II. I'll kill her

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Giovedì 09 Febbraio 2017,
Milano, Lombardia,
Italia

«Ginny, solito posto, solito orario?» mi chiede la mia migliore amica, stringendo tra le mani un mazzo di chiavi, già stretta nel suo giubbino di jeans preferito, i capelli lisci e biondi perfettamente lasciati liberi ai lati del viso e le sopracciglia folte inarcate in attesa di una mia risposta.

Io, d'altro canto, sono ancora buttata a letto, i capelli sparsi per il cuscino e il viso distrutto. Sbadiglio, prima di porgerle completamente la mia attenzione. «Mi prendi la mia agenda?» le domando tra i mugugni, cercando di risvegliarmi, nonostante il mio corpo sia ancora intorpidito.

«Dove l'hai lasciata?» domanda, entrando in camera mia e guardandosi attorno spaesata. Be', sì, forse dovrei mettere un pochino in ordine, di tanto in tanto.

«Ed io che ne so» borbotto, buttandomi le coperte sul capo, troppo stanca per poterle dare retta.

Sofia sa quanto ami dormire, come sa quanto ami restare sveglia durante la notte, eppure puntualmente ogni mattina, alle sette e mezza, entra in camera mia, svegliandomi e parlandomi di argomenti perlopiù inutili.

«Trovata» esclama nell'esatto momento in cui stavo per riprendere sonno. Giuro che un giorno di questi la uccido malamente. Ho letto così tanti gialli che dovrei sapere come farlo. E ho visto così tante serie TV che non dovrebbe essere così difficile. «Hai un appuntamento a mezzogiorno con...»

«Carlo Ferraro» biascico, capendo di non poter dormire fino a che Sofia non esce di casa, dandomi un po' di pace.

«E chi è?» posso benissimo immaginarla aggrottare la fronte, confusa, e storcere la bocca, cercando di capire chi diavolo sia Carlo Ferraro.

Faccio spuntare la testa dall'ammasso di coperte che mi tengono al caldo, e poi le porgo un'occhiata esasperata, notando la sua espressione tra l'interrogativo e il pensieroso, proprio come l'avevo immaginata. «È il nuovo assistente di tuo padre.»

«Ah» dice solamente, per poi fare spallucce, «Quindi, solito posto, solito orario?»

«Facciamo una mezz'oretta dopo, va bene?» le propongo, trattenendo un altro sbadiglio.

Sofia annuisce e finalmente va via, non senza avermi prima urlato un «Alza quel tuo bel culetto e vai a farti una doccia. Puzzi come una capra in calore!».
La uccido. Giuro che la uccido.

🎸

«Vuole un caffè?»
«Sarebbe meglio darsi del tu» dico gentilmente a Carlo Ferraro, abbastanza confuso da tutto ciò che gli sta attorno, tant'è che i suoi occhi non riescono a stare fermi e girovagano per la stanza come farebbero due trottole.

«Vuoi del caffè?» rettifica, sistemandosi i capelli castani e mordicchiandosi le labbra, nervoso. Neanche fossi la sua padrona. Okay, effettivamente basterebbe una mia parola per farlo licenziare, ma sono tutt'altro che cattiva, io. Okay, magari sono un po' acida, e non mi piace quando le persone ripetono i loro errori, però non mangio nessuno. Anche perché sono vegetariana.

«Non bevo caffè» rispondo, accennando un sorriso, per poi attendere che lui ordini il suo espresso alla macchinetta posta vicino al suo ufficio, e vicino, di conseguenza, all'ufficio del padre di Sofia, nonché il capo di una delle più famose case editrici italiane, che, in realtà, pubblica libri in diverse lingue, essendosi espansa in tutto il mondo. A volte vorrei avere la sua fortuna. Poi mi ricordo che la ho, perché effettivamente vivo grazie a ciò che più amo fare, ed è una situazione che mi soddisfa a pieno.

«Posso farti una domanda?» mi chiede, tirandomi fuori dai miei pensieri, con la sua voce leggermente tremante e lo sguardo spaventato. Annuisco e gli faccio cenno di parlare. «Perché è stato organizzato quest'appuntamento tra noi due?»

«Perché il Signor Rossi si fida di me» rispondo semplicemente, dirigendomi verso l'ufficio di Carlo Ferraro, attenta a non cadere a causa dei tacchi che Sofia mi ha costretto ad indossare, rubandomi tutte le scarpe e rinchiudendole a chiave in un armadio di casa nostra. Chiave che ha poi portato con sé in giro per la città della moda.

«E cosa faremo durante quest'appuntamento?»
«Parleremo di te, ovviamente. E io ti osserverò lavorare per un po'. Ora, basta con le chiacchiere. Dimmi, sai in cosa consiste il tuo lavoro?» domando, accomodandomi in una delle poltroncine che Andrea – ovvero il Signor Rossi – ha sistemato nel piccolo ufficio adiacente al suo, sotto richiesta di Sofia. Quella ragazza è un uragano. Arriva lei, e tutto viene messo sotto sopra. E ogni cosa cambia.

Ascolto a lungo il Signor Ferraro, controllo i suoi movimenti impacciati, i suoi gesti timorosi, le sue occhiate spaventate. Lo noto sistemarsi più volte gli occhiali da vista sul naso, in segno di ansia, e lo noto sospirare al seguito di diverse mie richieste. Ma è normale. E si sta muovendo meglio rispetto tutti gli altri assistenti che ho dovuto mettere alla prova fino ad adesso.

Molto più di un'ora dopo, annoiata dai suoi sproloqui finalizzati a mettersi in mostra e stanca dopo aver dormito neanche cinque ore durante la notte, lo saluto con un sorriso cordiale e una stretta di mano, per poi decidere di apprestarmi ad andare al ristorante che ogni giovedì vede me e Sofia come clienti.

Potrei ucciderla lì, in effetti, di fronte a tutti i milanesi, e non, pronti a godersi un bel pranzo caldo e gustoso, a poco prezzo, ovviamente.

🎸

«Sei in ritardo» borbotta appena mi vede arrivare, col fiato corto e i capelli sparati in tutte le direzioni.

«E tu sei una rompipalle» borbotto anche io, sedendomi di fronte a lei e sorridendo al cameriere che si appresta a portarci i menu, nonostante ci conosca e sappia le nostre ordinazioni. Ma è la prassi.

«Termini così aulici li utilizza anche nei suoi scritti, Signorina Fiore?» mi riprende Sofia, accennando un sorriso divertito.

Alzo gli occhi al cielo e sospiro, prima di togliermi di dosso il giubbotto di pelle – finta – che indosso sette giorni su sette. Caldo, comodo e nero. Il capo d'abbigliamento perfetto. Be', non per Milano, col freddo che fa, ma se ci si aggiunge una sciarpa, un paio di guanti e un berretto, si sta già un po' meglio. Ah, e anche tre canottiere e quattro magliette. E almeno due felpe.

«Son dovuta passare da Foot Locker per comprare un paio di Vans da indossare, visto che qualcuno ha rinchiuso tutte le mie scarpe in un armadio» le dico con ironia, giustificandomi così del ritardo.

«E le bellissime scarpe con tacco da dodici centimetri che ti ho comprato dove sono finite?» domanda allarmata, osservando i miei piedi calzati perfettamente da un paio di Vans bordeaux.

«Le ho regalate al commesso di Foot Locker. Io e la sua ragazza portiamo lo stesso numero di scarpe, lo sai?» le rispondo, facendole un sorriso sornione.

«Mi erano costate più di cento euro!» esclama offesa.
«Ma mica le ho buttate» borbotto, incrociando le braccia al petto, sorridendo al pensiero del ragazzo che non aveva modo di comprare un regalo per San Valentino alla sua amata ragazza, a causa di soldi e tempo, tra l'altro.

«Posso benissimo dire a mio padre di smettere di pubblicarti libri» mi minaccia lei, lanciandomi un'occhiataccia.

«Ed io posso benissimo dire a tuo padre che la maggior parte della tua paghetta finisce in alcol, erba e sigarette. Per la gioia di tutti i tuoi amici» la minaccio a mia volta, facendole un occhiolino.

«Ti odio.»
«Io di più.»

🌸🌸🌸

HOOOLA!
Come state?
Io sto bene, ma ho voglia di rivedere Skam.
OGGI RICOMINCIA THE 100. E a voi continua a non fregare un cazzo.

Cosa ne pensate del capitolo? Di Ginny e di Sofia?
So che magari questi primi capitoli sono un po' inutili, però servono per presentare la protagonista e la sua adorabile migliore amica.
E prestissimo la situazione si animerà un po'. Eh eh.

Quiiindi, ci ritroviamo lunedì con Rain e giovedì prossimo con Freaking me out.
Ricordatevi di lasciare una stellina. E vi ringrazio tantissimo per tutto il supporto.
Vi voglio bene.
A presto.
- Tatia;

Freaking me out || Michael CliffordWhere stories live. Discover now