia, anche Eveleen ha cominciato a fare qualche lavoretto al comune, ma Ezra mi ha confidato che il suo sogno sarebbe quello di metter su famiglia il prima possibile.
   Devo ammettere che la cosa mi ha stupita.
   Non avevo mai sentito di una ragazza così giovane già pronta e volenterosa a diventare madre e moglie.
   Io mi auguro di veder passare ancora diversi anni prima che questo accada anche a me. Prima voglio vivere a pieno, viaggiare, fare nuove esperienze, prendere tutto quello che la vita ha in serbo per me. Sarebbe un po' come tarpare le ali alla mia libertà, se già a vent'anni fossi costretta a casa con una famiglia da accudire, ma capisco che ognuno è libero di scegliere la strada che più preferisce.
   Dalle innumerevoli informazioni fornitemi dal mio esuberante e sorridente cugino ho anche scoperto che, come me, odia nuotare e che invece adora correre nella foresta ogni mattina prima di colazione.
    «Non credo che tu lo sappia» esordisce improvvisamente, mentre svoltiamo in un sentiero immerso nel bosco «quindi preferisco parlartene ora, piuttosto che vederti in difficoltà nel caso qualcuno tiri fuori l'argomento in futuro».
   Capendo che deve trattarsi di qualcosa di importante, mi volto verso di lui e annuisco, come a fargli capire che ha la mia piena attenzione.
   «Nostra madre si chiamava Roxanne, ma io ed Eveleen non l'abbiamo mai conosciuta. È morta durante il parto, per un'emorragia interna che i medici non sono riusciti a fermare.
   Non sentirai parlare spesso di lei. Nostro padre l'amava più di qualsiasi altra cosa al mondo e spesso mi viene da pensare che una parte di lui sia morta insieme a lei quel giorno. Tra i due quella che ha risentito maggiormente della sua mancanza è stata Eveleen, anche se è lei quella che in genere si trova più a suo agio a parlarne. Io invece ho sempre cercato di non pensarci più del dovuto, non mi piace rivangare il passato».
   Dimenticandomi della mia timidezza, allungo una mano e stringo quella di Ezra posata sopra al cambio.
   «Grazie di avermene parlato» gli dico, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
  Lo capisco.
   Capisco appieno cosa significhi cercare di non pensare a una cosa del genere, per quanto impossibile sia.
   In risposta lui si volta verso di me e sorride appena, nascondendo subito dopo lo sguardo tormentato che gli agita le iridi ghiacciate.
   «Eccoci» dice dopo minuti interi di silenzio, apparentemente di nuovo sereno «Questo è il posto che io chiamo casa».
   Quando alzo gli occhi sull'enorme magione che si staglia davanti a noi, oltre un imponente cancello di ferro battuto, penso di star sognando.
   Un giardino curato ed ampissimo, al centro del quale è posta una fontana di pietra coperta di morbido muschio verde, separa la recinzione dall'ingresso monumentale della casa.
   L'edificio è molto ampio e si sviluppa su cinque piani differenti, da quello che posso dedurre attraverso le file di finestre. Sul lato esposto a ovest è a picco sul mare e sembra quasi essere sul punto di tuffarvisi dentro. L'intonaco color ocra e i pregiati stucchi che decorano la facciata con volute e motivi vegetali, insieme alle due torrette sui lati e all'enorme portico colonnato, rendono la villa un luogo surreale in quanto a bellezza.
   Ovunque mi giri, qualsiasi particolare che catturi il mio sguardo sembra uscito da un sogno.
   Percorrendo un vialetto di ghiaia accuratamente tracciato, Ezra fa il giro della casa, dirigendosi verso una rampa che porta ad un garage sotterraneo. Mentre passiamo attraverso il giardino, posso ammirare le numerose aiuole potate con estrema cura, i salici piangenti piegati sotto il peso del proprio fogliame e le decadenti statue in marmo coperte di muschio e sparse in tutti gli angoli di questo piccolo paradiso verde.
   Arrivati all'interno del garage noto diverse altre macchine al suo interno, tra cui una o due che sembrano essere di grande valore.
   Ezra scende velocemente dal pick-up e si affretta a prendere le mie due valigie, mentre io apro lo sportello con una lentezza sovrumana, ancora abbagliata dalla bellezza di questa casa nascosta nel cuore della foresta.
   «Lo sapevo che ti sarebbe piaciuta» dice Ezra, catturando il mio sguardo perso nel vuoto.
Io mi riscuoto e, sorridendo a trentadue denti, annuisco.
   Lui sembra essere molto divertito dalla mia reazione, perché ghigna furbetto, per poi risalire la rampa e dirigersi verso una porta di servizio sul retro della villa.
   Io lo seguo senza fiatare, aggrappata saldamente al mio borsone verde.
   Ogni passo che faccio verso la casa sembra riecheggiare all'unisono con un battito del mio cuore.
   Sono un po' nervosa all'idea di conoscere il resto della famiglia. Con Ezra è stato tutto così facile e ho paura che la fortuna stia per girarmi le spalle.
   «Tranquilla, ti ameranno tutti. Se sei riuscita a conquistare me, con gli altri sarà una passeggiata» mi dice Ezra per tranquillizzarmi, mentre abbassa la maniglia della porta.
   Nonostante la sua rassicurazione, in risposta sfodero una smorfia nervosa, aggrappandomi più saldamente alla tracolla.
   Non appena Ezra apre la porta, ho appena il tempo di scorgere due figure che si fronteggiano poco più avanti all'interno della stanza, prima che un grido mi faccia fermare sul posto.
   «Non ci penso nemmeno!» esclama improvvisamente una voce femminile, con una nota disperata nella voce «Giuro che lo farò, con o senza il tuo consenso!»
   Cercando di capire cosa stia accadendo, mi sporgo oltre la spalla di Ezra, notando subito la sua espressione tesa e un po' preoccupata.
   «Cominciamo bene...» sospira il ragazzo, posando le valigie a terra e passandosi una mano tra i capelli.
Sì, cominciamo proprio bene...

Eileán [DEMO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora