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Accarezzo l'orlo della giacca a jeans che sto provando. Alzo lo sguardo e scruto la mia figura allo specchio mentre mi mordo il labbro.
<<È carina.>> dico alla commessa dietro di me. <<Ma vorrei qualcosa che fasci di più la mia figura.>>
<<Che ne dice di questa?>> dice mostrandomi una giacca di pelle bordeaux, più sagomata, di grande stile.
<<Mi piace!>> le dico mentre sfilo l'altra e la indosso. Adesso mi guardo fieramente. <<La prendo.>> le dico e mi rinfilo dentro il camerino.

Dopo aver trovato ciò che mi serviva passeggio per le vie di Roma, avevo bisogno di camminare e svagarmi approfittando della chiusura del bar. Gli ultimi giorni sono stati un po' particolari. Ho passato delle giornate così tanto impegnative da non aver tempo di pensare a nulla ma la sera, quando il silenzio faceva da sovrano nella mia casa, la chiacchierata con Mario si insinuava nei meandri della mia testa ed ogni volta era una pugnalata al cuore.
Ogni suo tentativo di raccontarlo con nonchalance, come un episodio passato che non lo ferisce attualmente, era vano poiché i suoi occhi lo tradivano. Erano pieni di rabbia e dolore. E proprio quello sguardo ha toccato le corde del mio cuore. Ma poi, col passare dei giorni la tristezza si è trasformata in rabbia. Come può l'essere umano comportarsi così?
E a ricordarmelo c'è la mia mano fasciata. La guardo e penso al modo in cui mi sono procuratola ferità... anch'essa legata a lui.

'Gli spaccherei la faccia a questi stronzi!' Pensavo mentre lavavo i stoviglie. Sentivo il sangue bollirmi nelle vene e così, nella foga, ho lanciato nel lavello un piatto che si è violentemente spaccato graffiandomi gravemente la mano.
'Fanculo!' Ho urlato e sono corso in bagno a disinfettare il tutto.

Scuoto la testa. Non dovrei farmi trasportare così ma è inevitabile. E probabilmente mi sento così  perché io, in primis, pur non essendo mai stato omofobo e distaccandomi totalmente da quei vili che hanno fatto del male a Mario, ho sempre visto l'omosessualità come una diversità che fin ora ho avuto timore di conoscere per davvero.
Siamo tutti figli della terra. Siamo tutti sotto lo stesso cielo. Siamo tutti uguali.
E mi ritrovo a guardare in alto. Tutto quel male non andava fatto, Mario non lo meritava, ma la sua esperienza non è stata invana, lui adesso è più forte e le sue parole, le parole di una persona che fondamentalmente è estranea alla mia vita, la sua esperienza , hanno smosso qualcosa dentro di me. E mi sento più allineato all'asse del mondo. Non so come, non so il motivo, non so in che modo mi abbia cambiato almeno un po' ma adesso mi trovo qui, guardando il sole, pensando che il meglio della mia vita deve ancora venire. Perché adesso voglio essere me stesso. E prima di esserlo devo imparare a conoscermi perché fino ad ora sono stato estraneo a tutti e prima di tutto estraneo a me.

Guardo l'orologio della macchina, sono già le 21 e sono in ritardo di mezz'ora. Beatrice, la mia 'collega' ad uomini e donne, mi ha inviato ad un aperitivo dicendomi che ci sarebbero stati anche altri ragazzi del programma. Arrivo davanti al locale, posteggio e come un razzo mi fiondo dentro.
Il locale è piccolo e buio ma molto accogliente, così slaccio la giacca e cerco di individuare il tavolo. Da lontano vedo farmi segno con la mano, è Bea. Mi avvicino, saluto con  un ciao generale e mi metto a sedere. E mentre scruto i commensali a tavola ecco che lo vedo.
Ha lo sguardo volto in basso, al telefono. Quando poi alza il viso mi vede e sorride.
<<Buona sera.>> mi dice urlando per farsi sentire.
È così lo faccio, senza pensarci. Mi alzo, prendo la mia sedia e la piazzo a fianco alla sua. Poi mi siedo dandogli una boffa sulla coscia ed esordisco con un <<Buona sera a te!>>
Prima guarda la sedia e poi alza lo sguardo su di me.
<<Siamo allegri stasera.>> Alza il sopracciglio annuendo lentamente.
<<Sai come si dice? È una brutta giornata, non una brutta vita!>>
<<Daje Clà, ora sei pure filosofo?>>
Ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
<<Non sapevo venissi.>> mi dice. Poi mi da una pacca nella spalla e aggiunge. <<Mi fa piacere che tu sia qui.>>
Gli sorrido, anche a me fa piacere che lui sia qui.
<<Che hai fatto alla mano?>> mi chiede.
Guardo la fasciatura e mi viene da ridere.
'È stata colpa tua.' Vorrei dirgli ma capisco che non è il caso.
<<Piccoli incidenti di percorso.>>
La serata continua in maniera piacevole. Io e Mario parliamo tre ore di seguito tra un cocktail e l'altro. Io riesco a rilassarmi e lui lo nota dicendomi che sapeva che sotto la corazza del timido e preciso Claudio c'era quello più leggero. Rido di cuore e ascolto con interesse i suoi discorsi sulla scrittura spicciola odierna (scopro che ha una laurea in letteratura) e lui invece mi chiede sulla mia vita, sul lavoro, della mia quotidianità.
<<E quindi arriva questa ragazza al bar e mi dice: io posso lavorare ma alle mie condizioni, i miei orari e le mie tariffe. E io gli dico: non so facciamo 5000€ al mese per due ore al giorno? E lei sai che mi risponde? Okay. Cioè, capisci Mario? Mi ha detto okay! Io volevo morire!>> scoppiamo a ridere dopo l'ennesimo esempio di colloqui assurdi in cui mi sono imbattuto.
<<Non si può dire che la ragazza non sia ambiziosa!>> dice Mario asciugandosi le lacrime.
<<Poi quando ha capito che la stavo prendendo per il culo offesa mi fa: Io ho capito che tipo sei tu! Uno di quelle che sfrutta le donne perché ti credi un belloccio! Meglio di te ce ne sono mille! Io rimasi scioccato. Sta pazza se l'è uscita dal cappello. Ma da dove gli venne questa frase io non lo so. Infatti poi la mandai via.>>
<<Vabbè si è irritata per altro. >> mi dice e sorseggia il suo cocktail.
<<In che senso?>> gli dico stranito.
<<Magari tu non l'avevi calcolata e lei si è infastidita.  Cioè dico, ti sei visto Clà? Non sei un cesso! Non ci credo che ha detto che non sei belloccio.>>
<<Non saprei.>>
<<Anche io mi sarei dispiaciuto se non mi avessi calcolato.>>
<<Ehm...>> dico, poi mi schiarisco la voce. <<Ti dico grazie visto il complimento.>>
<<Prego, ma non voleva essere un complimento. Ti ho detto quello che penso.>>
Dopo questa affermazione cade il silenzio tra noi. Entrambi siamo impegnati a riflettere. Mi fa piacere sentirmelo dire. Ma perché il complimento viene da lui. Sono abituato a sentirmi fare dei complimenti ma i suoi mi provocano strane sensazioni.
Dopo qualche minuto il silenzio diventa imbarazzante e fortunatamente interviene Bea.
<<Ragazzi noi vogliamo andare. Domani si registra e non vorremo fare tardi stasera.>>
Così mettiamo le giacche e usciamo. Fuori ci salutiamo tutti, poi Mario si avvicina a me. <<Vuoi già andare a casa?>> mi chiede.
Gli sorrido e lui ricambia perché ho capito che nessuno dei due ha voglia di far finire questa serata.
<<Assolutamente no!>>
<<Dove si va?>>
<<Sali in macchina.>> 
Entrambi saliamo e Mario subito accende la radio. Parte il mio cd dei negramaro.
<<Piacciono anche a me.>>
<<In bilicoooo tra santi e falsi deiiii...>> inizio a cantare e faccio così per tutto il tragitto.
<<Clà pietà per i miei poveri timpani ti prego!>>
E rido, rido di cuore, perché è proprio una bella serata. <<Non sono bravo?>>
<<Si, hai sbagliato format, dovevi fa Xfactor.>> mi dice facendomi l'occhiolino.
<<Sono un cantante incompreso.>>
<<Clà si può capire dove stiamo andando?>>
<<Non ti piacciono le sorprese? Altri cinque minuti e siamo arrivati.>>
<<Io sono troppo curioso, dai! Un piccolo indizio.>>
Mi giro e lo guardo serio. <<È il mio posto preferito.>>
<<Okay, adesso è ancora peggio ma aspetterò.>>
Dopo 10 minuti fermo la macchina. Scendiamo e gli mostro fiero la vista. C'è molto buio ma il panorama è comunque mozzafiato.
<<Eccoci qui. Conosci?>>
<<Si, il lago di Castel Gandolfo. Ci sono stato una volta.>>
<<Ma sei mai sceso fino al pontile?>>
<<Mai.>>
<<Allora andiamo.>>
Inizio a scendere le scale e intraprendiamo il percorso. Mario tiene le braccia conserte e stiamo in silenzio. Poi intravedo il pontile e mi giro verso lui <<Sta attento, col buio potresti cadere in acqua.>>
Lui mi segue e arrivati alla fine di esso mi sego nella panchina facendo segno a Mario di seguirmi.
<<No vabbè una panca costruita sopra l'acqua! Adoro.>>
<<Ti piace?>>
<<È bellissimo Clà. Grazie.>>
Aleggia una strana tensione tra noi. Mario è nervoso, lo vedo perché batte la mano in maniera spasmodica sulla sua gamba.
<<Cos'hai?>> gli chiedo.
<<Non so, questo è un posto così particolare dove portare qualcuno.>>
<<Lo so, per questo è il mio posto preferito. Quando sono giù, confuso e ho bisogno di stare da solo con me stesso questo posto è l'ideale. Il lago è mio amico, mi fa compagnia ma non rompe i coglioni con domande strane.>>
E Mario ride, lo vedo rilassarsi. <<Non ho mai portato nessuno qui. Ne sono geloso.>> aggiungo poi.
<<È bello che tu abbia deciso di portarmi.>>
E ci guardiamo, lui ha un sorriso tenero. La luna è la nostra unica fonte di luce. <<Perché proprio me?>>
Abbasso lo sguardo e osservo i nostri riflessi sull'acqua. Poi sospiro e lo guardo, arreso. <<Non mi sforzo neanche di darti una risposta sensata. Non lo so. Quello che faccio con te non ha mai senso.>>
Anche lui adesso sta guardando il nostro riflesso e rimaniamo così, in silenzio, a respirare questo momento.
Poi sento la sua mano nella mia.
Il suo tocco mi fa sobbalzare. È così delicato, così dolce, così bello. Il cuore mi martella nel petto.
Lo guardo e la consapevolezza delle mie sensazioni mi arriva dritta al cuore, come un duro schiaffo in viso. Non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo a me stesso ma adesso non lo posso più negare: lui mi piace. Ed io non lo so spiegare ma il verbo piacere con lui assume connotati vastissimi. Lui mi piace come persona, come amico ma è ancora di più. Mi piace perché vorrei che tenesse la sua mano sulla mia per un tempo indefinito. Perché mi provoca dei brividi ad ogni parola. Perché è bello. Ma la paura mi sovrasta. Non può, non può piacermi in questo modo.
Lui è un ragazzo.
E senza rifletterci ritraggo la mia mano.
Lui mi guarda ed io invece abbasso il viso, non riesco a sostenere il suo sguardo.
<<Non devi avere paura Clà.>>
<<Non so di che parli.>> dico.
<<Lo sai.>> e mette di nuovo la sua mano sopra la mia. Inizia ad accarezzarmi lentamente il dorso di essa e stavolta non ho il coraggio di togliere la mia.
<<Tu pensi troppo, pensi troppo a quello che fai. Io invece faccio senza pensare e mi godo il momento. Sono fatto così, affronto la vita momento per momento tu invece vuoi avere tutto sotto controllo. Sei felice, ora, in questo momento?>>
<<Si.>> dico con un filo di voce.
<<E allora stai sereno.>> e mi stringe la mano. Poi me la gira e adagia il suo palmo sul mio. <<Stasera, al locale, ho conosciuto un altro aspetto di te. Quando vuoi sai essere divertente.>>
Io gli faccio la linguaccia. <<Lo sono sempre.>>
<<Di solito sei troppo timido.>> dice.
<<Beh, anche io posso dire di aver conosciuto un altro tuo aspetto stasera. Anche tu sei diventato timidissimo appena arrivati qui.>>
<<È solo che io e tu non siamo mai stati così.>> dice diventando paonazzo <<soli. È un luogo così intimo.>> e mi guarda con i suoi profondi occhi.
E mentre continua a guardarmi si avvicina a me, finché non me lo ritrovo a 2 cm dal viso. Ed eccolo, puntuale, il terrore riaffiora. E non mi fa ragionare.
'No, no, NO! Io non posso farlo, io non posso.'
Mi alzo di scatto. <<Penso che sia arrivata l'ora di andare.>>  e mi alzo senza neanche dare a Mario il tempo di capire. Il suo volto è confuso ma riesco a leggere anche la rabbia dai suoi occhi.  M'incammino verso la macchina e lui mi segue e lo sento dai suoi passi perché non trovo il coraggio di girarmi. Saliamo in macchina e per tutto il tragitto stiamo in silenzio. Poi arrivati vicino alla sua macchina accosto.
<<Mario io...>> farfuglio, non so cosa dire.
<<Claudio>> dice, chiudendo gli occhi e sospirando <<buona vita. Ti auguro di trovare la tua felicità, quindi buona fortuna perché ne avrai tanto bisogno.>> e scende sbattendo lo sportello della macchina.

Mario Serpa è capace di portarmi all'apice della felicità fino al punto più basso dell'angoscia che ora mi pervade.
Ed è colpa mia se adesso sto così.
È solo colpa mia se forse l'ho ferito.
E non posso permettere che lui soffra ancora... devo fare qualcosa.

Fix you •Where stories live. Discover now