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Daniel

L'indomani, dopo quella che a me era parsa un'eternità, Sonia arrivò a casa mia con un ritardo che, per quanto lieve, non mi aveva lasciato indifferente. Mi aveva, piuttosto, portato a credere che la puzza di bruciato riguardo al suo segreto stesse diventando cosí intensa da non poter passare inosservata.

Io e Vanesa, in attesa trepidante del suo arrivo, decidemmo di preparare dei salatini e delle pizzette per merenda. Lei li adorava, soprattutto quelli che facevamo noi in casa e non sarebbe stata una cattiva idea offrirle ció che piú gradiva.

"Ben arrivata!". Le esclamazioni di gioia di Vanesa accolsero Sonia nella dimora profumata di basilico. L'odore lasciava palesemente intuire il motivo per cui quella spezia inebriasse l'intero corridoio che portava alla cucina: le pizzette erano in arrivo.

Aprendo la porta e ritrovandomela di fronte a me, sempre bellissima, non potei fare a meno di mantenere la bocca spalancata anche dopo averla salutata calorosamente.
Le sue cosce erano coperte, fino a poco sopra al ginocchio, da una gonnellina grigia, mentre il busto era fasciato da una canottiera aderente. Ai piedi, un paio di ballerine si facevano notare per la presenza di un vistoso fiocco sulle estremitá, coperte da qualche brillantino argentato. Con tre semplici capi riusciva a mostrarsi in tutto il suo splendore e ció non era da tutte. Molte ragazze esibivano il meglio di sé con la volgarità, l'eccessivo scoprirsi dagli abiti o col trucco, mentre lei puntava alla semplicità.

"Ciao, Daniel" pronunciò, non troppo ad alta voce, con insolita pacatezza.
"Vieni, accomodati" la invitai, sporgendomi per baciarla. Dopo i saluti Sonia superò l'ingresso con la solita grazia nel camminare e nel sorridere. Una volta spogliatasi delle calzature, i suoi piedi percorsero l'ingresso fino a condurla in salotto.
"Come stai?" chiese a mia sorella, la quale siedeva sul divano fingendosi annoiata, anche se il suo continuo martellare il piede a terra evidenziava entusiasmo: la sua voglia di mostrarle la sorpresa che avevamo in serbo per lei stava diventando incontenibile.

"Quanto ci hai messo ad arrivare?!" la rimproverò mia sorella.
"Scusate, non era mia intenzione. Ho calcolato male i tempi".
"Non fa niente. Dai, dammi la tua borsetta". Allungai una mano verso la mia ragazza, in attesa che mi porgesse l'oggetto. Posandola poi con delicatezza sulla sedia situata vicino all'appendiabiti raggiunsi Vanesa, quindi mi sedetti accanto a lei.

"Perché vi siete seduti?" domandó la mia ragazza notando il nostro atteggiamento insolito. Rimanendo davanti a noi, in piedi, incroció le braccia.
"Dovete dirmi qualcosa?" chiese. Trattenendo un sorrisetto, guardai mia sorella.
'Vanesa, vai a prendere le cose in cucina, per favore" dissi a bassa voce a mia sorella in modo da potermi far sentire soltanto da lei.
"Hey, non vale sussurrare!" mi rimproveró, dopo aver udito la mia voce senza peró averne comprese le parole.

"Direi che possiamo attendere mia sorella in camera mia, che ne dici?" proposi, alzandomi di lí. Sonia mi guardó sollevarmi di scatto senza comprendere la mia reazione e alzando un sopracciglio. Cingendo un braccio attorno alla sua spalla, la invitai a seguirmi.

"Che cosa sta succedendo?" domandó esternando la sua voglia di sapere cosa stessimo combinando. Quel velo di mistero e segreti la intrigava parecchio.
"Ora lo vedrai".
Io e Sonia, entrati in camera, ci accomodammo sul letto a castello.

"Allora, cosa mi racconti? " chiesi subito, dandole un altro bacio, che accettó volentieri. Afferrai la sua mano con la mia, intrecciando le nostre dita.
"Beh, nulla". Si spostò una ciocca di capelli mossi dietro all'orecchio che, per quanto era piccolo, faticava a sostenere il ciuffo voluminoso.

"Come nulla? Non ci vediamo da ventiquattro ore e tu non hai niente da raccontarmi?" scherzai, scatenando un ampio sorriso che, per quanto avesse cercato di nascondere, non riuscí a camuffare.
"In realtà una cosa da raccontarti ci sarebbe ed è anche molto importante" confessó dopo aver ragionato per un istante.
"Oh, che bello, sono felice. Di sicuro stai per dirmi che verrai a vedermi, sabato prossimo, non è così?" chiesi, entusiasta all'idea di non andare da solo alla mia prima lezione di danza.
"No, non è esattamente così, Daniel"
La sua voce era turbata, sommessa.
Daniel. Erano pochissime, le volte in cui mi aveva chiamato con il mio nome per intero. Lei era solita usare un'abbreviazione, come Dane, o Dado, dopo che Vanesa le aveva svelato come lei mi chiamasse.
C'era qualcosa che forse la disturbava.
"Senti un po'. Ma almeno la cosa che devi dirmi è bella?" chiesi maggiori indizi.
"No, mi dispiace. Non lo è affatto" sorrise dispiaciuta, stringendosi fra le spalle.

"Eccomi, arrivo anche io!" sentimmo urlare da una voce femminile che, sempre piú vicina, annunciò il suo imminente arrivo. Vanesa, vassoio fra le mani e sorriso stampato in volto, spalancó con il piede la porta della nostra stanza socchiusa, facendola scontrare contro il muro.
"Vanesa, fai piano!" la rimproverai urlando.
"Stavate parlando di me senza di me?".
"Tranquilla, non parlavamo di te. Egocentrica..." bofonchiai.
Vanesa posò il vassoio con le pizzette e i salatini sul letto in alto, dove ci eravamo messi noi.
Poi saltó su anche lei.

"Questi sono per te. Li abbiamo fatti noi" annunciò, guardando la mia ragazza.
Sonia si mise una mano sulla guancia, coloritasi per l'emozione.
"Grazie, ragazzi" sussurró, sorridendo. Era una meraviglia starla a guardare. Con la sua delicatezza lasciava che le emozioni prendessero il sopravvento, soprattutto con le piccole cose.

"Guarda che puoi mangiarli. Non sei obbligata a limitarti a guardarli "le dissi.
Rise, imbarazzata. Poi le porsi il vassoio affinché ne prendesse uno.
"Sono squisiti, vi ringrazio"si complimentò dopo averne assaggiato uno.
"Prego, prego" disse mia sorella.
Dedicammo un bel quarto d'ora a mangiare una decina di salatini a testa e, immancabilmente, Vanesa si sporcó la maglietta come se di anni ne avesse solo tre.
"Vanesa, guarda che hai fatto! Mamma si incavolerà quando vedrà la macchia d'olio sulla maglia nuova. Ti avevo detto di mettere quella blu, almeno è vecchia" la sgridai, cercando di immedesimarmi nel mio ruolo di fratello maggiore, responsabile e severo.
Sonia scoppiò a ridere, per poi prendere le sue difese.
"Si mette in lavatrice, cosa vuoi che sia?".
"Visto? Visto?" Se ne approfittò Vanesa.
"Visto cosa? Vai a cambiarti, pasticciona. Solo a te capitano queste cose. È gia la seconda volta oggi".
"Dane, fossi in te, starei zitto" sentii dire dalla mia ragazza.
"Mh?" mugugnai.
"Ti sei appena sporcato col sugo". A quel punto, l'ilarità di mia sorella fu incontenibile. Poco dopo anche Sonia attaccò a ridere e, alla fine, fu impossibile anche per me non farlo.

Sonia

"Grazie di nuovo, li ho apprezzati tantissimo" dissi, alzandomi dal letto per andare a posare il vassoio, ma un gesto della mano di Daniel, delicatamente posata sul mio braccio, arrestó l'avanzare delle mie azioni.
"Lascia stare amore, appoggialo sul comodino. Lo sistemo io più tardi" disse.
"D'accordo".
"Lo poso io, se aspettiamo te..." annunció Vanesa guardando suo fratello. Poi, con un energico balzo saltò giù dal letto, facendosi passare il vassoio, e si diresse verso la cucina lasciando me e Daniel da soli.

"Bene bene, ora che abbiamo mangiato e abbiamo lo stomaco pieno, posso sentire la grande notizia che devi darmi" pronunciò Daniel. Deglutii, sperando che quel momento non giungesse mai.
"No, forse è meglio se te la dico un altro giorno" sentenziai, appoggiando una mano in prossimità del gomito. A pensarci bene non avrei potuto dirglielo a distanza di molto tempo, poiché cinque giorni dopo sarei partita. Nonostante ció, io stessa non potevo credere di voler ancora cercare una qualsiasi scusa per posticipare quel doloroso momento.
Allo stesso tempo non avevo chiesto il permesso ai miei genitori per raccontarlo ai miei amici. Conoscendoli mi avrebbero detto di tenere tutto segreto e di non spifferare a nessuno i fatti nostri almeno fino all'arrivo a destinazione. Però a me sembrava una cosa così sbagliata, una mancanza di rispetto verso chi invece la verità, a me, l'aveva sempre detta.

"No, no, no. Io voglio saperlo ora" disse lui, lamentandosi della mia decisione.
"Sei sicuro?" presi ulteriore tempo.
"Amore, mi stai spaventando. È tanto brutta? È morto qualcuno? Stai male? Cambi casa e non saremo più così vicini come prima? ". Daniel continuò ancora per un po' a tirare a indovinare. Ad un certo punto decisi che era arrivato il momento di interromperlo.

"Mi trasferisco in Polonia".
"Eh?" fece finta di non capire, spalancando a tal punto gli occhi da farli quasi uscire dalle orbite.
"Mi trasferisco in Polonia" ripetei.
"No, aspetta. Non ho capito" disse lui, forse per prendere tempo.
"Quante volte lo devo ripetere perché la cosa ti sia chiara?" dissi in modo secco.
"Stai scherzando, vero?".
"No, dico sul serio" incrociai le braccia, poi lo guardai negli occhi.
"Non riesco a capire".
"Cosa c'è da capire?".
"Tante cose. Troppe" sentenziò, lo sguardo incattivito.
"Ad esempio quando lo hai saputo e perché non me l'hai detto prima. O ancora perché questa decisione. Ma soprattutto, se c'è un modo per evitare che si realizzi". Sospirai, amareggiata da ció che avrei dovuto dire per rispondere alle sue molteplici domande.

"Allora? Mi rispondi?" insistette lui, con una lieve arroganza nel tono.
"Non è facile come sembra, da spiegare. Ma proverò lo stesso a rispondere alle tue domande".

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now