∆Capitolo 1∆

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Le gocce di pioggia cadevano sulla strada, il loro scintillio durava un attimo, il loro suono era sordo quasi come un tintinnio, non sapevo quali erano gocce di pioggia e quali erano lacrime, piccole e trasparenti, lucide e profonde.
Questo era il cammino di una persona sola con affianco un parente di cui non conosceva l'esistenza fino al giorno della tragedia, passo dopo passo, respiro dopo respiro, la meta si avvicinava sempre più.
Gli occhi gialli osservarono la struttura spoglia e vuota circondata da un giardino senza fiori, il cancello imponente segnava l'ingresso e un viale bianco guidava fino all'entrata dell'edificio misterioso.
<<Zia perché siamo qui?>> chiesi con voce tremante ed esitante, la guardai in volto ma lei non si degnò di rispondermi e velocizzò il passo lungo il sentiero di ciottoli candidi.
C'era una targa sopra il portore: "Orfanotrofio St. Luigi".
Guardai meglio per assicurarmi di aver letto bene, lo guardai una seconda volta per non essere certo di sbagliare ma alla fine constatai di aver capito alla perfezione quella scritta.
<<Forza Oliver entriamo>> mi rimproverò mia zia con il suo tono freddo e severo, mi fissò con uno sguardo truce che mi fece rabbrividire, abbassai il viso ed entrai seguendo il passo di quella donna senza sentimenti.
<<Buongiorno signora Anne>>disse mia zia con voce rispettosa e calma, si inchinò leggermente, poi si voltò e con la mano mi fece segno di avvicinarmi a lei.
<<Lui è Oliver, il figlio di mia sorella Emily.;purtroppo io non posso prendermene cura poiché ho già cinque figli in casa, quindi vi sarei grata se potreste prenderlo in custodia qui>>.
Anne mi osservò attentamente e sorridendo debolmente rispose <<Certo per noi non c'è nessun problema ad accoglierlo nella nostra struttura, spero che Oliver si trovi bene qui>>.
Mia zia sussurrò un grazie come se fosse appena stata liberata da un tormento, mi afferrò il polso e mi trascinò vicino ad Anne, mi puntò in faccia i suoi occhi freddi come la neve e mi raccomandò di mantenere un buon comportamento e un corretto linguaggio, finito di parlare salutò me e la signora Anne per poi sparire al di là della porta.
<<Bene Oliver, questa sarà la tua nuova casa da oggi quindi se non ti dispiace vorrei mostrartela>>i suoi occhi grigi emanavano una gentilezza pacata e il suo sorriso mi rincuorò un poco, mi tese la sua mano aspettando una mia risposta, io la afferrai e annui semplicemente con il viso.
L'orfanotrofio era molto grande, al piano terra si trovavano la classe, la sala da pranzo e la sala svago, al secondo piano c'erano i dormitori con i bagni in comune e all'ultimo piano c'erano degli uffici mentre all'esterno c'era un'immenso cortile vuoto e deserto.
Dopo avermi fatto da guida, la signora Anne mi accompagnò in stanza, durante il tragitto mi spiegò le regole e gli orari da rispettare, poi quando arrivammo di fronte alla porta della mia camera mi salutò e si congedò.
Bussai alla porta, silenzio.
Afferrai la maniglia e l'abbassai di un poco, la porta si aprì a fatica cigolando, entrai nella stanza e mi guardai attorno per osservarne l'arredamento.
C'erano delle candele per la luce, un comodino in mezzo a due letti posti ai lati e un armadio.
Una stanza molto povera e semplice, vi era il giusto necessario, piuttosto rimasi incuriosito nel vedere un altro letto nella camera e immaginai che il mio compagno di stanza dovesse essere in giro.
Qualcuno bussò alla porta, mi alzai e la signora Anne mi invitò a scendere le scale per raggiungere gli altri a cena.
Il salone era pieno di orfani, le tavole erano lunghissime e più in alto c'era un tavolo con i dirigenti e un uomo dall'aria importante.
La signora Anne mi indicò gentilmente un posto, sorrisi e mi accomodai mangiando la zuppa posta davanti a me, dopo aver finito di mangiare, tornammo tutti in camera per dormire.
Mi misi il pigiama e mi coricai, strinsi le lenzuola tra le dita guardando il soffitto e iniziai a pensare tra me e me, finché la porta non si aprì riversando una luce pallida nella stanza, preso dal panico, chiusi gli occhi e feci finta di dormire.
Non passò molto tempo quando mi arrivò un cuscino dritto in faccia che mi fece riaprire gli occhi all'improvviso.
<<Hey, puoi anche salutarmi sai?>> mi disse una voce non molto distante da me, mi voltai e vidi un altro ragazzo seduto sull'altro letto.
<<C-ciao...>> risposi io con un tono stanco e impanicato allo stesso tempo.
<<Alla buon'ora! Allora tu sei il mio nuovo compagno di stanza?>> mi domandò, io annui semplicemente.
<<Il gatto ti ha mangiato la lingua? Vabbè, come ti chiami?>>mi chiese guardandomi dritto negli occhi, un brivido mi attraversò la colonna vertebrale, lo guardai e risposi <<S-sono Oliver e tu?>>, abbassai lo sguardo, fin da piccolo ero una persona timida e non ero abituato a fare amicizia con gli altri.
<<Oliver, che bel nome! Io sono Fukase, piacere di conoscerti!>> mi tese la mano e io la strinsi sorridendo debolmente.
<<Grazie, comunque perché sei tornato in stanza così tardi?>> gli domandai per poter parlare di qualcosa.
<<Ero con i miei amici a gironzolare un po'>> rispose.
Si sedette nel letto, si tolse le scarpe e si coricò sul materasso con la stessa delicatezza di un elefante.
<<Allora Oliver come mai sei qui?>> mi domandò probabilmente incuriosito dalla mia recente comparsa.
<<I miei genitori sono morti in un incidente in carrozza>> gli spiegai in breve.
<<Oh, capisco...Mi dispiace...io sono stato abbondonato qui quando ero ancora un neonato...>> mi rispose sorridendo incertamente.
<<Vabbè non parliamo di argomenti tristi sennò ci deprimeremo>> dissi io scherzosamente.
Lui sorrise e annuì col capo.
<<Che ore sono?>> domandai assonnato, lui mi rispose e solo quando lo disse mi resi conto che era tardi, così andammo a letto.
Ma ancora non sapevo nulla su Fukase e avrei scoperto tutto troppo velocemente.
-

Continua-

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