2. Ricordo imbarazzante

49 7 23
                                    

Spesso pensiamo che le cose accadano per un motivo ben preciso, per una ragione sconosciuta a noi, ma non al destino. E ignari ci si lascia travolgere dagli eventi. Quella sera tutto era successo così rapido e... scemo aggiungerei. Ma ancora oggi mi chiedo se sia stato un caso, una fortuita coincidenza, o un segno divino.

***

Ero con Samantha e Veronica nella stanza dell'albergo Bengasi, che ci ospitava durante la gita del quarto anno. Rimini era una località bellissima, un lungomare che si estendeva per chilometri che costeggiava una strada piena di negozi di ogni tipo, alberghi dalle più svariate stelle, ristoranti e Mc Donald. Peccato che ad Aprile fosse ancora troppo deserta la sera quella località. Infatti, la professoressa ci intimava di uscire in gruppi numerosi, ma la spavalderia delle mie amiche era risaputa e la mia mancanza di polso altrettanto. Mi convinsero, senza troppi fronzoli, a passare un'oretta in giro e sgattaiolammo fuori senza farci vedere dalle insegnati.

Il tragitto solitario e pieno di negozi con le saracinesche abbassate mi inquietavano parecchio. Ero sempre stata una fifona per certe cose, forse i troppi telegiornali che guardavo o i continui accorgimenti di mia madre, mi mettevano sull'attenti ad ogni estraneo che si avvicinava. Anche colpa dell'esperienza della prima sera a Rimini, incontrammo un ragazzo basso e pelato che si passo una mano sulla lingua e poi la strisciò sulla guancia di Samantha. Fu una scena disgustosa, ma almeno dopo ci lasciò tante risate per noi e la povera Samy disperata per l'accaduto.
Stranamente quella sera non incontrammo nessuno ed entrammo nella sala giochi.

Era grande, nulla a che vedere con la nostra situata al centro del paesello e larga a stento due metri per due. In questa c'erano una ventina di videogiochi tutti diversi, dal ballo al biliardo si aveva l'imbarazzo della scelta. Io come al solito mi affrettai ad andare alla postazione di simulazione delle gare di Formula uno, mentre le ragazze rimasero a giocare con uno di quelli dove bisogna colpire la rana con un martellino prima che si nasconda.

Mi divertivo così tanto, ancora non avevo la patente, all'epoca avevo solo diciassette anni e mancavano solo due mesi ai diciotto. Ero elettrizzata all'idea di avere una mia auto non essere più dipendente dai passaggi altrui. Inoltre mi sentivo una grande pilota e se un giorno mi avessero chiesto di correre, avrei detto di sì senza pensarci su.

Dopo quattro corse consecutive mi girai a guardare in direzione delle mie amiche che stavano chiacchierando con due ragazzi che, ad occhio e croce, sembravano quasi cinque o sei anni più grandi di noi.

Guai in vista, pensai con un velo di preoccupazione che cresceva nel petto. Inserii l'ultimo gettone e aspettai l'inizio della gara. Si accesero le luci: una filarata di rosso e poi il verde.

Premetti il piede sull'acceleratore solo quando pochi istanti prima del via, per non far andare su di giri l'auto e rallentare la partenza. Un buon inizio era fondametale per superare un numero discreto di auto, visto che si partiva sempre dall'ultima posizione. Ne superai tante piazzandomi sesta. "Sì!"

"Sei una pilota nata."

Una voce maschile alle mie spalle mi fece trasalire, con la coda dell'occhio vidi una figura che si avvicinava appoggiando il braccio sul sedile dove giocavo.

"Grazie" riuscii a blaterare con un fil di voce. La tensione iniziò a farsi sentire e pian piano la mia attenzione alle curve andò scemando: finii dritta fuori pista.

"Dovresti frenare prima di prendere la curva".

Lo vidi con la coda dell'occhio e con la punta delle dita mi sfiorò i capelli. Tra il contatto e il tono profondo e graffiante della sua voce, un brivido mi salì lungo la colonna vertebrale. Riuscii lentamente a ruotare il viso e mi trovai un angelo davanti.

Ho speso tutto su di noi. (sospeso per paio di mesi)Where stories live. Discover now