mi sento come i personaggi del romanzo di Joyce: in un completo stato di fallimento totale accompagnato da una paralisi insostenibile.
vorrei uscire da quest'aula del cazzo ed urlare e prendere a pugni il muro, frantumarlo, ma, parliamoci chiaramente, un contatto faccia-pugno con le persone che in questo momento mi rendono la ragazza più incazzata del mondo, risulterebbe di gran lunga più soddisfacente.
ma non lo faccio.
non posso.
non è il momento.
resto inerme.
è l'unica cosa che, a quanto pare, mi spetta.
non merito nient'altro a dimostrazione di altre persone che un tempo avrei considerato a me care.
ad intervalli di qualche secondo sento la pelle d'oca affiorare e la vista sfuocarsi, mentre un forte fastidio pulsa dentro me.
è insostenibile.
lo è per davvero.
sto per scoppiare, lo sento.
'ma non puoi farlo.' è una voce a parlarmi, sottile, fastidiosa.
'non è il momento.' e ancora.
non mi lascia respirare bene.
è che non riesco, mi sta opprimendo.
percepisco un urlo imminente sbattere contro le pareti della gola secca, bisognoso di uscire.
le loro voci e risate mi sembrano improvvisamente così irritanti.
ho bisogno d'acqua.
e di aria.
e, oh, di un pizzico di forza mentale per ignorare questo bisogno animale di uccidere qualcuno e strappargli il cuore dal petto.
in senso metaforico, ovviamente.
quanto immorale risulterebbe da parte mia desiderare l'annientamento totale di un ammasso di carne ed ossa respirante.
sappiate che io ho una mente molto schematica, un po' disastrata e contorta, ma comunque, e soprattutto, calcolatrice.
e ciò, ahimè, è dovuto dalla mia estrema necessità di sistemare le cose al proprio posto nella mia testa.
situazione per situazione.
sentimento per sentimento.
ma mai pensiero per pensiero.
e, apparentemente, ciò che sto scrivendo, dicendo, pensando non vanta di alcun collegamento logico o quantomeno sensato.
ebbene un motivo c'è.
mi piace mettere per iscritto i miei pensieri così come vengono, alla rinfusa.
in tal modo gli altri stentano a capire la mia realtà.
mi sento soffocare.
ho incollato le labbra tra di loro.
non voglio dire ciò che penso, sarebbe distruttivo.
se per me o per chi ascolta ciò che avrei da dire, ancora devo capirlo.
per favore, basta.
di un libro che lessi tempo fa non riesco a rimuovere una frase: agitarsi non serve a niente.
e infatti no, non serve, ma restare calma ed in silenzio mi sta costando la sanità mentale che ho tanto faticato ad ottenere.
se apro bocca rischio di vomitare le mie verità alquanto scomode da ascoltare perché poco convenienti.
ora le voci sono due.
una di loro mi urla di rischiare, proprio ora, proprio adesso.
di lasciar andare via tutto e svuotarmi completamente.
l'altra mi sussurra con la finezza e leggerezza di un alito di vento che dovrei ignorare tutto, qualsiasi cosa mi stia uccidendo, qualsiasi sentimento mi stia nutrendo, proprio ora, proprio adesso.
è che sono talmente tanto arrabbiata, ma non capisco di preciso a chi è rivolta questa mia collera.
razionale; sii razionale.
ferma, non dire una parola.
non farlo.
sono così stanca.
